Mi ha molto colpito l’articolo scritto da Enzo Risso e pubblicato su Il Domani con il titolo “Benvenuti in Italia: una società infragilita e dal futuro incerto”. Un’analisi lucida e chiara di come l’Italia contemporanea stia attraversando una crisi profonda che non è solo economica, ma soprattutto esistenziale e culturale. Le percentuali e le riflessioni contenute nel contributo di Risso rappresentano uno specchio inquietante delle trasformazioni che investono la società italiana e le nuove generazioni.
Come scrive Risso, “l’infragilimento italiano è il sintomo di un adattamento doloroso a un mondo in cui le certezze e le protezioni collettive (welfare, lavoro stabile) si sono dissolte; in cui l’alienazione si alimenta nel divario tra velocità del cambiamento e capacità di adattamento”.
L’Italia non è semplicemente “più fragile”, ma è diventata “infragile”, una parola che rimanda alla frattura interna del tessuto sociale, alla perdita dei legami di senso e alla crescente incapacità di leggere e abitare il presente.
L’indagine resa nota dal ricercatore Enzo Risso è stata condotta nel marzo 2025 dall’osservatorio Fragilitalia del centro studi Legacoop e Ipsos.
Il dato Istat sul calo del potere d’acquisto – “un crollo del 10,5 per cento tra il 2019 e il 2024” – è solo una delle manifestazioni più evidenti di questa crisi. A questo si aggiunge “lo sgretolarsi della possibilità di mantenere stabili i livelli di benessere acquisiti” e “la paura di perdere i livelli di reddito attuali”, una condizione che colpisce in modo drammatico “i ceti popolari”.
Ma la fragilità non si esaurisce nel campo materiale: riguarda profondamente l’identità individuale e collettiva. “Un quarto della popolazione avverte il proprio bagaglio culturale e di conoscenze come inadeguato rispetto alle dinamiche della società di oggi”, un dato che cresce tra i giovani, le persone meno scolarizzate e gli abitanti del Mezzogiorno. Questa percezione di inadeguatezza produce isolamento, insicurezza relazionale, difficoltà a progettare il futuro.
Sono soprattutto i giovani a essere coinvolti in questa crisi multidimensionale. “Tra i giovani l’incertezza esistenziale coinvolge anche le relazioni con gli altri, spingendo le persone a isolarsi e a chiudersi in sé stessi: il 17 per cento delle ragazze e dei ragazzi under 30 denuncia un incremento della labilità della rete amicale”. La precarietà esistenziale, quindi, si trasforma in una precarietà affettiva, sociale, psicologica.
I miei studi sociologici confermano queste tendenze. È la fragilità a spingere molti bambini e preadolescenti a cercare rifugio nel mondo digitale, anche attraverso l’utilizzo di profili falsi per accedere a contenuti pornografici online. Un comportamento che rivela un bisogno di contatto, di esperienze, ma soprattutto un’assenza di strumenti emotivi adeguati per affrontare la realtà.
I giovanissimi si rifugiano dietro lo schermo, perché questo filtro digitale li protegge – o almeno dà loro questa illusione – dalle proprie insicurezze. Ma le conseguenze, spesso, sono gravi: la sovrapposizione tra realtà virtuale e vita reale sta diventando pericolosamente sfumata.
Viviamo immersi in quella che può essere definita una “iperrealtà esperienziale costante”, in cui tutto appare vero e accessibile, ma che in verità produce isolamento, insoddisfazione e incapacità relazionale. Nelle “comunità guardaroba”, come le chiama Zygmunt Bauman, le relazioni diventano intercambiabili: si scartano con la stessa rapidità con cui si cambiano vestiti, alla ricerca costante della “relazione perfetta”.
Serve un nuovo patto educativo, una ridefinizione significativa del modo in cui prepariamo i giovani (e non solo) alla vita. Occorre ripensare l’umano in chiave relazionale, promuovendo una consapevolezza di sé e dell’altro che oggi manca drammaticamente. Come ci ricordano i dati dell’Osservatorio Fragilitalia, l’incapacità di mantenere relazioni, di comprendere i cambiamenti, di stare al passo con le innovazioni è oggi una delle principali fonti di disagio identitario.
Nonostante il quadro tracciato sia complesso, non possiamo arrenderci. Proprio perché questa crisi è anche culturale, relazionale ed educativa, possiamo e dobbiamo agire. Le fragilità, una volta riconosciute, possono diventare leve di trasformazione. L’Italia ha bisogno di una nuova stagione pedagogica, di politiche inclusive, di reti di solidarietà e di cura.
In un’epoca in cui tutto sembra sgretolarsi, dobbiamo ricostruire i legami: tra persone, tra generazioni, tra realtà e consapevolezza. L’infragilimento può essere il punto di partenza per un nuovo umanesimo, in cui si torni a investire sull’uomo, non solo come produttore, ma come essere relazionale, vulnerabile e capace di dar vita ad un futuro meraviglioso.