“Princess”, un film pieno di buone intenzioni, purtroppo sostenuto da una scrittura approssimativa

Articolo di Gordiano Lupi

Roberto De Paolis (Roma, 1980) è per me una scoperta, grazie a Rai 5, benemerito canale che ogni martedì passa cinema italiano poco conosciuto senza alcun inserto pubblicitario. Prendo qualche informazione sul regista, vedo che ha studiato tecnica cinematografica a Londra, fa il fotografo, recita come attore in Movimenti di Murri e Fausti (2004) e debutta dietro la macchina da presa nel 2017 con Cuori puri, pellicola che non ho visto, presentata a Cannes e apprezzata dalla critica. I temi di De Paolis sono ben definiti, benemerita una costante attenzione al problema delle comunità rom, della prostituzione africana e degli extracomunitari da integrare. La sua opera seconda – Princess (2022) – non ha avuto grande attenzione da parte della stampa specializzata, anche se presentata nella rassegna Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia. La macchina da presa del regista si focalizza sulla vita di alcune prostitute nigeriane, seguendo in maniera quasi neorealista la vita quotidiana di Princess, clandestina che sopravvive vendendo il proprio corpo nella periferia marina di Roma, tra Ostia e Fiumicino. Cinema da pedinamento secondo la lezione di Cesare Zavattini, echi di Pasolini, attualizzazione di Sergio Citti (cantore di Ostia e delle periferie anni Ottanta) per l’attenzione alle zone della capitale abitate dai nuovi poveri. De Paolis segue l’esistenza di Princess, filma i suoi incontri, la sua fame di denaro per potersi fare una vita, la difficoltà ad ambientarsi in un mondo dove non si trova un lavoro e non si può sopravvivere senza violare la legge. Il regista racconta anche una breve storia d’amore tra Princess e uno dei pochi uomini gentili che la frequentano – Corrado, interpretato dal bravo Lino Musella -, oltre a riprendere litigi e momenti di condivisione con le ragazze del gruppo. Per Princess l’amore resta un’illusione che frequenta la sua vita lo spazio di due giorni, poi la solita esistenza – fatta di incontri fugaci e pericolosi – prende di nuovo il sopravvento. Un film pieno di buone intenzioni, purtroppo sostenuto da una scrittura approssimativa, infarcito di situazioni e dialoghi ripetitivi che non coinvolgono lo spettatore (opera del regista), oltre a un montaggio compassato che porta il film a dire per 110 minuti (eccessivi) di pellicola quasi sempre le stesse cose. Le attrici nigeriane non sono professioniste ma si calano bene nei ruoli con interpretazioni soddisfacenti. Consiglio la visione, perché rispetto a tanto inutile cinema italiano, il lavoro di De Paolis presenta competenza tecnica nell’uso della soggettiva e della macchina a mano, oltre al fatto che la tematica affrontata non è per niente scontata né banale. Il tentativo di scrivere una storia dedicata alle minoranze che soffrono va quanto meno premiato. Lo trovate su Rai Play, che contiene molto buon cinema italiano.

Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Roberto De Paolis. Fotografia: Claudio Cofrancesco. Montaggio: Paola Freddi. Musiche: Emanuele De Raymondi, Andrea De Sica. Scenografie: Paola Peraro. Costumi: Loredana Buscemi. Produttore: Carla Altieri. Case di Produzione: Young Films, Indigo, Film, Rai Cinema. Distribuzione (Italia): Lucky Red. Genere: Drammatico. Durata: 110’. Interpreti: Glory Kevin (Princess), Lino Musella (Corrado), Salvatore Striano (cliente tassista), Maurizio Lombardi (cliente ricco), Sandra Osagie (Success).

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