Mettersi a nudo: quando l’ipocrisia sostituisce l’esibizionismo

Articolo di Alberto Maccagno

Le politiche identitarie legate alle questioni di genere, di rivendicazione sessuale e di libertà sentimentale hanno tolto il gusto dell’esibizionismo dallo spogliarsi.

Il mondo dello spettacolo pop ha deciso di operare un rebranding della nudità femminile, respingendo l’ormai superata cultura delle donne immagine, portate dalla società a spogliarsi per vendere questo o quel prodotto, in favore di un gesto di emancipazione sessuale inequivocabile, dove le donne vengono portate dalla società a spogliarsi per vendere questo o quel prodotto. Ma, nel mentre, rivendicano uno spazio vitale, una condizione di libertà che non solo si traduce in una presa di posizione individuale e manifesta ma addirittura prende la forma di un atto politico.

Capita sempre più spesso, infatti, di vedere artiste, cantanti, attrici ecc. addurre motivazioni ideologiche al togliersi i vestiti, cavalcando solitamente i precetti della cultura neo-femminista e, come nel caso di Elodie, mostrandosi anche stizzite verso l’interesse che la loro ricercata sensualità genera, anche quando a perpetrarlo con leggerezza è una conduttrice radiofonica del suo stesso sesso.

Oggi come un tempo, l’aspetto estetico è utilizzato al fine di sedurre l’acquirente per fargli acquistare (o per fargli fare “click” su) un dato prodotto, sia questo musicale, televisivo o cinematografico, ma l’ipocrisia della modernità sta nel fare la predica a chi fruisce di questi contenuti con pappardelle moralistiche inutili e pretestuose che tolgono dai gesti la spontaneità del bello.

Succede persino nel mondo del porno, dove decine di creator raccontano il proprio lavoro come una postura rivoluzionaria in grado di far crollare le certezze della collettività, proponendosi come paladine della giustizia e sorvolando sui danni che la parasocialità promossa da piattaforme come OnlyFans sta generando soprattutto nelle persone più fragili e manipolabili.

Un discorso differente, ma non troppo, si potrebbe fare per chi decide di esibire corpi ritenuti al di fuori dei canoni estetici più apprezzati, magari perché obesi o in qualche modo segnati da malattie, deformazioni o problematiche fisiche anche meno debilitanti. Nell’approccio odierno della body positivity si equiparano, infatti, corpi segnati da affezioni di vario tipo (ossia il motivo per cui questa cultura è nata e dovrebbe continuare a lottare) a quelli sovrappeso, abbracciati sotto il concetto labile di grassofobia, che, a eccezione dei casi dove ciò deriva da una condizione patologica, sono la rappresentazione di una mancanza di cura verso sé stessi che ormai da anni permea il mondo occidentale e il volervi trovare una giustificazione che ci assolva dalle nostre mancanze assomiglia più a uno scarico di responsabilità che a uno slancio progressista.

Sempre più, anche in questo ambito assistiamo a una polarizzazione delle opinioni che contrappone le persone che trascurano completamente la salute dell’organismo in nome di chissà quale libertà a quelle ossessionate dalla forma fisica scultorea a discapito di tutto il resto, esponendo il proprio corpo persino a pratiche malsane pur di ottenere il risultato visivo sperato.

Ma è così anche per gli uomini, no?

Il motivo per cui in questo articolo abbiamo deciso di considerare la sola condizione femminile è da ricercarsi nel fatto che la condotta sessuale che ancora deve sostenere maggiormente il peso dei taboo è quella delle donne e una società che ricama inutili motivazioni filosofiche sull’atto di godere della propria bellezza e di vivere liberamente il proprio erotismo (anche esibito) continua a porre le ragazze in una condizione vittimistica, dove la propria scelta di mostrarsi senza veli e di avere una vita sessuale conforme ai propri desideri dev’essere ripulita da un fine nobile, arbitrario e spesso pretestuoso, come se il semplice desiderio non fosse già abbastanza.

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