9 Settembre 1985: Quasi quarant’anni di una ferita ancora aperta

Articolo di Angelo Marotta

Quasi quarant’anni fa, la pace silenziosa e rassicurante della campagna toscana fu infranta da un orrore che avrebbe lasciato un segno indelebile non solo nella cronaca nera, ma anche nella memoria collettiva del Paese.

Era il 9 settembre 1985 quando, in una radura appartata vicino a San Casciano in Val di Pesa, il ritrovamento di due corpi senza vita mise fine, almeno in apparenza, a una catena di delitti che per quasi due decenni aveva tenuto l’Italia con il fiato sospeso.

Quelle due vite spezzate appartenevano a due giovani turisti francesi, Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili, e segnarono l’ultimo, terribile capitolo di una vicenda destinata a rimanere uno dei misteri criminali più celebri e irrisolti: la storia del Mostro di Firenze.

Oggi, a distanza di quasi quattro decenni, il loro ricordo non si è affievolito.

I loro nomi evocano ancora dolore, sconcerto e domande senza risposta. Non erano solo due vittime tra tante, ma il volto umano di un’ondata di terrore che aveva gelato il cuore di una regione e, per riflesso, di un’intera nazione.

Questo anniversario non è soltanto l’occasione per rievocare i fatti, ma anche per interrogarsi sul senso di un crimine che, nonostante gli anni trascorsi, continua a essere un enigma. Alcune ferite, anche quando il tempo sembra averle coperte, restano aperte e non smettono mai di sanguinare.

Un’estate di sogni interrotti

Nadine Mauriot, 36 anni, e Jean-Michel Kraveichvili, 25, erano partiti da Audun-le-Tiche, in Lorena, con il desiderio di vivere un’estate all’insegna della libertà, dell’avventura e della scoperta. Il loro viaggio in tenda li avrebbe portati a percorrere chilometri di strade italiane, tra città d’arte, borghi antichi e paesaggi incantati.

Giovani, innamorati, legati da una complicità semplice ma profonda, avevano scelto di attraversare l’Italia attratti dal suo patrimonio culturale, dalla cucina e dalla bellezza senza tempo dei suoi panorami.

Quando arrivarono in Toscana, decisero di fermarsi per una notte in una radura tranquilla a Scopeti, immersa tra gli ulivi. Una sosta che nelle loro intenzioni doveva essere romantica, sotto un cielo estivo, cullati dal frinire dei grilli e dal profumo della campagna.

Ma quella radura, che per loro doveva essere un rifugio, divenne il luogo in cui la loro vita si sarebbe tragicamente interrotta.

 La mattina del 9 settembre, un cercatore di funghi si avvicinò notando la porta dell’auto aperta e la tenda canadese ancora chiusa.

La scena che si trovò davanti fu agghiacciante: sangue ovunque, corpi martoriati, la violenza cieca e metodica di chi aveva già colpito in passato. Jean-Michel giaceva fuori dalla tenda, probabilmente colpito mentre cercava disperatamente di difendere Nadine. Lei era all’interno, vittima di un accanimento spietato e incomprensibile. L’assassino aveva compiuto mutilazioni, come già avvenuto in altri delitti attribuiti al Mostro.

Il delitto di Scopeti, ultimo della lunga serie, sembrava offrire agli inquirenti più elementi di qualsiasi precedente scena del crimine. Eppure, anziché portare chiarezza, aprì nuovi interrogativi. L’arma usata era sempre una Beretta calibro 22, ma i proiettili erano diversi: un dettaglio che fece ipotizzare l’esistenza di complici, o persino di un “secondo Mostro”.

Le indagini si concentrarono su figure già note, fino a incrociare il nome di Pietro Pacciani, contadino di Vicchio, già chiacchierato negli ambienti investigativi. Il suo caso si intrecciò con quello di Mario Vanni e Giancarlo Lotti, portando alla teoria di un “sodalizio criminoso” che avrebbe agito forse su commissione di mandanti rimasti ignoti.

I processi furono lunghi e controversi: Pacciani venne condannato, poi assolto, poi nuovamente avviato a un processo mai celebrato perché morì prima. Vanni e Lotti furono condannati, ma la verità piena rimase un’ombra irraggiungibile.

Una Toscana in ostaggio della paura

Per capire la portata di quell’omicidio bisogna ricordare che, dalla fine degli anni ’70, la Toscana viveva nel terrore. Giovani coppie venivano aggredite in auto o in tenda, sempre in luoghi isolati, sempre con lo stesso rituale.

Ogni delitto alimentava il panico: le persone evitavano di appartarsi, la vita notturna cambiava, e il mito di una Toscana serena veniva offuscato da una presenza oscura e invisibile.

Il delitto di Scopeti fu il più audace: commesso a pochi metri da una strada provinciale, fu interpretato come una sfida diretta alle autorità, quasi a dire che il Mostro poteva colpire dove e quando voleva.

Un anniversario che parla ancora

Quasi quarant’anni dopo (l’anniversario cadrà il 9 Settembre 2025), la vicenda è diventata materia per libri, film e documentari. Ma dietro il fascino morboso del mistero, restano due persone reali, con sogni, affetti e un futuro che è stato loro strappato. Ricordare Nadine e Jean-Michel significa non ridurli a nomi su un fascicolo, ma restituire loro umanità e dignità.

Il 40° anniversario di Scopeti non è un’occasione per celebrare, ma per commemorare e per ribadire che la giustizia, anche quando tarda, resta un diritto imprescindibile. La speranza è che, un giorno, il mistero si dissolva e la verità possa finalmente restituire pace a quelle due vite e serenità a un Paese che, da allora, non ha mai smesso di chiedersi chi fosse davvero il Mostro di Firenze.

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