Il 20 giugno, nella chiesa di Santa Barbara a Licata (AG), è stato presentato il libro “Dio nella mia vita” di Angela Maria Scala. Una serata intensa e ricca di significato, moderata da Padre Leopoldo Argento, che ha espresso parole di sincera ammirazione per l’autrice, sottolineando il valore umano e spirituale della sua testimonianza.
Nel mio intervento ho voluto mettere in luce l’importanza e il significato della fede nella contemporaneità, sottolineando come l’opera “Dio nella mia vita” sia un prezioso documento culturale e sociale.
Nel corso dell’incontro, la professoressa Giuseppina Incorvaia ha dialogato con l’autrice, evidenziando la centralità della fede nel suo percorso di vita, ma anche la sua forza come donna. Il tema della condizione femminile è emerso in modo significativo, offrendo spunti di riflessione sulle sfide quotidiane affrontate da molte donne. La professoressa Mariella Mulè ha coinvolto il pubblico con letture appassionate di alcuni brani, trasmettendo la vibrante umanità racchiusa nelle pagine del testo. È intervenuta anche l’insegnante Caterina Russo, con un commento dedicato all’ultima raccolta poetica di Angela Maria Scala, mentre il poeta dialettale Lorenzo Peritore ha impreziosito l’evento con una sua lirica in dialetto sulla fede, riportando tutti alle radici della cultura popolare.
Ma “Dio nella mia” vita non è solo un volume autobiografico. È un vero specchio della società moderna, un diario intimo che si apre a una dimensione collettiva, sociale e simbolica.
Fin dalle prime pagine, il libro di Angela Maria Scala si configura come una testimonianza di vita, ma anche come una analisi sul ruolo della fede nel nostro tempo. Attraverso il suo racconto – fatto di episodi vissuti, memorie, trasformazioni – l’autrice ci guida in un viaggio spirituale che è anche sociologicamente rilevante.

La sua narrazione tocca alcune delle domande fondamentali dell’essere umano: come si affrontano il dolore, la solitudine, la maternità, la crisi, se non cercando un ordine simbolico, un significato ulteriore? E dove si trova questo significato, se non – talvolta – nella spiritualità? La fede di Angela Maria Scala diventa così un’energia attiva, una risorsa per rielaborare la sofferenza e ricostruire sé stessi.
Tra le vicende più intense, quella del 30 marzo 2009 – vissuta in parrocchia – mostra con chiarezza come un rito collettivo possa trasformarsi in spazio di rinascita interiore. In quell’occasione, l’autrice partecipa a un gesto simbolico – il deporre la croce – che si carica di un significato personale, ma anche comunitario. È la materializzazione di ciò che Émile Durkheim chiamava “funzione coesiva del rito”: un momento in cui l’individuo si sente parte di un tutto, rigenerando il senso della propria esistenza.
La liturgia religiosa, con i suoi simboli e richiami sensoriali, risveglia memorie affettive che affondano le radici nell’immaginario collettivo cristiano. In questo modo, la fede non è solo credenza, ma esperienza condivisa, un ponte tra passato e presente, tra individuo e comunità.
Molti dei racconti autobiografici della scrittrice – come “Inverno 1995: Quella notte” o “13 febbraio 1980: mia figlia” – sono esempi emblematici di avvenimenti in cui la sofferenza si trasforma in resilienza grazie alla presenza del sacro. In questi momenti, la spiritualità non appare come evasione dalla realtà, ma come rielaborazione del vissuto, come contatto autentico con una dimensione inconscia che dà forza e senso.
Emblematico è anche l’episodio “Primavera 1948: Cristo flagellato”, in cui lo sguardo dell’autrice su una statua religiosa si trasforma in relazione affettiva col sacro: un rapporto di fiducia, rifugio e ascolto che accompagna l’intera narrazione.
La narrazione di Angela Maria Scala si arricchisce anche di riflessioni sulla maternità (“Luglio 1979: l’esame di maturità”, “Giugno 1990: La prima comunione”) e sulla vocazione educativa (“1972-2002: le mie lezioni”). Qui emerge il volto resiliente e creativo della donna, capace di reinventarsi attraverso l’insegnamento e il rapporto con i figli. La scuola diventa rifugio e spazio di libertà, mentre il ruolo materno si trasforma da compito a missione affettiva.
La dimensione educativa, in particolare, è descritta come luogo di rinascita personale, dopo anni di sacrifici e rinunce. La scrittura diventa quindi anche strumento di riscatto, memoria e trasmissione di valori.

Particolarmente toccante è il racconto dei pellegrinaggi a Medjugorje, tra il 2000 e il 2005. Da un’iniziale diffidenza, Angela Maria Scala approda a una fede rinnovata, fatta di silenzio, ascolto e presenza divina. In questo percorso emerge anche un tema molto rilevante: il distacco dalle cose materiali, raccontato nell’episodio del 1998. Un invito all’autodeterminazione, alla ricerca di senso al di là del consumo e del possesso.
Il filo conduttore che attraversa tutte le pagine del libro è la presenza costante di Dio, che non elimina il dolore ma lo trasforma. Nella conclusione, Angela Maria Scala parla con sincerità delle sue cadute, delle sue ripartenze, delle sue fragilità. Ma proprio in questa umanità imperfetta risiede l’intensità dei suoi sentimenti.
Dal punto di vista sociologico, il volume offre uno spaccato ricco e profondo della spiritualità attuale. In un’epoca spesso descritta come svuotata di religiosità e frammentata, Angela Maria Scala ci mostra come la fede personale possa ancora rappresentare una risorsa esistenziale.
Scrivere un diario o un testo autobiografico, come nel caso dell’autrice, non è solo un atto privato, ma anche un gesto sociale, capace di costruire significati condivisi. Secondo la sociologia dell’identità (Giddens), raccontarsi significa costruire senso per sé e per gli altri. La narrazione non segue un ordine cronologico, ma simbolico: ogni frammento di vita si collega a un valore, a una ricerca, a una trasformazione.
L’autrice parla di “episodi che hanno trasformato una fede blanda in FEDE cristiana”: questo passaggio testimonia un vero processo di ri-significazione dell’identità. La sua fede, oltre a essere sostegno spirituale, diventa anche strumento di resistenza, pazienza contro le ingiustizie e le oppressioni. È quella che in sociologia si definisce “agency religiosa”: la capacità dell’individuo di agire grazie alla propria visione del sacro, trasformando la propria esistenza in un atto di fiducia e cambiamento.
In un mondo dove il futuro appare incerto e il presente spesso privo di ancoraggi, l’esperienza di Angela Maria Scala ci ricorda che la spiritualità personale può ancora offrire orientamento, audacia nelle difficoltà e senso di appartenenza. La sua opera è una prova di fede vissuta, ma anche un segno tangibile nel nostro scenario contemporaneo.