“Senza titoli. Sovversi”, l’opera prima di Mirko Boncaldo

Articolo di Gordiano Lupi

Mirko Boncaldo, un giovane poeta laureato in lettere che si occupa di diritti umani, tutela ambientale e tematiche di genere, dà alle stampe la sua prima silloge basata in gran parte sull’emozione scaturita dalle parole, su un linguaggio ricercato e colto, sulla musicalità del verso. Notiamo molti termini insoliti, astrusi, ricercati con cura minuziosa, emblematico l’uso di espressioni come sciaminare, lacerto, arillo… che denotano grande lavoro di scavo lessicale. Tra tutte le poesie contenute nella breve opera trovo molto affine al mio sentire quella pubblicata a pagina 27 (le liriche, molto brevi, sono prive di titolo), che riporto per intero: Dove mesce il torrente nella valle, / muretti a secco riparano aranceti, / melograni, ulivi, un vecchio mulino / in rovina e la memoria di mio nonno / seminata nei grani antichi di Sicilia, / nelle sigarette sfuse di mio padre, / nei finissimi spilli del fico d’India / trapunti nelle mani di un bambino. / ammassati come il pane, / questi sono i miei ricordi, le mie / confabulazioni. Poesia fisica del ricordo, versi tangibili che riportano alla memoria un nonno dai grani antichi siciliani e un padre dalle sigarette sfuse, ma anche le spine del fico d’India sentore della sua Sicilia. Questo è il ricordo, tangibile, proustiano, fatto di profumi e dolori, piccole cose che riportano il passato alla memoria. Lo stile di Boncaldo è ricercato, composto da pause brevi e grida acute che esplodono nei versi, atmosfere rarefatte e familiari, che toccano l’apice nella poetica delle cose andate: per ogni lacerto / che la storia non racconta / raccolgo ogni memoria. Perché questo è il compito del poeta: farsi collezionista di memoria da custodire gelosamente nei propri versi. La memoria è la scorta di scarti accumulata / rimossa / blinde / che più non si dice. / scancellata / logora / massacrata / è l’ultima non l’ultima rivolta parola / quella che si perde / quella che non si ritrova. / apolide. Ottimo l’uso degli aggettivi, scagliati nei versi liberi come pietre, capaci di segnare il passo della lettura, di scalfire l’anima e di non abbandonare il lettore. Un libro prezioso da leggere e da rileggere, come ogni opera poetica, da sorseggiare lentamente come un buon vino d’annata. Il problema è che se vogliamo promuovere la poesia non possiamo pubblicare una plaquette di 40 pagine al prezzo di 15 euro, stampata su carta uso mano e copertina in cartoncino bianco senza alette. La casa editrice Transeuropa è meritoria per capacità di selezione ma dovrebbe moderare il prezzo di copertina, anche se siamo consapevoli di quanto sia difficile vendere libri di poesia.

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