“Luna di carne” di Gabriele Galloni, una significativa selezione di prose

Articolo di Gordiano Lupi

Adele Costanzo cura una significativa selezione di prose scritte da Gabriele Galloni tra il 2011 e il 2014, quando il poeta aveva dai sedici ai diciannove anni e frequentava le scuole superiori. Il volume si compone di quattro sezioni tematiche per offrire una testimonianza dello straordinario talento visionario di un autore scomparso troppo presto che nella poesia ha lasciato veri gioielli ed era anche un buon narratore. Prefazione di Roberto Renna che loda le doti narrative, lo stile, le tematiche – dal fantastico all’eros – affrontate dal giovane autore. Gran parte del merito del significativo recupero è di Adele Costanzo che si è immersa nel corpus degli inediti conservato dalle Biblioteche di Roma (e dalla famiglia) cercando di estrarre il materiale che meglio rappresenti Galloni. Gabriele ha lasciato poesie, racconti, opere teatrali, circa cinquecento testi, molti ancora inediti, a parte un volume antologico di poesia edito da Nicola Crocetti, alcune plaquette e un volumetto di narrativa. I racconti scelti non sono in ordine cronologico, le opere sono selezionate tenendo conto dei luoghi dove il poeta viveva, affrontano temi come amore e morte, il soprannaturale e il favolistico. L’ambientazione dei racconti – da via Ventimiglia al Trullo, il mare di Fiumicino – fa parte della stessa narrazione, lo scenario delle case popolari, dei panni tesi, il suono del vento, il profumo del salmastro sono l’essenza stessa del racconto. Galloni è prima di tutto poeta, a giudizio di chi scrive questa caratteristica vien fuori con prepotenza a ogni angolo della sua prosa e sono i momenti più felici quando l’autore dà libero sfogo alla sua vena lirica. Galloni non è narratore sociale, parla d’amore con l’esperienza di un adolescente ma lo fa a ragion veduta, adatta racconti di fede cristiana a situazioni metaforiche, narra il soprannaturale di eventi miracolosi e straordinari. Ma le sue cose più belle sono contenute nei lampi di narrativa breve che lasciano estasiato il lettore. “L’ultima partenza” è un racconto di una bellezza travolgente: “I giardinetti delle case popolari dormivano il sonno dei panni stesi ad asciugare e dei vecchi palloni di cuoio lasciati in giro per comodità (…). Tutto era immobile eccetto il continuo sbadiglio del vento e una musica di festa in lontananza”. Gabriele butta sulla pagina espressioni poetiche come “il silenzio vellutato della notte” e metafore apodittiche come “le cose non sono mai quello che appaiono”. Un racconto come “Le cose erano finite” è un altro piccolo gioiello narrativo che in meno di tre cartelle racconta la fine di un amore. “Le cose erano finite, sì. Erano finite e lei era di fronte a me, con i suoi occhi indecisi e la sua solita espressione che non avrei saputo dire. In quel momento, non so perché, mi sembrò come se tutta la vita, anzi, tutte le vite del mondo, turbinassero tra le mura di quel fast-food. Sentimenti, emozioni, passato e presente, ombre, persone, amori e chissà cos’altro. Tutto lì dentro, in mezzo all’odore del fritto, in mezzo ai tavoli sporchi, in mezzo agli impiegati e alle famiglie in gita turistica”. Bellissimo. E che dire di quel mix tra sentimenti e natura che pervade l’incipit di Pomeriggio? “La pioggia scendeva fitta sulla periferia silenziosa. La pioggia scendeva fitta sulle villette a schiera, sul parchetto vicino alla scuola, sulle auto parcheggiate ordinatamente”. Amore e morte, luoghi del cuore e soprannaturale, ecco il mondo narrativo di Gabriele Galloni, autore profondo e visionario che sparge poesia sopra ogni piccola descrizione, su tutte le povere esistenze che racconta. Perché, come amo dire, non è tanto importante quel che si racconta, ma come lo si racconta. Gabriele sapeva raccontare con uno stile unico e inimitabile.

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