Ho già apprezzato la poesia di Luigi Palazzo in Non raccontarmi il cielo (Manni, 2019) e Bar Samarcanda (Transeuropa, 2021), adesso lo ritrovo in versione ancor più matura in questo Pietre e miraggi, inserito nella collana Portosepolto dell’anconetana PeQuod, curata da Luca Pizzolitto e Massimiliano Bardotti. Sono liriche dedicate alla madre che vince sull’assenza e introdotte da una citazione (inedita) da Giuseppe Alessandro Rizzo, che conferisce il senso e il ritmo alla situazione, indicando che ogni posto diventa per qualcuno il luogo del ritorno, intriso di ricordi. Le liriche sono suddivise in due sezioni: Polvere e campane, Andante ritorno. Polvere e campane introduce in un mondo che per il poeta è il luogo dove tornare per ritrovarsi, in una parola è il Sud salentino, capace di trattenere vite rassegnate, / pietre e miraggi. La storia del nonno inserisce una matrice politica e sociale alla raccolta, sembra quasi di vederlo questo fratello che giocava alla Rivoluzione con una tovaglia rossa inchiodata allo stipite di legno della porta, correre sui campi inneggiando al lavoro, vivere una storia di lotta e di solidarietà, un uomo che fischiettando trainava / la vita su un sentiero / di piume e macerie. Il ricordo del paese natio è la memoria delle tradizioni, che siano la processione del venerdì Santo come i funerali partecipati da tutti gli abitanti che quando se ne andava / uno di noi / era / uno di noi / che se ne andava. Il paese del ricordo declina il futuro al tempo presente, usa il verbo trovare per indicare la ricerca e la domanda del motivo, mentre il poeta rammenta la morte di un sindacalista ventenne, tra i racconti di un’umanità che scorticava il metallo nelle pentole / per una briciola e cercava nella vigna / riparo dalle bombe / o dalla vergogna. Scontare il Sud è il destino del poeta, vivere due vite / in mille inciampi. Andante ritorno è una sezione composta di liriche brevi, quasi rapide sensazioni legate ai ricordi più dolorosi e intensi d’una terra lontana. Per questo le parole che restano / sono scorie / sono ombre /senza corpo mentre il poeta conclude: riesco ancora a ferirmi / con le parole / che non mi hai detto. Le descrizioni del paesaggio servono per inanellare ricordi, la natura nasconde e rivela i luoghi dell’anima, mentre l’autunno milanese / rovista tra i pensieri d’un passante. Il ricordo della madre perduta diventa un solo pensiero con la memoria di un se stesso bambino che non ha mai visto la neve e domanda dove sia il cielo / quando è buio. La mancanza del padre è tutta nel ricordo del poeta che poco più che bambino l’ha visto bambino guardarlo saltellare con lo zaino in spalla, mentre inconsapevole andava incontro al destino. La raccolta si chiude con momenti ermetici e musicali, immagini di calabroni che muoiono smembrati dalla notte, preghiere in cerca di protezione e totale inconsapevolezza sull’utilità delle nuvole, in un afflato pasoliniano rivolto alla meravigliosa e sconvolgente bellezza del creato. Un solo particolare negativo di una splendida raccolta è il prezzo eccessivo (15 euro per 60 pagine) imposto dall’editore che non facilita l’avvicinarsi del lettore alla poesia.
DUE POESIA TRATTE DALLA RACCOLTA
1.
Spiragli.
Vetrate levatrici ed eco.
La croce che galleggia sopra il buio,
il buio che penetra la pietra
delle navate, gambe di madre.
Luce.
Passato futuro.
2.
L’enigma del sole di novembre
accende la pietra
per la via.
Riesco ancora a ferirmi
con le parole
che non mi hai detto.