Guadalupa, l’isola dei Caraibi che sembra il Paradiso

Articolo di Francesco Pira

È uno stato d’animo questo luogo magico. È uno specchio in cui riflettere la nostra parte migliore. E’ dove viene girata la fiction Delitti in Paradiso. E’ la scusa perfetta per arrivare qui. Ma la ragione per restare – o per tornarci – è che in questa parte di mondo ci si sente accolti, ascoltati, ricordati. E il più grande delitto, forse, è dimenticarlo. E questo è davvero impossibile

Ci sono territori che ti trasformano. Non perché mostrino qualcosa di straordinariamente diverso, ma perché ti ricordano ciò che avevi dimenticato: che la bellezza può essere quotidiana, silenziosa, immersa nella semplicità delle cose. Guadalupa è uno di questi. Non solo un’isola caraibica baciata dal sole, ma un’idea di mondo dove le onde ti parlano, le strade profumano di fiori tropicali e le persone ti sorridono anche se non ti conoscono.

E poi c’è la televisione. Delitti in Paradiso, la serie della BBC che da quattordici stagioni racconta crimini e misteri ambientati in questo angolo remoto del mondo, ha trasformato Guadalupa in qualcosa di più: non solo scenario di storie, ma spazio vivo con cui il pubblico ha imparato a dialogare. Un punto di incontro tra il giallo britannico e l’anima creola, tra l’ironia leggera e le profondità del cuore umano. Ma dietro ogni episodio, dietro ogni omicidio risolto in un’ora di narrazione, c’è l’isola vera. E lì, davvero, si respira un’atmosfera diversa.

Arrivare a Guadalupa non è complicato, ma è come attraversare uno spartiacque emotivo. Si parte dall’Europa ordinata, frenetica, controllata. Si atterra in un respiro lungo, caldo, profumato di spezie, di frutti maturi, di salsedine. Già all’aeroporto di Pointe-à-Pitre si avverte una vibrazione: quella delicatezza dell’inizio, quando ogni cosa è possibile.

Durante il viaggio verso Deshaies – il piccolo villaggio sulla costa nord-ovest dell’isola, set principale della serie – ho sentito un’emozione crescere dentro di me. Non era semplice curiosità, né solo la gioia di scoprire un paesaggio nuovo. Era qualcosa di più profondo: il desiderio di entrare dentro quel mondo che avevo visto in televisione, ma che ora prendeva forma davanti ai miei occhi, tangibile, reale, vivo.

Deshaies è un mosaico di colori. Le case di legno color pastello, le bouganville che si arrampicano sui muri, il mare che sfuma in mille tonalità di turchese. Qui ogni dettaglio è luce. E in ogni angolo ritrovi la magia della serie: il bar di Catherine, che nella realtà è un piccolo ristorante affacciato sulla spiaggia; la chiesa che ospita il commissariato; la scuola che diventa aeroporto. Nessun trucco. Nessuna finzione. Solo autenticità.

Il Prof. Francesco Pira ed Elizabeth Bourgine, l’attrice che interpreta Catherine Bordey

Camminare senza fretta per quelle vie vuol dire sentire il tempo diverso: le stagioni si sovrappongono in profumi, le giornate si dilatano, il mare ti chiama. Le risa dei bambini, il cigolio del legno sotto i piedi, il canto delle onde: tutto contribuisce a costruire l’esperienza vissuta, non percepita dal finestrino di un’auto o dalla lente di una videocamera.

Un ambiente non è solo terra, vegetazione, edifici. È memoria, uso, narrazione condivisa. In sociologia si parla di costruzione sociale dello spazio: uno scenario diventa tale quando le relazioni umane, le storie, le pratiche quotidiane lo abitano, lo definiscono. Guadalupe è questo: le persone che vivono lì, le storie di generazioni, le tracce lasciate dal passato coloniale, l’intreccio tra l’identità creola dell’isola, l’eredità francese e le trasformazioni portate dal turismo internazionale.

Ogni volta che Delitti in Paradiso ritrae una piazza, un bar o un commissariato, non resta solo immagine: mette in scena relazioni, conflitti, sentimenti. E gli spettatori, guardando, costruiscono un immaginario dell’isola che intreccia finzione ed esperienza reale: perché molti visitatori, come me, arrivano con aspettative fatte di televisione – e scoprono che Guadalupe non tradisce quelle attese, ma le arricchisce.

La bellezza per noi sociologi, non è una qualità oggettiva del paesaggio, ma qualcosa che si manifesta nella relazione tra chi osserva e il contesto. Il bello nasce quando siamo presenti, quando partecipiamo. Il mare che al tramonto diventa liquido oro non è bello solo perché è visualmente suggestivo, ma perché sei lì, lo senti, lo respiri, lo assapori.

