“Il tuttofare”, lungometraggio a metà strada tra commedia e farsa

Articolo di Gordiano Lupi

Valerio Attanasio, dopo alcune prove come sceneggiatore con Sibilia (Smetto quando voglio) e Di Gregorio (Gianni e le donne), realizza prima il corto Finché c’è vita c’è speranza, quindi Il tuttofare, lungometraggio a metà strada tra commedia e farsa, accolto molto bene dalla critica (miglior regista esordiente ai Nastri d’Argento), ma che in parte delude le aspettative. Intendiamoci, il film fa ridere – di questi tempi non è scontato per una commedia italiana -, ma è molto più vicino ai territori della farsa plautina e grottesca di quanto lo sia alla commedia sofisticata e spesso coinvolge lo spettatore in una ridda di effetti speciali inutilmente sorprendenti. Il tuttofare è Guglielmo Poggi, molto ben calato nella parte del praticante legale costretto a fare persino il cuoco per compiacere il principe del foro (Castellitto) cialtrone e vanesio, sposato con una moglie ricca quanto megera (Sofia Ricci), innamorato delle belle donne e spregiudicato nella sua attività professionale. Il praticante Antonio Bonocore (Poggi), per ottenere un regolare contratto deve sposare l’amante argentina del luminare, riconoscere i due gemelli che sta partorendo e risolvere una pericolosa guerra tra bande mafiose. Il tutto mentre il famoso avvocato finge di aver contratto l’Alzheimer per starsene fuori da giochi e intrighi, soprattutto per non finire in galera. Molte citazioni della commedia classica, da Sissignore con Tognazzi a Il dottor Guido Tersilli … con Sordi, mentre il nome Antonio Bonocore è un omaggio al Totò de La banda degli onesti. Il film presenta le cose migliori nell’interpretazione degli attori – soprattutto i due protagonisti – sempre ben affiatati e calati nella parte. Castellitto è un mostro di bravura nel confezionare il personaggio di un avvocato colluso con la mafia, cialtrone e godereccio, più attore che legale, istrionico al punto di recitare a braccio le aringhe difensive e d’inventarsi strumenti processuali degni di una parodia interpretata da Franco & Ciccio. Si pensi al mafioso che chiede di diventare donna, di subire una cura ormonale e la successiva evirazione, situazione che scatena persino un regolamento di conti tra bande. La tecnica di regia è buona, senza particolari evoluzioni di stile, trattandosi di un film comico va bene così, sono le battute e gli attori a prendere il sopravvento. Non convince fino in fondo la sceneggiatura, che non si ferma a un passo dalla farsa (come ha detto qualcuno) ma ci sprofonda in pieno, spesso va persino oltre, inanellando una serie di eventi paradossali e incredibili che fanno ridere soltanto per il loro grado di impossibilità. In fondo siamo dalle parti di Smetto quando voglio e di quel che è diventata la nostra commedia, incapace di raccontare la vita ma solo capace di far ridere calcando la mano sulla caratterizzazione di personaggi grotteschi e irreali. Se vogliamo la vera commedia, oggi come oggi, dobbiamo rivolgerci al cinema francese e a registi che italiani lo sono soltanto per diritti acquisti (Bangla). Accontentiamoci di ridere.

Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Valerio Attanasio. Fotografia: Ferran Paredes Rubio. Montaggio: Giusepe Trepiccione. Musiche: Pivio e Aldo De Scalzi. Scenografia: Luca Servino. Costumi: Andrea Cavalletto. Produttori: Mario Giananai, Lorenzo Mieli, Lorenzo Gangarossa. Case di Produzione: Wildside, Vision Distribution, Sky Italia. Distribuzione: Vision Distribution. Durata: 96’. Genere: Commedia. Interpreti: Sergio Castellitto, Guglielmo Poggi, Elena Sofia Ricci, Clara Alonso, Tonino Taiuti, Marcella Serli, Luca Avagliano, Federico Carruba Toscano, Roland Litrico, Mimmo Mgnemi, Domenico Centamopre, Alberto Di Stasio, Pierfrancesco Poggi.

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