Ricordando Nino Benvenuti e una sera di maggio

Articolo di Gordiano Lupi

Il triestino Nino Benvenuti è il ricordo della mia infanzia, sospesa tra i pugni dati e presi incontrando Griffith e Monzon, dopo aver fatto i conti con il mitico Mazzinghi, pugile venuto dalla strada, basso e tracagnotto, rude toscano di Pontedera. Noi avremmo dovuto tifare per lui ma non ci riuscivamo, ché Benvenuti era bello e aitante, pugile atipico, fisico d’attore, naso ancora intatto e capelli biondi. Me lo ricordo interprete sul grande schermo del Cinema Sempione, era uno spaghetti western di Duccio Tessari, Vivi o preferibilmente morti, insieme a Giuliano Gemma che gli somigliava pure, quindi in un poliziesco di Stelvio Massi dedicato a Mark il poliziotto. Nel 1967 avevo sette anni e l’incontro con Griffith l’ho visto insieme a mio padre, un italiano campione del Mondo dei pesi medi non era cosa da poco, ci facevamo garbare anche il pugilato, dopo Benvenuti nessuno è stato capace di farci stare in ansia guardando un incontro, forse Cassius Clay, ma non era italiano. Benvenuti rinnova i fasti di Carnera e Loi, dopo le Olimpiadi di Roma, frantuma il mito di Mazzinghi, pugile proletario, litiga a distanza con i rivali ma resta amico dei pugili con cui ha combattuto. Benvenuti abbraccia il figlio di Mazzinghi accanto alla bara del padre, molti anni dopo e rinnova il ricordo di tante battaglie sportive. Benvenuti e i cinque fantastici incontri contro Griffith e Monzon che me li sono visti tutti e li ricordo come se li avesse combattuti ieri, mentre non rammento un solo istante del pugilato contemporaneo, forse perché sono la mia infanzia, forse perché mi ricordano mio padre, uomo di poche certezze, l’Inter e Nino Benvenuti, che non si potevano perdere per nessun motivo al mondo quando passavano sul piccolo schermo. E ancora oggi che sento come una litania infinita la notizia della morte di Nino Benvenuti mi dico che è impossibile, non posso accettarla. Gli eroi sono sempre giovani e belli, quindi riavvolgo il nastro dell’ultimo incontro e rivedo le scene d’una sconfitta, 8 maggio 1971, Monaco, giorno infausto ma importante solo per averlo vissuto accanto a mio padre, indelebile il ricordo delle sue bestemmie quando il pugile triestino finisce al tappeto. Nino Benvenuti frequenta il mio tempo perduto, nella memoria si fondono ricordi che passano dall’Inghilterra e una squadra di calcio che perde contro la Corea, toccando il Principato di Monaco, vissuti in una casa proletaria davanti a uno stabilimento che sbuffa fumo nero nel cielo, un’antica poltrona di legno, un televisore in bianco e nero che rimesta in un grande calderone il primo uomo sulla luna, le scuse di Mondino Fabbri e i cazzotti di Monzon. Le poche certezze della nostra vita si stavano sgretolando, le illusioni cadevano al tappeto mentre Monzon picchiava duro e noi mica lo sapevamo che stava finendo un’epoca.

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