Guadalupa muove questo senso del bello: non è solo natura incontaminata, ma natura che dialoga con la cultura – i colori delle case, i mercati, le stoffe, la musica che esce dalla radio nei vicoli. È un’estetica complessa: non perfetta, non artificiale, ma totalmente autentica.

Oggi molti viaggiatori cercano qualcosa di diverso: non solo la foto da cartolina, ma un’esperienza che cambi qualcosa dentro. Questo tipo di viaggio – esperienziale – richiede immersione e apertura. Significa entrare in un bar locale, ascoltare conversazioni, assaggiare piatti che non ti aspetti, camminare controsenso, fermarti senza meta.

Nel mio soggiorno, il turismo esperienziale non è stato un’aggiunta al racconto della serie, ma parte integrante. Ho fatto la spola tra il set televisivo e il porto che ti avvolge il cuore.

Delitti in Paradiso non è soltanto una crime story. È un racconto costante del contrasto tra mondi: quello rigido, metodico e britannico dei detective che si susseguono episodio dopo episodio, e quello fluido, istintivo, a volte caotico ma intensamente umano dell’isola. È una danza tra ragione e sentimento, tra regole e relazioni, tra dovere e destino.

Nella quattordicesima stagione, andata in onda in Italia su Rai 2 tra maggio e luglio 2025, questo contrasto si intensifica. Mervin Wilson – nuovo ispettore, irriverente e tormentato – non è solo alle prese con casi sempre più intricati, ma con le ombre del proprio passato. La morte sospetta della madre diventa il filo rosso che attraversa gli episodi, e ci restituisce un personaggio umano, fragile, spesso inadeguato, ma proprio per questo reale.

Gli omicidi, come sempre nella serie, non sono il centro. Sono il pretesto per raccontare vite. Ogni episodio è una finestra su microcosmi in fermento: la squadra di calcio femminile, la distilleria di famiglia, il mondo dei cosmetici, la nostalgia di chi torna. E tutto si svolge sotto un sole abbagliante, come se la luce volesse sempre ricordarci che anche nel buio più fitto, la verità ha bisogno di essere illuminata.

Visitando i set della serie, ho scoperto che il confine tra vita vissuta e finzione è sottilissimo. Non perché ci siano somiglianze, ma perché l’isola stessa sembra pensata per essere raccontata.

Ogni strada, ogni albero, ogni casa è già narrato. Il mare non è solo sfondo, è personaggio. Le voci della gente, il ritmo delle giornate, il lento scorrere del tempo: tutto è parte della sceneggiatura non scritta che ogni visitatore è chiamato a vivere.

Ho avuto la fortuna di incontrare Elizabeth Bourgine, l’attrice che interpreta Catherine Bordey. Il suo sorriso è lo stesso del personaggio, e la sua voce ha la stessa dolcezza. “Questo avviene – mi ha detto Elisabeth – quando lavori con passione in luoghi che sono davvero paradisiaci. Faccio la spola con Parigi. Ma venire qui è bellissimo”.

Camminare sulla spiaggia dove gli ispettori londinesi hanno la loro casa diventa un rito. Ogni pietra, ogni granello di sabbia racconta qualcosa. Il garage con il sidecar della polizia, il piccolo pontile, le barche che ondeggiano lente: tutto è vivo, pulsante, profondamente vero.

Delitti in Paradiso è anche un racconto di equilibrio. Tra progresso e conservazione, tra modernità e identità, tra giustizia e comprensione. Non è un caso che Jacques Cousteau abbia scelto proprio queste acque per fondare una riserva marina. Qui la biodiversità è sacra, il mare è ancora guardato con rispetto, e la natura è parte integrante della quotidianità.

Quello che la serie ci insegna – e che il viaggio rafforza – è che anche in un angolo che sembra “fuori dal mondo”, le contraddizioni dell’essere umano emergono con forza. Eppure c’è una differenza: qui i delitti non sporcano l’anima del territorio. Non la contaminano. La serie ci mostra che anche l’errore umano più grave può trovare redenzione nella bellezza, nel silenzio, nella lentezza di una dimensione che non ha fretta di passare.

Quando è arrivato il momento di ripartire, ho sentito un nodo in gola. Non solo per il dispiacere di lasciare un luogo tanto incantevole, ma per la consapevolezza che Guadalupa non è solo un’isola. È uno stato d’animo. È uno specchio in cui riflettere la nostra parte migliore.

Delitti in Paradiso è la scusa perfetta per arrivare qui. Ma la ragione per restare – o per tornarci – è che in questa parte di mondo ci si sente accolti, ascoltati, ricordati. E il più grande delitto, forse, è dimenticarlo. E questo è davvero impossibile.

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