Il sociologo Francesco Pira: “seguiamo l’esempio della Finlandia, lezioni a scuola per riconoscere le fake news e combattere la disinformazione”

Articolo di Redazione

“Il caso finlandese, primo al mondo per alfabetizzazione mediatica e fiducia nei giornalisti, dimostra che è possibile costruire una società resiliente alla disinformazione attraverso un sistema educativo coordinato, efficace e lungimirante. L’educazione ai media in Finlandia è una componente essenziale dei curricoli scolastici sin dalle elementari, integrata trasversalmente nelle materie e radicata nella cultura familiare. Non si tratta soltanto di insegnare a riconoscere le fake news, ma di formare cittadini capaci di vivere lo spazio pubblico digitale con senso di responsabilità e competenze socio-cognitive adeguate”.

Così il professor Francesco Pira, associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi, Presidente dell’Osservatorio sulle Fake News di Confassociazioni che da anni studia il fenomeno della disinformazione e che nel volume di cui è coautore Giornalismi. La difficile convivenza con fake news e misinformation, (Libreria Universitaria) scritto insieme ad Andrea Altinier, ha elaborato l’Esagono delle fake news, un modello che individua sei caratteristiche fondamentali che rendono le notizie false così pervasive: appeal, viralità, velocità, crossmedialità, flusso e forza. Le fake news non sono infatti anomalie, ma elemento costitutivo di un ecosistema comunicativo regolato da logiche algoritmiche e dinamiche emotive, dove la verità spesso cede il passo all’engagement e alla polarizzazione.

“In questo scenario, il ruolo di una buona educazione che sia ben comunicata è oggi più che mai cruciale – prosegue il sociologo Pira –  intesa come processo dialogico e trasformativo che deve affermarsi come pratica educativa diffusa, capace di integrare media education, educazione civica e cittadinanza digitale. Una comunicazione educativa di qualità non si limita a trasmettere competenze tecniche, ma promuove consapevolezza emotiva, affidabilità nelle relazioni e una costruzione condivisa del significato.

Questo percorso coinvolge studenti, docenti, famiglie e operatori dell’informazione, ed è in grado di contrastare la “datificazione dell’esperienza” (Shoshana Zuboff) — cioè quel processo attraverso cui ogni aspetto della vita quotidiana viene convertito in dati, monitorato e spesso utilizzato a fini predittivi e commerciali dalle grandi piattaforme digitali. In tale contesto, l’individuo rischia di essere ridotto a una mera somma di comportamenti tracciabili e manipolabili. La buona educomunicazione, al contrario, restituisce centralità all’essere umano come soggetto consapevole, responsabile e capace di interpretare, valutare e rielaborare le informazioni, riaffermando il valore dell’autonomia personale e dell’impegno sociale nell’ambiente digitale.

A tal fine, è fondamentale promuovere iniziative come le “Scuole per Genitori”, percorsi di formazione continua e progetti interdisciplinari che favoriscano il dialogo tra scuola, famiglia, università, media pubblici e istituzioni.

Solo così potremo consolidare una cultura diffusa della verifica, del fact-checking, della qualità informativa e della responsabilità etica, pilastri imprescindibili per una partecipazione democratica consapevole e attiva.

La buona educomunicazione rappresenta la reale alternativa alla passività algoritmica. Non basta denunciare la disinformazione: occorre dotare i cittadini degli strumenti necessari per riconoscerla, decostruirla e sostituirla con narrazioni fondate sulla realtà, sul dialogo e su un’etica della comunicazione condivisa. La democrazia informativa si difende con pensiero critico, conoscenza e intelligenza collettiva. Solo così -conclude il professor Pira- sarà possibile contrastare l’industria della menzogna e ricostruire la fiducia, senza la quale non può esistere una cittadinanza realmente partecipativa”.

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