Emilio Miraglia (1924) entra nel cinema come segretario di edizione, prosegue come aiuto e assistente, soprattutto a fianco di Luciano Salce, Ugo Tognazzi, Luigi Comencini e Carlo Lizzani. Dirige pochi film commerciali, alcuni con lo pseudonimo di Hal Brady. Nel genere horror si ricorda per La notte che Evelyn uscì dalla tomba (1971) e La dama rossa uccide sette volte (1972).
La notte che Evelyn uscì dalla tomba (1971) è interpretato da Anthony Steffen (Antonio De Teffé), Marina Malfatti, Erika Blanc, Giacomo Rossi-Stuart e Umberto Raho. Si tratta del più classico dei gialli gotici sulla follia di un nobile, ossessionato dalla moglie che pensa di aver ucciso e adesso spinto ad ammazzare prostitute dai capelli rossi. Il matrimonio con la bella Marina Malfatti produce in lui l’effetto di cominciare a vedere la moglie morta. Si tratta di una messa in scena per appropriarsi dei beni del marito, ma lui non lo sa e gli effetti speciali sono molto ben fatti. La follia del marito vedovo che si ritiene colpevole della morte di parto della moglie è ben illustrata nell’antefatto in manicomio e nelle successive scene di sadismo erotico. L’ambientazione gotica in un malandato castello è ottima, così come sono interessanti le lunghe sequenze nella sala delle torture con le vittime frustate e marchiate a fuoco. Elementi di horror erotico che ricordano i fumetti neri del tempo si fondono a visioni oniriche di taglio fantastico. Una seduta spiritica riporta Evelyn al castello, ma il marito sviene per l’emozione e si tuffa di nuovo nelle sue perversioni. Erika Blanc in stivaloni anni Settanta, mentre danza seminuda e si concede al sadismo del conte è un’altra sequenza indimenticabile. Marina Malfatti compare dal niente e spinge il padrone di casa verso un nuovo matrimonio, ma subito dopo appare il fantasma di Evelyn. Le suggestioni horror sono numerose, vanno dalle apparizioni misteriose durante notti di tregenda a una bara vuota all’interno della cripta. La Malfatti è una dark lady tenebrosa che vuole soltanto i soldi del marito, ma in realtà è una pedina nelle mani di un turpe cugino e della sua amante. Il delitto perfetto non si compie perché il marito scopre la macchinazione e manda a monte il piano con l’aiuto del medico.
Il film è più un thriller soprannaturale che un horror, ma ci sono elementi di fantastico e connotazioni gotiche che lo fanno inserire in questa trattazione. La commistione di elementi erotici e macabri è interessante, anche perché presenta senza veli due straordinarie bellezze come Marina Malfatti ed Erika Blanc. Come nota di colore si dice che il film sia uscito negli USA accompagnato dalla vendita di Bloodcorn, pop-corn tinti di rosso, per sottolineare la presenza di elementi macabri. Scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Fabio Pittorru e Massimo Felisatti.
La dama rossa uccide sette volte (1972) è interpretato da Barbara Bouchet, Ugo Pagliai,Marina Malfatti, Sybil Danning, Marino Masé, Pia Giancaro e Carla Mancini. Il soggetto piuttosto confuso è opera del regista che scrive la sceneggiatura con la collaborazione di Fabio Pittorru. La storia prende le mosse da un’antica maledizione francese dei Wildenbruch: ogni cento anni la dama rossa si reincarna in una sua discendente e ammazza innocenti per vendicarsi di essere stata uccisa dalla sorellastra, chiamata la dama nera. Il film è composto da uno scorrere di omicidi efferati e di sospetti all’interno di un claustrofobico castello gotico. Ugo Pagliai sospetta che la posseduta possa essere la moglie Barbara Bouchet. Miraglia tenta il bis del primo film e realizza un nuovo finto horror ambientato in tempi moderni, che volge al thriller poliziesco stile Dieci piccoli indiani. Possiamo definirlo un film gotico perché l’atmosfera macabra è presente in ogni scena e c’è pure la maledizione che viene dal passato. Non manca la suspense e il colpo di scena finale giunge al termine di un percorso intenso, forse in modo costruito e contorto, ma senza dubbio non lascia indifferenti. Elementi erotici si fondono a momenti macabri, così come desta interesse la continua caccia al colpevole che potrebbe essere uno spettro come un umano. Il film è più un thriller psicologico che un horror, soprattutto perché la storia della maledizione e la messa in scena della dama rossa nascondono squallidi motivi di interesse ereditario.
Molto suggestivo l’antefatto con le due sorelline che litigano davanti al quadro delle due dame leggendarie e il racconto del nonno sulla maledizione del castello. Le apparizioni della presunta dama rossa sono interessanti momenti horror, sia perché uccide in maniera efferata, sia per la risata ghignante che accompagna i suoi passi. La mano guantata del killer ricorda i lavori di Mario Bava e molti sexy thriller italiani, mentre il folle incappucciato che si aggira per le stanze del castello è un elemento gotico. Non mancano cripte, pipistrelli, antiche scale, ragnatele, topi, tombe scoperchiate, cadaveri che vengono dal passato. Il finale è da incubo, tra topi che invadono le stanze e un torrente d’acqua che allaga e sconvolge. La scoperta del vero omicida che si nasconde dietro una maschera è un ottimo colpo di scena.