Ognissanti, una festa che unisce Cielo e Terra

Articolo di Pietro Salvatore Reina

La festa di Ognissanti si diffonde a Roma già nell’anno 609 quando papa Bonifacio IV dedica il Pantheon alla Vergine Maria e a tutti i martiri e si diffonde nell’Europa latina nei secoli VIII-IX. Nel 1475 papa Sisto IV rende obbligatoria la festa in tutta la Chiesa d’Occidente.

Festeggiare i santi significa fissare, guardare chi gioisce e vive appieno “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso XXXX, v. 145). I santi e le sante sono i nostri fratelli, le nostre sorelle maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché peccatori come ognuno di noi, hanno accettato di lasciarsi incontrare, amare da Gesù, attraverso i loro desideri, le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze. Tutto ciò lo canta, meravigliosamente lo stesso Alessandro Manzoni nell’inno sacro Ognissanti (1830-1847):

E voi che gran tempo per ciechi
Sentier di lusinghe funeste
Correndo all’abisso, cadeste
In grembo a un’immensa pietà

Tutti noi siamo come fra Cristoforo, la Monaca di Monza, l’Innominato che ri-convertite le energie, perché attratti dall’amore-perdono, si ri-trovarono nell’abbraccio infinito Dio. A somiglianza delle acque sotterranee che, dopo tortuosi percorsi, finalmente trovano, ri-trovano la “via” per erompere e sboccare in un limpido zampillo per risalire le vette del cammino della santità.

La «santità» prima d’essere un concetto puramente religioso è soprattutto un’esplorazione del nostro desiderio di vita. Il sostantivo «desiderio» deriva dal latino e significa «assenza di stelle», quindi il desiderio nasce dal guardare e considerare la grandezza e le possibilità che le stelle rappresentano. La santità è una luce, una spinta interiore che ci rende sempre più vivi. La santità ci insegna a superare il fango, le paure e ad accogliere il desiderio di vivere pienamente il nostro tempo, di viverlo a colori, non in bianco e nero

Essere santi significa essere un riflesso della luce, dello spirito, dell’amore di Dio che è Bellezza, Intelligenza. Tutti questi attributi dell’Essere-Dio danno calore, colore alla nostra vita. La santità dà forma alla nostra vita fino in fondo e in ogni suo angolo.

Con l’artista e docente Massimiliano Ferragina, un amico per chi scrive, un pittore che pratica una pittura emozionale desideriamo guardare la luce, le luci della santità che è, che sono riflesse nell’Arte. Massimiliano Ferragina in quanto uomo e docente di Arte indaga, ricerca la luce della teologia nei colori che raccontano la nostra esistenza e l’eternità che ci attende.

D.: Dall’Età paleocristiana ai giorni nostri le chiese, i musei sono gallerie di simboli (edera, cervo, ancora, barca, pellicano, leone, palme, ecc.) e immagini che non solo allietano i nostri occhi ma ci fanno scoprire e rivelano bellezza, spiritualità. Quali sono i “santi” che più di tutti hanno sempre attirato la tua curiosità, che hanno rapito e rapiscono gli occhi della tua mente e del tuo cuore?

R.: Personalmente ho sviluppato una grande passione e devozione ai santi dei primi secoli. Fratelli e sorelle in Cristo, che grazie al dono della loro vita nella chiamata alla santità, hanno nutrito e rafforzato la fede giovane e nascente del loro tempo. Tra l’altro, troviamo nei santi delle comunità primitive, tante figure straordinarie femminili, modelli autentici e testimoni di quei valori cristiani che sono anche quelli umani. Mi viene da citare le Sante Felicita e Perpetua, due donne, una serva l’altra padrona, convertite al cristianesimo e questo annulla il loro status sociale, e diventano sorelle. Penso anche a sant’Agata, Lucia, Elena la madre consigliera dell’imperatore Costantino, santa Monica, la madre in lacrime di sant’Agostino, santa Fabiola ricca e nobile che rimasta vedova investe tutte le sue risorse per realizzare luoghi di assistenza ai poveri, pellegrini ed ai malati. Tantissime persone sante che hanno fattivamente dato forma alla Chiesa, la forma dell’amore per Cristo che genera sempre salvezza. Ecco, questi santi ci hanno indicato la via per salvarci…e noi oggi difficilmente li conosciamo e li ricordiamo.

