“Cinque più uno”, una copertina che nasconde il fatto che stiamo per leggere un giallo

Articolo di Gordiano Lupi

Ho letto tutto quel che ha scritto Giuseppe Benassi, conosco a fondo il suo personaggio (Leopoldo Borrani), una sorta di alter ego di chi scrive, pure lui avvocato, chiamato a investigare su casi astrusi lungo le strade di Livorno e provincia. Cinque più uno ha per me un motivo di ulteriore interesse perché l’omicidio di Cosimo Erba – avvocato coetaneo di Borrani – avviene nelle campagne di Campiglia Marittima, per la precisione in un terreno in discesa che degrada verso Venturina e scopre uno stupendo panorama tra Populonia e il Golfo di Baratti, per non parlare – spingendo lo sguardo ancor più avanti – dell’Elba e della Corsica. In una parola casa mia, il mondo dove vivo, un piccolo mondo antico suggestivo, una provincia che amo con tutto me stesso. Borrani conosce dai tempi dell’Università la moglie di Erba, che si rivolge a lui per avere aiuto, insieme restringono la lista dei sospettati a cinque persone: una vecchia tedesca nazista, un kosovaro, un becchino fallito e sua moglie, un contadino. Forse non basta, il lettore dovrà seguire l’avvocato livornese nel suo certosino lavoro deduttivo per capire cosa ci sia davvero alla base del delitto, se una storia di risentimenti personali, un movente politico o che altro. Tutte cose che non interessano a chi deve scrivere una recensione, non un compito critico anticipare il finale e togliere suspense a una storia che segue le convenzioni della narrativa gialla. Il critico si sofferma sull’ambientazione affascinante che porta le indagini nel cuore degli amati luoghi, persino il mare piombinese di Baratti, e alla scoperta delle abitudini alimentari del Val di Cornia, citando il Diavolino, vino di Montepitti che ti ruba l’anima (da quant’è buono!) quando lo bevi. Non solo, apprezza la descrizione perfetta del personaggio principale, un tipo caustico e ironico, persino disincantato, che ama la buona tavola e le belle donne, il mistero e le indagini poliziesche. La struttura del romanzo è originale, scandita dai giorni della settimana e suddivisa in capitoli molto brevi; alcuni flashback riportano al passato, il dialogo e gli incontri inaspettati permettono l’incedere del racconto, mai pesante o didascalico. In un bar di Venturina ascoltiamo persino una canzone di Battisti (seduto in un caffè / io non pensavo a te…), quindi leggiamo che ci troviamo in “un gran brutto paese, provincia della provincia, vagamente simile a una cittadina americana” e ci rincuora che l’autore non stia parlando di Piombino ma dei non troppo amati cugini che vivono in piattaia (nomignolo dato ai venturinesi). Passiamo a scoprire Campiglia e Suvereto, due luoghi descritti molto bene, come borghi antichi che spuntano d’un tratto dal passato. Abbiamo anche la visione delle Terme di Venturina, la vasca del Calidario, i bagni rilassanti con l’acqua calda e curativa del Bottaccio, prima di tornare a Livorno e immergersi di nuovo nel lavoro. Conosciamo i boschi tra Campiglia e Suvereto, le battute di caccia, gli appartamenti del Lago Boracifero dove vivevano gli operai dell’Enel, la raccolta delle olive e la produzione dell’olio nei frantoi attrezzati. L’arma del delitto ritrovata e la scena del crimine indagata a fondo completano il quadro criminologico e investigativo, quindi si stringe il cerchio attorno al colpevole, ma non abbiamo la certezza che lo sia davvero. Per capire bisogna leggere con attenzione fino alla parola FINE, apprezzando con animo predisposto alle sorprese ogni possibile idea di conclusione. Edizione spartana prodotta da Transeuropa, copertina che nasconde il fatto che stiamo per leggere un giallo, prezzo adeguato ai tempi, 14 euro per 140 pagine, da leggere tutte d’un fiato.

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