La farragine di Alfonso Guida: una poesia che si fa corpo e respiro

Articolo di Nicola Fornabaio

Esistono poeti che abitano il margine e altri che il margine lo scavano, lo ispezionano, lo rendono un territorio autonomo, dove la parola si fa ultimo presidio contro la dissoluzione. Alfonso Guida è uno di questi. “La farragine”, pubblicata alla fine del 2024 nella collana “Due mari” della Casa del Libro Mandese curata da Barbara Gortan, è un libro duro e necessario, che si nutre di silenzio, solitudine e parola portata fino al limite estremo della resistenza.

La voce lirica di Guida è poesia nuda, che resiste a ogni forma di consolazione e si incide nella carne del lettore con la stessa spietata consapevolezza con cui il poeta osserva la propria esistenza. C’è qualcosa di ascetico nel suo poetare, qualcosa che lo avvicina alle figure eremitiche del passato: il suo isolamento non è redenzione, ma condanna, condizione necessaria per restituire il mondo in versi. San Mauro Forte, paese lucano dove il poeta vive in un isolamento volontario, non è solo un luogo geografico, ma una condizione esistenziale: il simbolo di un’Italia abbandonata, di una provincia che si sbriciola, ma anche di uno spazio mentale in cui la scrittura diventa atto assoluto. Alfonso Guida «è un poeta che parla di un mondo che sembra marginale e lontano, pastori, contadini, preti di campagna. E invece è un poeta del futuro. Basta leggerlo per capirlo che parla di un tempo che non è dietro ma dentro di noi…» dice di lui Mario Desiati.

Il titolo “La farragine” suggerisce un groviglio, una mescolanza di elementi diversi (la farragine è la mescolanza delle erbe con cui si fa il pasto del bestiame), ma il libro è tutt’altro che un accumulo caotico, dove ogni immagine è necessaria, ogni parola è un colpo inferto alla materia. Diviso in sei sezioni (Dio Deserto Eredità, Ricadute, Introspezioni Retrospezioni Fantasie, Poetalia, e le ultime due Conditio consecutio, Dati Matricolari che formano la plaquette Khnopff), il volume compone un mosaico di esperienze, immagini, squarci di vita che si intrecciano in un tessuto poetico che, pur nella frammentazione, mantiene una coerenza interna potente. Il lettore è trascinato in una lingua che non concede pause, che incalza, che riduce all’osso ogni tentazione di ornamento: «Tra le foglie, nel tintinnio del bar,/ verso il tornio di una luce impennata/ di creta, fra creature di crepa e assi/ di vergata annunciazione uscire./ Sono il figlio che lascia avvolto il dono./ Non lo scarta. Lo fissa. Lo persegue,/ lo tramanda. Nella rinuncia, resta». Versi che sono un manifesto di poetica: Guida non si pone al di sopra della materia di cui scrive, ma vi si immerge, si inabissa: «Ti lascio entrare perché io non distinguo./ Mi ometto come parte del discorso…». Il suo linguaggio è una sintesi di visione e corpo, di estasi e materia bruta («Si lavano i rognoni con la cenere/nel paiolo di rame e un tanfo verde/ di urina impregna vestiti e pareti./ Con la cenere smacchiano i lenzuoli./ Concimano le bietole nei vasi./»). C’è una fisicità tangibile nel suo modo di evocare il mondo: i luoghi, le persone, gli oggetti non sono mai semplici dettagli, ma elementi vivi, carichi di storia e destino («Un ragazzo morde monete/ mensili di mezzadria, barattando/ bottiglie di acquavite per un quarto/ di carne di bue…»).

La sua scrittura sfugge a qualsiasi categorizzazione rigida. È poesia che si nutre di prosa, di filosofia, di letture meditate, di testimonianza. È una poesia che si sporca le mani con la vita, con la memoria, con il tempo che sfalda tutto, tranne la parola. Non c’è nessuna retorica nella sua indagine dell’umano, nessun abbellimento del dolore: c’è solo la cruda, implacabile verità di chi guarda e restituisce il mondo senza filtri.

In questa silloge Guida si guarda allo specchio e si vede nudo: «Ora ho superato/le scale e sono nudo, vedi, sono/completamente nudo… Stanco, ho scelto/me stesso. Ho un volto che si specchia poco./Quando accade, ritiro il mio riflesso». E cerca di capire, di indagare: «Ho cercato di capire il perché di questo naufragio./Poco importa. Nel legno di una chiglia spezzata, ho fatto/la mia casa… Nel poco ho visto tutto, nel tutto il grande vuoto».

C’è ricerca, consapevolezza, compiutezza in questa raccolta, sapere velato, svelato: «Ognuno si compie dove si cerca./ Tu ora stai visitando i lati, viaggi/ per estremi, ma è scendere che devi,/ scendere, rischiando di farti cibo./». E poi sacralità, misericordia «parola andata, in disuso,/…parola di tempio e sinagoga, parola custodita/dalla polvere del rifiuto, il paradosso, l’eterna/scintilla dei morti dimenticati». La lingua di Guida ha ritmo, lampi, illuminazioni, visioni abbraccianti: «Scrivi a strappi, a incisioni, via il superfluo,/quel troppopieno sempre letterario,/scorteccia il tronco, scheggia/fino al midollo, resta intorno all’osso».

Leggere “La farragine” significa accettare di essere feriti. Significa entrare in una zona dove il confine tra la materia e lo spirito, tra la memoria e la perdita, tra il tempo e l’eternità della parola si fa sempre più sottile. Guida è un poeta che non concede nulla, che non cerca consensi, che scrive perché non può fare altro. E proprio per questo, la sua voce è una delle più potenti e necessarie della poesia italiana contemporanea.

Related Articles