“Queer” di Luca Guadagnino, la fedele trasposizione per il cinema del romanzo breve di William S. Burroughs

Articolo di Gordiano Lupi

Queer di Luca Guadagnino è la fedele trasposizione per il cinema del romanzo breve di William S. Burroughs, in gran parte autobiografico, scritto tra il 1951 e il 1953 ma pubblicato solo nel 1985. L’autore ebbe grande difficoltà a scrivere il racconto di un momento difficile della sua vita, al punto che terminata la redazione non riusciva neppure a rileggerlo, per questo motivo l’uscita in libreria fu rimandata a oltre vent’anni dopo, quando gli eventi alla base della storia sembravano metabolizzati. Il titolo italiano del romanzo, edito da Adelphi, in un primo tempo è stato Checca, poi modificato in Diverso, quindi nel 2013 la scelta migliore di lasciare l’originale Queer, per un testo ben tradotto da Katia Bagnoli. La storia, ambientata tra Città del Messico ed Ecuador, racconta l’amore tra il protagonista William Lee – uomo soggetto a molte dipendenze – e un giovane giornalista inglese (Allerton), che non lo corrisponde, ma accetta di intrecciare una relazione mercenaria e di accompagnarlo in Sudamerica. La storia d’amore omosessuale va di pari passo con il viaggio in Ecuador alla ricerca dello yage, arbusto dal quale si credeva di poter estrarre una sostanza capace di conferire poteri telepatici. Finale onirico e psichedelico, con un epilogo che racconta il disfacimento di un uomo in crisi. “Il libro è motivato e plasmato da un evento che non viene mai menzionato, che è anzi evitato con cura: l’uccisione accidentale di mia moglie Joan con un colpo di pistola avvenuta nel settembre del 1951”, scrive Burroughs nella illuminante introduzione all’edizione del 1985. Tutta la narrazione è intrisa degli ambienti messicani, odiati e amati dall’autore, rifugiato in America Centrale per sfuggire a una giustizia statunitense che lo avrebbe processato come eroinomane. Un romanzo scritto durante “un allucinato mese di feroce astinenza, avvolto da un bagliore infernale, minaccioso e malvagio, che fuoriesce dai bar illuminati al neon; la sordida violenza, la 45 sempre a portata di mano”, scrive ancora l’autore. Secondo romanzo di Burroughs dopo il successo di Junky e prima de Il pasto nudo, questa volta non per mettere su carta le sue esperienze di tossicomane, ma – usando lo stesso protagonista (Lee, una sorta di alter ego) – fare una cronaca spietata di ricordi dolorosi e laceranti. Queer è un romanzo ossessivo e inquietante che ha come tema di fondo la ricerca dell’appagamento del desiderio, a ogni costo, persino ricorrendo alla magia nera, anche se il desiderio è sempre destinato al fallimento. Pubblicare un simile romanzo negli anni Cinquanta – in pieno maccartismo – sarebbe stata una follia e il suo autore sarebbe stato messo al bando, sia per un’esplicita narrazione di amori omosessuali, sia per i continui riferimenti alla tossicodipendenza. Risulta di grande interesse per capire la genesi della narrazione e il ritardo (dovuto) nella pubblicazione la stupenda introduzione di Oliver Harris, che non va assolutamente omessa prima della lettura. Queer è di fatto un romanzo incompiuto, ma l’autore inserisce un epilogo con il ritorno a Città del Messico alla ricerca del suo amore per tirare le fila degli eventi lasciati in sospeso. Burroughs si fa leggere anche da un lettore contemporaneo, il suo stile non risente del tempo passato perché si basa su dialoghi rapidi e incisivi e si concede descrizioni di ambienti molto suggestive. Il romanzo risulta interessante per chi ha avuto modo di apprezzare il film omonimo di Luca Guadagnino perché definisce alcuni punti in sospeso e chiarisce situazioni modificate per esigenze cinematografiche.

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