La professione di avvocato tra cambiamenti e nuove responsabilità

Articolo di Massimo Rossi

Questa mia riflessione è rivolta a tutti gli avvocati che hanno alle spalle oltre 25 anni di esperienza. È rivolta a quelli che io definisco, amorevolmente, visto che per me sono 35 anni, gli ultimi “dinosauri”. Noi abbiamo studiato alle Università il diritto, poi abbiamo fatto (gratis) la pratica forense, poi abbiamo fatto l’esame di avvocato (il sottoscritto quello di dottore procuratore, vista l’età) e poi abbiamo deciso di fare gli avvocati, nonostante tutto. Quando abbiamo iniziato non avevamo una pratica e quello che in genere si faceva era restare per qualche anno nello studio del dominus. Qualcuno c’è restato e qualcuno no. Ma sempre pro amore dei e nell’ottica che non era importante il “soldo”, ma imparare. Alcuni di noi poi hanno aperto loro studi e si sono resi autonomi. Hanno imparato che ci sono costi non piccoli ed una Cassa Avvocati che non è proprio tenera. Ma non è questo il punto.

Il punto è che noi si faceva gli avvocati, ovvero si studiavano le carte, si davano pareri, si ricevevano i clienti e si imbastiva una causa. Se si era civilisti si predisponevano le citazioni o i decreti ingiuntivi (o altri atti) se si era penalisti si difendevano gli assistiti nelle varie fasi del procedimento e processo. Avevamo il piacere di essere avvocati cioè coloro che attraverso il loro sapere difendono le persone. Si predisponeva un atto, si andava dal cancelliere ( di solito, un amico) e si depositava, poi tale atto faceva un suo percorso che non era cosa nostra, non era una nostra responsabilità. Noi dovevamo solo occuparci di fare un atto sostenibile in fatto ed in diritto e di depositarlo (con il timbro) nei termini e con le scadenze di legge. Una volta depositato era questione del sistema burocratico-giudiziario occuparsene. Se in questa catena burocratico-giudiziaria capitava qualcosa poteva essere che era favorevole all’assistito oppure no.

Prima il processo civile e poi quello penale hanno subito quello che si può definire una “sterzata telematica”. Voglio, immediatamente, sgombrare ogni e qualsiasi dubbio sul fatto che chi scrive sia contrario ad una procedura telematica che sia di ausilio rispetto al processo. Il punto è proprio questo: il sistema telematico, sempre più complesso ed astruso, è un elemento di aiuto all’avvocato e, quindi, per contro al cittadino? La risposta è tutto meno che semplice. In prima battuta, verrebbe da dire di si, ma ci sono alcuni aspetti che, a mio parere, la classe forense non ha tenuto in considerazione. Facciamo un esempio pratico molto frequente, per capirci. Facciamo l’esempio che il nostro avvocato debba depositare un appello. Prima lo avrebbe portato in cancelleria con le copie per la Corte d’Appello ed avrebbe portato con se una copia dove fare apporre un depositato (pagando i diritti, ci mancherebbe). Il fascicolo, una volta completo, avrebbe fatto un viaggio dal Tribunale di provenienza alla sede della Corte d’Appello. Oggi, l’appello (quando il portale funziona) si deposita in modo telematico. E qui il primo abbaglio: bella idea così non perdo tempo per andare in Cancelleria.

Ma poi ti arriva una pec dell’Ufficio che ti dice: Caro Avvocato, ci porti le copie cartacee, altrimenti l’appello non parte per la Corte ed al suo cliente viene addebitata una”tassa” per copie. Allora, viene da pensare ad un avvocato di provincia come me: ma il telematico a cosa serve? Le copie possono farsele da soli oppure consultare l’atto nel PC. Con tutta evidenza, nel tempo del telematico, la testa è ancora al cartaceo e l’obbligo ricade sul legale. Ma questo sarebbe nulla. Sul legale ricade non solo il mero invio di copie (che sarebbe ben poca cosa), ma l’invio per le vie “corrette” dell’atto in questione. E qui viene il bello. Siamo in continuo moto tra pec, portale, app e qualsiasi altra diavoleria telematica con un unico minimo denominatore: non funzionano. E fioccano le inammissibilità per ragioni che nulla hanno a che vedere con la bontà e correttezza dell’atto presentato. Qui veniamo al punto dolente molto grave e pericoloso per gli avvocati.

Il sistema telematico non chiaro e, soprattutto, non sempre sicuro, determina da un lato il pericolo per l’avvocato di depositare in tempo un atto (che scade) e dall’altro di depositarlo nei modi richiesti. A chi scrive risulta un insulto, non tanto all’avvocato, ma al cittadino che il sistema telematico non solo crei barriere e problemi tecnici, talvolta complessi, ma che sia l’avvocato (e, quindi, il cittadino) a farne le spese. La inammissibilità che ha come natura e spiegazione non l’atto, ma la modalità di deposito telematico è una norma che viola la costituzione nel principio del facile accesso alla giustizia. La Carta Costituzionale all’art. 24 sancisce un principio chiaro ed inequivocabile: vi deve essere un accesso alla giustizia per tutelare i diritti ed i cittadini devono averlo senza lacci e laccioli tantomeno telematici. Il punto è che oggi l’avvocato non solo ha tutte le responsabilità della sua professione, ma dovendo fare anche il lavoro della PA giudiziaria, si deve sobbarcare di ulteriori ed altre responsabilità. Le responsabilità sul metodo attraverso il quale si ha accesso alla giustizia.

E questo non è tollerabile e non è pagato. Non è tollerabile non perché gli avvocati (a parte chi scrive) non abbiano competenze informatiche, ma perché ad un avvocato che difende i diritti dei cittadini che hanno diritto a difendere i loro diritti davanti alle corti nei vari giudizi non è tollerabile fare venire meno tale diritto sulla scorta di un “balzello telematico”, peraltro, è noto che non funziona. Forse molti avvocati non se ne sono accorti, ma si sono così ampliate le ipotesi di inammissibilità dell’atto e si sono ampliate con una discrezionalità della PA enorme per non dire arbitraria che rasenta l’illecito. Si è giunti al parossismo di un tecnicismo informatico che non può e non deve essere il patrimonio di tutti. Allora, viene da pensare male e viene da pensare che questa accelerazione sulla informatica, in realtà, voglia solo selezionare gli studi legali, fare vivere solo i più grandi che possono permettersi tecnici informatici in studio, ridurre gli studi, ridurre i professionisti, ridurre il numero a vantaggio di “studi imprese” che a loro volta sono manovrabili, proprio in ragione del loro peso e concentrazione. Un pensiero malizioso? Forse sì, ma è un pensiero realistico.

Vi è un fatto e cioè una informatizzazione che, peraltro, non funziona ed il mal funzionamento lo faccia ricadere addosso al professionista è o non è in aperta violazione dell’art. 24 Cost.? Riteniamo che si stia facendo molto, ma se l’inammissibilità viene da una pec o un deposito telematico errato, l’avvocato che è in me pensa che nella patria del diritto (frase abusata) si muoia “senza diritto di difesa”.

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