A volte capita vero cinema in televisione, fiction come Di padre in figlia, un qualsiasi lavoro firmato Pupi Avati – occhio a Il fulgore di Dony, in programmazione nel mese di ottobre – meritano molto di più che un cinepanettone o una commedia italiana firmata dal comico del momento. In arte Nino è cinema biografico e storico, perché racconta la vita di un grande attore come Nino Manfredi – vero nome Saturnino – dagli anni giovanili passati in sanatorio al primo successo con Canzonissima, sintetizzando con passione gli anni del fascismo, la guerra mondiale, i bombardamenti, la ricostruzione e la voglia di tornare a vivere tipica dei primi anni Cinquanta. Luca Manfredi (1958) – regista e sceneggiatore – rende omaggio a un grande padre, con intelligenza e amore, scrivendo un film ricco di bozzetti d’epoca e ricordi di famiglia, battute, scherzi, voglia di emergere nel mondo del teatro, amicizia e scontri familiari con il padre. Scenografia e costumi che sfiorano la perfezione, fotografia anticata, color giallo ocra, come va di gran moda adesso – pare impossibile realizzare una fotografia diversa! – montaggio da cinema, sceneggiatura ricca di colpi di scena. La colonna sonora di Nicola Piovani, tra chitarra e pianoforte, è struggente ed emozionante al punto giusto. Elio Germano è un attore straordinario, capace di calarsi nel personaggio con una dedizione assoluta, ricalcando i gesti reali, la mimica, il modo di parlare di un Manfredi orgogliosamente ciociaro. Perfetto nei panni del grande Nino, così com’era stato convincente nel Leopardi di Martone; per passare con disinvoltura dalla caratterizzazione di due ruoli così diversi bisogna essere proprio dei grandi attori. Miriam Leone è Erminia, la donna della vita di Manfredi, il grande amore incontrato per caso durante una festa di fidanzamento finita male, alla quale l’attore partecipa per recitare una serenata. Una dichiarazione di Elio Germano rende bene il senso del film: “Abbiamo fatto il prequel della saga di Nino Manfredi, narrando la parte meno conosciuta di una storia che il pubblico può sviluppare da solo andando a vedere i suoi film”. Elio Germano è così bravo da riprodurre tic e movimenti dell’attore, con le sue espressioni caratteristiche, prima tra tutte la ormai proverbiale fusse che fusse a vorta bbona. Lo spettatore conosce una parte ignota della storia, soprattutto la fatica che ha fatto Nino Manfredi per emergere, il rischio di morire per tubercolosi, gli scontri con un padre che lo voleva avvocato – diventerà il suo primo fan – l’amicizia con Tino Buazzelli e il passaggio dal teatro drammatico all’avanspettacolo, ai personaggi comici conditi di ironia e sarcasmo. Il successo è storia che non interessa, comincia proprio dove finisce il film, dopo aver incontrato l’amore. Non resta che andarsi a vedere C’eravamo tanto amati, Pinocchio, Café Express, Brutti sporchi e cattivi…e tanti altri capolavori per completare il ritratto che il figlio Luca – buon regista che ha persino diretto il padre nel famoso spot Lavazza e nel film Grazie di tutto (1998) – ha cominciato a schizzare sulla tela. Credo che pure lui sia consapevole che In arte Nino è il film della sua vita, il miglior lavoro che ha realizzato sino a questo momento. Forse sarebbe piaciuto anche al padre.
Regia: Luca Manfredi. Soggetto e Sceneggiatura: Luca Manfredi, Elio Germano, Dido Castelli. Scenografia: Mariangela Capuano. Fotografia: Fabio Olmi. Musica. Nicola Piovani. Suono: Francesco Lorandi. Produzione: Rai Fiction, Compagnia Leone Cinematografica. Interpreti: Elio Germano, Miriam Leone, Stefano Fresi, Anna Ferruzzo, Duccio Camerini, Massimo Wertmuller, Paola Minaccioni, Leo Gullotta, Giorgio Tirabassi.