Una mia incursione a Kaos Festival per parlare di Metaverso, AI e relazioni umane. È stata un’occasione per andare oltre la semplice presentazione di un libro: un vero e proprio momento di confronto sui temi che attraversano la nostra contemporaneità digitale
Vi racconto una bella serata d’agosto in una splendida cittadina siciliana in provincia di Agrigento dove un sindaco illuminato, Peppe Zambito, Dirigente Scolastico e uomo di cultura e di grande sensibilità, ha promosso incontri di ampio respiro per discutere di temi d’attualità Così lunedì 18 agosto 2025 ho avuto il piacere di presentare il mio libro Piraterie Vol.3 – Un PIRATA tra Metaverso e Intelligenza Artificiale all’interno del Kaos Festival – “Vento d’estate: chiacchiere, granite e cicale”, organizzato dal Comune di Siculiana. Una serata che ha unito parole, musica, letture e riflessioni in un’atmosfera intima e partecipata. Con me sul palco Patrizia Iacono che ha dialogato con un’altra autrice Giuseppina Iacona Baldanza e Giuseppe Mallia, che ringrazio per il dialogo intelligente e appassionato che abbiamo avuto partendo proprio dalle pagine del mio libro. Con noi Piera Lo Leggio che ci ha regalato vibranti suggestioni musicali e Giuseppina Parisi che ha letto brani tratti dai testi.
È stata un’occasione per andare oltre la semplice presentazione di un libro: un vero e proprio momento di confronto sui temi che attraversano la nostra contemporaneità digitale – tra algoritmi, educazione, identità e dipendenze tecnologiche.
Uno dei passaggi più discussi è stato quello in cui racconto, a pagina 85 del libro, la scena di un’app che sostituisce il maestro di pianoforte. Qualcuno mi ha chiesto: che posto ha oggi l’elemento umano, il calore, l’affetto?
La mia risposta è semplice ma urgente: la tecnologia può affiancarci, ma non sostituirci. Nessun algoritmo potrà mai replicare la carezza di uno sguardo, la motivazione data da una voce, l’empatia di una presenza viva. L’apprendimento – come la vita – è fatto di emozioni. Di relazioni. Di fallimenti condivisi e piccoli progressi celebrati insieme.
Viviamo in una società che esalta l’efficienza, ma dimentica il legame. Eppure, per citare Mozart, per suonare bene servono la testa, il cuore e le dita. E, aggiungo io, anche qualcuno vicino che ci accompagni. Questo vale nell’arte, nella scuola, nei sentimenti.
Parlando di dipendenza digitale, ho tracciato un parallelismo con la nostra relazione con gli zuccheri. Gli smartphone, oggi, sono come i carboidrati: fondamentali, ma spesso abusati. Li tocchiamo oltre 2.600 volte al giorno, li sblocchiamo più di 50.

Ma a cosa rinunciamo mentre lo facciamo? A una conversazione, a uno sguardo, al silenzio necessario per pensare.
Il problema non è lo strumento, ma l’assenza di consapevolezza. Come per il cibo, la soluzione non è l’abolizione, ma l’equilibrio. La libertà sta nella scelta: essere connessi, sì. Ma non schiavi del feed.
Nel libro parlo spesso di “vetrinizzazione sociale”: un’espressione che descrive la pressione a esibirsi, a performarsi, a piacere. Sui social, ogni giorno, milioni di persone – soprattutto giovani – sentono di dover mostrare il meglio, nascondere le fragilità, rincorrere l’approvazione.
Questa dinamica è tossica e pervasiva. Il corpo è diventato contenuto. L’identità, un profilo da curare. Il successo, un numero di like.

Ecco perché serve una nuova educazione: che aiuti i ragazzi – e anche gli adulti – a capire che non siamo vetrine. Siamo storie. Relazioni. Contraddizioni. E abbiamo il diritto di non piacere a tutti pur di restare fedeli a noi stessi.
Anche il tema delle fake news ha generato molte domande. Ho raccontato come la disinformazione oggi non si limiti a ingannare, ma operi su emozioni, su desideri e paure. Il caso ironico del “Comune di Bugliano” serve proprio a questo: a mostrare come basti un contesto plausibile per rendere credibile anche l’assurdo. E ci caschiamo perché non siamo educati a dubitare, a pensare. Il pensiero critico non è naturale: si insegna.
E poi c’è il legame con le favole. Se Biancaneve non fosse stata bella, ci sarebbe stato un principe? Probabilmente no. Perché anche nelle narrazioni dell’infanzia la bellezza è una condizione per l’amore, per la salvezza. I social non hanno fatto altro che aggiornare questa favola: oggi il principe è il like. La bellezza non è più dono, ma filtro, app, chirurgia. È ancora una favola, ma meno onesta. Più tossica.
Nonostante tutto, non possiamo demonizzare la rete. Anzi. L’esempio di BigMama – che cito nel libro – mostra come i social possano diventare spazi di riscatto. Marianna ha trovato la voce che non aveva, ha trasformato la vergogna in racconto, la solitudine in comunità.

Il digitale può essere luogo di cura, di attivismo, di libertà. Ma serve una media education seria, continua, condivisa tra scuola, famiglia, istituzioni. Dobbiamo smettere di insegnare ai ragazzi a “usare le piattaforme”: dobbiamo aiutarli ad abitarle.
In un passaggio della conversazione è emersa la crisi dell’originalità nella comunicazione. Oggi si provoca per farsi notare, non per dire qualcosa. Anche simboli religiosi vengono ridicolizzati in spot pubblicitari solo per ottenere attenzione.
Ma la comunicazione non è uno show: è un atto culturale, civile. L’originalità nasce dallo sguardo, non dall’urlo. Dobbiamo formare nuovi comunicatori che non siano solo creatori di contenuti, ma creatori di senso.
La domanda finale è stata: l’intelligenza artificiale ci sostituirà?
No. Ma ci trasformerà. L’IA non è buona o cattiva: dipende da come viene usata, regolata, compresa. Può aiutarci nella didattica, nel giornalismo, nella sanità. Può diventare uno strumento di equità. Ma può anche rafforzare disuguaglianze, diffondere false verità, distruggere la privacy. Per questo serve un’educazione algoritmica che metta al centro la persona. E una politica che abbia il coraggio di regolamentare, proteggere, guidare.
La serata di Siculiana mi ha confermato una convinzione: c’è bisogno di questi spazi. Di questi incontri. Di queste domande.
Non basta parlare di tecnologia: bisogna parlarne insieme, criticamente, umanamente. Solo così possiamo immaginare un futuro in cui i dati non sostituiscano la coscienza, e le piattaforme non spengano le relazioni.
C’è ancora tempo per scegliere. E ancora tanti motivi per restare umani.
