Morire a ventuno anni a Palermo con un colpo di pistola esploso quasi a bruciapelo. Un episodio, non proprio raro all’interno del fenomeno della movida, che pone alla società civile qualche domanda. Era l’assassino cosciente del danno irreparabile che stava causando? Esiste nelle menti di queste persone una coscienza civica che consente loro di non uscire da casa con una pistola e soprattutto di non usarla? Qual è la genesi di un fenomeno del quale si parla molto nei mass media e nei social?
Analizzando quanto successo sembra un paradosso, ma sta venendo a mancare nel territorio, nella fattispecie nei quartieri, il controllo malavitoso della criminalità organizzata. Lontana da me l’idea che prima era meglio, ovvero che la presenza del boss di quartiere o del mandamento fosse cosa buona. Una presenza che “regolamentava” cosa si poteva fare e cosa non si poteva fare nel territorio. Contestualmente a questo processo di delegittimazione del potere mafioso, grazie all’azione delle forze dell’ordine e dell’ordinamento giudiziario, stiamo assistendo alla proliferazione delle armi da fuoco il cui uso, nelle menti offuscate di certi personaggi, rappresenta l’affermazione del proprio potere nel territorio legato anche allo spaccio di stupefacenti.
A peggiorare le cose stanno prendendo forza disvalori che proliferano tra i giovani che purtroppo, come nel caso del recente assassinio, afferiscono a un modello che si rifà a comportamenti e ideali mafiosi. In questo difficile scenario lo stato ha un obbligo morale, a mio parere, che è quello di fare sentire la propria presenza nel territorio con postazioni fisse e mobili nelle zone più a rischio, con funzioni di prevenzione e controllo.
Ma questo non basta! Ritengo che dobbiamo tornare a praticare un nuovo modo di concepire le relazioni umane auspicando un nuovo umanesimo che, partendo dalle famiglie e passando dalla scuola,
permetta a tutti i giovani di sperimentare una vita alternativa a quella spesso proposta dai “cattivi maestri” che basano i loro insegnamenti sulla pratica della violenza per acquisire potere.
Va detto che la movida che spesso di trasforma in “malamovida” è caratterizzata dalla circolazione e dall’uso di stupefacenti e di alcool. Nel caso degli stupefacenti è possibile esercitare un’azione di repressione in quanto le leggi sono alquanto, giustamente, severe. L’alcool è un prodotto molto pericoloso legale e non ho sentito nessuno nei social e nelle manifestazioni di piazza puntare il dito contro il consumo esagerato di alcolici. Questo perché nessuno, compresi gli stati, hanno interesse a “delegittimare” un’industria che genera miliardi di euro di fatturato ogni anno. Il fatturato annuo italiano dei superalcolici, liquori e acquaviti, nel 2024 è stato di circa 4,7 miliardi di euro, in crescita del 5,7% rispetto all’anno precedente. I dati si riferiscono all’ultima rilevazione disponibile da un report dall’ufficio studi Pambianco.
Tutti sappiamo che l’alcool, come la droga, altera la percezione della realtà e delle conseguenze delle proprie azioni, tanto è vero che le risse e i fatti criminosi sono spesso presenti all’interno della “malamovida”, generando situazioni di grande pericolo che poi si trasferiscono nelle strade quando ci si mette al volante con un tasso alcolometrico fuori dalla norma.