Esegesi di un incipit salgariano: La favorita del Madhi. Usi e notazioni di stile

Articolo di Filippo Scimé

«La mia professoressa di lettere delle medie doveva appartenere a quella categoria di genietti che da bambini leggevano Kafka e Dostoevskij. Il primo giorno di scuola ci dette un componimento intitolato Le mie letture. Io piena di entusiasmo riempii pagine e pagine raccontando di Sandokan e dei suoi, e di quanto io mi sentissi parte di quel mondo. L’indomani lei commentò i componimenti di tutte le mie compagne, ma non il mio. Me, mi chiamò da parte e con aria disgustata mi disse che dovevo prometterle di non leggere mai più una sola pagina di quell’imbrattacarte. Che non capiva chi mi avesse messo tra le mani simile robaccia. Che si vergognava di me. Io non rispondevo né assentivo. Mi guardavo le scarpe e pensavo: -‘Ma questa è pazza. Come farò a passare tre anni con lei?’ E in effetti furono tre anni difficili. Io naturalmente non smisi di leggere Salgari, anzi la proibizione me lo faceva sembrare ancora più desiderabile». Questo l’esordio con il quale la celebre scrittrice Bianca Pitzorno apre il suo articolo, “Tigrotti Pitzorno, all’arrembaggio!”, presente nel n. 29 del giugno 2020 nella rivista ilCorsaronero.

Si tratta di una testimonianza quanto mai onorevole – per la penna dalla quale proviene – e di un pregiudizio duro a morire sulle capacità linguistiche e letterarie di Emilio Salgàri, definito ingiustamente “imbrattacarte”, riassumendo una dimensione ideologica di certa critica letteraria dell’inizio del secolo scorso.

Vediamo però come il pensiero espresso dalla professoressa delle medie nell’apostrofe della Pitzorno sia insensato, basandoci sull’incipit di una delle opere più interessanti dell’autore veronese, che possiamo definire “prototipo” del romanzo d’avventura. Stiamo parlando de La favorita del Madhi che, scritto nel 1887, apparì in precedenza, circa tre anni prima, a puntate su La Nuova Arena di Verona, innestandosi in quella tradizione consona alla produzione salgariana ossia quella delle storie a puntate, successivamente editate come romanzi. Un meccanismo molto interessante, dato che, come avremo modo di vedere ha influito molto sul dosaggio dei momenti di tensione, o di sospensione, dell’intreccio narrativo.

Alludiamo, dunque, a uno dei primissimi romanzi dove già dall’introduzione troviamo la cifra stilistica salgariana: “Era la sera del 4 settembre 1883. Il sole equatoriale, rosso rosso, scendeva rapidamente verso le aride e dirupate montagne di Mantara, illuminando vagamente le grandi foreste di palme e di tamarindi e le coniche capanne di Machmudiech, povero villaggio sudanese, situato sulla riva destra del maestoso Bahr-el-Abiad o Nilo Bianco, a meno di quaranta miglia a sud di Chartum.” Tutte le coordinate spaziali e temporali vengono definite, ma notiamo come Salgàri sia estraneo alla definizione preconfezionata dello scenario, anzi al contrario specifica l’ubicazione geografica e le condizioni climatiche in maniera precisa e lascia parlare il tempo e lo spazio a seconda di come essi si presentino e appaiano agli occhi dell’immortale sognatori di mondi; il dito puntato sulle carte si produce in una prosa chiara e ordinata, e interpreta differenti parametri geografici. E poi il mondo animale, che si butta a capofitto sugli occhi del lettore, e sparge le sue movenze umbratili su questa landa d’Africa che si riempie di antilopi, sciacalli, fenicotteri, ibis, abbeverantisi alle due sponde del Nilo bianco.

Diamo un occhio anche all’aggettivazione che stabilisce un paragone tra il dato scritto e la mente del lettore in un processo di immaginazione continua: è insomma un fantastico che attrae il fantastico e lo ricrea: il sole, equatoriale e rosso rosso – si noti la forma desueta per indicare il superlativo con la ripetizione dell’aggettivo di grado positivo – le montagne, aride e dirupate; le capanne coniche; il villaggio povero; il fiume maestoso. Un dato sicuramente non casuale che presenta le potenzialità dell’aggettivo qualificativo di definire ogni singolo aspetto dell’ambientazione che va componendosi.

Sole. Fiume. Orizzonte. Il narratore esterno, dopo brevi sequenze, si concentra sul molo e le viuzze del villaggio adiacenti a esso. Del luogo se ne percepiscono i rumori, la sonorità che dipinge uno scenario caotico che ha ritmi differenti: “Per ogni dove si udivano monotone canzoni accompagnate dal suono del tamburello, che gli echi delle foreste ripercotevano: un salmodiare di versetti dell’Alcorano, un muggito di animali, uno sbattere di remi, un chiamarsi, un salutarsi e al disopra di tutti quei rumori la voce nasale del muezzin”; una timbrica, dunque, rafforzata da quegli infiniti sostantivati ripetuti, di cui fa eccezione un participio sostantivato. Più che imbrattate queste carte sono variopinte, racchiudono differenti sfumature di colori narrativi; hanno un ritmo e un’intensità crescente.

La prosa salgariana è una prosa dinamica e vivida; pochi righi più avanti si affaccia la presenza del protagonista della storia che si presenta agli occhi del lettore di tutto punto: “Un ufficiale egiziano che era a prua […] saltò lestamente a terra salendo la erta sponda. Era questi un bel giovinotto sui venticinque o ventisei anni, alto di statura, di forme snelle, eleganti ed insieme vigorose. Il colorito della sua pelle era d’un bronzo alquanto carico con riflessi rossigni, la faccia piacevolissima, maschia, ardita, con due occhi che brillavano d’un fuoco selvaggio e d’indomita fierezza”. Qui la costruzione del sintagma nome-aggettivo presenta una massima concentrazione aggettivale, nella quale determina e qualifica l’oggetto con una predilezione ormai antiquata, ma che consente una configurazione completa. Salgàri “veste” i personaggi con le parole.

Sempre di queste pagine iniziali si potrebbe intuire la volontà di riportare espressioni e riferimenti etnografici arabi con caratteri latini: si veda il canto del Muezzin: “—La Allàh ila Allàh (Non è Dio fuor di Dio) Mahàmmed rosul Allàh (Maometto è l’apostolo di Dio) o il saluto di Abd el Kerim: “— Es-selàm âlekom, Oòseir (la salute sia con te) disse l’ufficiale”; senza dimenticare l’uso dei corsivi in stampa per definire aspetti tipici dell’ambientazione: basci-bozuk, narghilé, rekuba, mudir, dahabiad e non la traduzione nel corrispettivo italiano. È un lessico studiato per rispettare il contesto e l’ambientazione della storia.

Consideriamo oggettivamente la narrativa salgariana. Certo è che per una pura questione di gusto può piacere o meno, ma tecnicamente bisogna riconoscere un valore, al netto dei mezzi di cui si serve lo scrittore, che non è stato mai riduttivo. Dunque, rileggiamolo e soffermiamoci pure sulla disseminazione semantica, antropologica, culturale che ha lasciato come contorno a un mondo pieno di avventure che hanno composto una geografia del mondo ignoto, solo posteriormente riscoperto da altri interessi e altri studi, dato che ormai la narrativa pare averlo abbandonato, al di là della fiammella che continua ad animare fedeli lettori e ammiratori del Poeta dell’Avventura.

Related Articles