D.: Un segno caratterizzante la tua produzione è una figura, una sagoma che raffiguri di schiena, in cammino. Cosa rappresenta? Un altro elemento che incastoni nelle tue tele, nei tuoi “cartoni” sono le stelle? Cosa significano?

R.: La mia pittura è fatta di tanti linguaggi che si dividono fondamentalmente in due assi, la semi-figurazione e l’espressionismo astratto. Quando uso la semi-figurazione, ecco che compaiono queste mie sagome, curve, chine su ste stesse, di spalle, è una mia intuizione che si presta a tante interpretazioni, e tante ne sono state davvero fatte. La sagoma di spalle indica sia l’uomo che la donna, non c’è differenziazione, l’umanità. Di spalle è l’umanità dei nostri giorni, si volta di spalle al grido del sofferente, finge di non vederlo, guarda in basso, guarda nel suo piccolo mondo chiuso. Le spalle diventano un muro, un limite invalicabile, una chiusura al dolore del prossimo, al suo riscatto, alla sua vita devastata dalla fame, dall’odio, dalla guerra. Di spalle però indica anche una umanità in cammino che dice “seguimi”, mettiti al mio seguito, ti faccio strada, la faccio davanti a te, per primo, ti apro il cammino, divento i tuoi occhi, le tue mani, i tuoi passi. Di spalle è anche una denuncia, una denuncia in arte della chiusura ai molti di quei circuiti dove si pratica la bellezza. Perché la bellezza deve appartenere ai pochi eletti? Perché chi decide quali percorsi deve fare l’arte e la bellezza spesso volge le spalle ai poveri, a chi ha poche risorse economiche, a chi non ha istruzione, a chi vive una condizione di svantaggio, perché? Dovrebbe essere il contrario. Ecco che allora le mia sagome

sono tutto questo, infatti spesso le sagome che dipingo appaiono capovolte, speculari, un chiaro invito a ribaltare il proprio punto di vista, a cominciare a vedere le cose e le persone dal basso, tutti al livello degli ultimi per farsene carico sulle spalle e condurli verso la redenzione.

D: Il nostro essere uomini (in ebraico “adam” ovvero semplicemente fatto di adamah, la terra) trova la sua compiutezza nella dimensione relazionale. In quest’età segnata dalla tecnica e dallo sguardo chino sempre più chino, abbassato – e forse anche perso – sul telefonino stiamo smarrendo la capacità creativa (il lavoro è relazione, un lavoro non si improvvisa!), la dimensione relazionale che da essenziale rischia di essere puramente funzionale. Quanto e come l’arte può essere cura, medicina, terapia?

R.: Lo dicevo nella risposta precedente. Dobbiamo smettere di guardare in basso, come fanno le mie sagome. Il telefonino ci ha mutati fisicamente, ci ha condizionati nelle posture, testa bassa e sguardo perso sui monitor. Questo dichiara la morte delle relazioni, in qualsiasi ambito. Lo vogliamo capire? È tanto facile da dire ma così difficile da realizzare. L’arte è la sola medicina che ci può aiutare, curare, sanare. L’arte per sua natura eleva! La pittura, la musica, la danza, la scrittura, la poesia, tutto questo spettacolo di arti ci conduce nuovamente a dover comunicare, a doverci guardare negli occhi e riconoscerci nell’altro come in uno specchio. Quando si va incontro all’arte, o qualcuno ci conduce mano nella mano verso di essa, siamo obbligati ad alzare lo sguardo, ad aprire gli occhi, le orecchie, a muovere le labbra per esprimere sensazioni, emozioni. L’arte è relazione. Il digitale si ferma alle dita, alla vista, non trapassa i cuori di chi mi sta accanto. Un quadro, una scultura, una canzone, una poesia, mi indica espressamente che sono vivo, che vibro, che ho bisogno di accostarmi a qualcuno vivo e vibrante come me, che mi dichiara senza virtualismi o intelligenze artificiali, che esisto, che io esisto, che la mia esistenza è tale se passo nella vita degli altri, e l’arte mi permette di vivere le vita degli altri, in un racconto, in una fotografia, in un passo di danza, in un quadro, in un film. Buona festa di Ognissanti a tutti, con l’augurio che nei santi possiate riconoscere voi stessi, e da voi stessi muovervi verso l’altro, con il vangelo, con la bellezza, con l’arte che è ovunque, come fossero mappe o bussole sulle strade di questo mondo.

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