Yasmina Pani contro il circo dell’informazione: spunti di riflessione

Articolo di Alberto Maccagno

Nella giornata di mercoledì 4 giugno, la professoressa e divulgatrice Yasmina Pani ha pubblicato su Instagram e su Youtube un interessante video-sfogo, molto sentito, contro tutte quelle figure del dibattito pubblico che ogni giorno alimentano un circo scabroso, un vomitevole teatrino facente bene alle tasche di pochi e volto a solleticare la pancia assetata di sangue del paese: quello dell’informazione, definito da Pani come “fogna d’Italia”.

Il sensazionalismo nella ricerca del dettaglio più succulento e l’accusa implicita di insensibilità per chiunque non si arrenda a queste dinamiche sono, infatti, il trait d’union che lega il lavoro di molti professionisti del settore.

La professoressa sarda, tuttavia, ha correttamente evidenziato come sarebbe facile prendersela con i soli giornalisti quando ad alimentare questa cultura sono anche tutte quelle figure che incendiano il dibattito pubblico sui social network, preconfezionando trend che di spontaneo hanno ben poco e dettando le regole morali da seguire nell’approccio a tematiche di grande complessità che vengono invece ridotte a questioni di tifo calcistico.

Ciò che abbiamo visto dopo la scomparsa di Martina Carbonaro è la prova di quanto sostenuto nell’invettiva di Pani: un’orda di influencer, leader di pensiero, psicologi, artisti e chi più ne ha più ne metta, ha deciso di esporsi riguardo all’accaduto, confezionando una serie di considerazioni standardizzate e facendo leva sul naturale dispiacere davanti a un avvenimento così macabro per trasformarlo in senso di colpa, ignorando completamente i dati statistici legati all’accaduto in favore di una narrazione sensazionalistica più immediata e reazionaria che metta gli eventuali oppositori e dissidenti in una posizione scomoda, definendoli difensori degli assassini o ancelle del patriarcato. Quest’opera viene perpetrata esasperando i toni del racconto e scegliendo scientificamente le parole “giuste” (femminicidio di stato, cultura patriarcale, violenza sistemica, ennesima vittima ecc.), termini di fronte ai quali non ci si ferma per analizzarne il significato ma ci si limita a ripeterli come un dogma per paura di passare dalla parte del torto.

Quindi, che fare?

Il video di Yasmina Pani si chiude con un’ultima riflessione riguardo al funzionamento dei social media e agli effetti del cosiddetto engagement. La professoressa ha infatti sottolineato come il commentare negativamente, anche se mossi da una sincera volontà di debunking di certe enormità, i post e le storie delle figure che più calcano la mano su tali questioni faccia comunque il gioco di quest’ultime, generando interesse e condivisione dei loro contenuti, assicurando loro di non dover tornare nell’ “angolino di silenzio e anonimato” che gli spetterebbe.

Quanto è più auspicabile in una situazione così divisiva è il proliferare di voci libere che donino chiavi di lettura di maggiore complessità riguardo a temi come quello del sessismo e della violenza, senza il fine di dividere il mondo in buoni e cattivi (specialmente se a creare la spaccatura sono solo motivi di sesso) ma con la volontà di creare un’informazione ricca, strutturata e sentitamente anti-sessista.

Opporsi al clima censorio promosso dalla politica, anche a sinistra, è un dovere di libertà a cui non rinunciare per nessuna ragione, specialmente se si porta nel cuore il sogno di costruire una società unita e che collabori nel perseguire i valori prìncipi della convivenza.

Ecco il link del video

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