L’io e il concetto del mio, nel rapporto di coppia dopo l’ennesima caso di femminicidio

Articolo di Antonino Schiera

La percezione dell’io e il concetto del mio nel rapporto di coppia, rappresenta un importante elemento per cercare di analizzare e soprattutto di debellare l’assurdo quanto tragico e meschino fenomeno del femminicidio. L’uomo che fino a poco tempo prima rivestiva il ruolo, all’interno di una coppia, di colui che ama, che protegge, di colui che è pronto a dimostrare il suo profondo attaccamento e le sue reali intenzioni per un rapporto duraturo, improvvisamente diventa il carnefice. Si determina così la distruzione di una vita e lo sconforto di intere comunità, non solo familiari, che ruotano attorno alla vittima.

La percezione dell’io del carnefice è fondamentale, come scrivevo prima, per capire quali sono le dinamiche che intervengono nel momento in cui la mano, spesso armata, si trasforma in violento strumento di morte. Una percezione di se stessi che deve tenere conto della possibilità che una storia d’amore possa finire, che nell’ambito del rapporto di coppia non è necessariamente tutto e sempre scontato, ovvero che il sentimento va nutrito e alimentato ogni giorno.

Una percezione corretta del proprio io, libera dai gangli pericolosi del giudizio degli altri, dell’istigazione e dal concetto del possesso che nell’ambito sentimentale spesso gioca un ruolo particolarmente deleterio.

A tal proposito riporto le parole di Umberto Galimberti tratte dal suo monologo “L’Io e il Noi. Il primato della relazione”: “molte persone concepiscono l’amore in maniera possessiva. Mia moglie, mio marito, togliete questi possessivi. Non c’è niente di vostro, l’altro è un altro. Anche i matrimoni possono essere possibili solo se partono dal concetto che Lei o Lui è un altro. Ciascuno di noi è il riflesso dello sguardo dell’altro. Oggi ci si lamenta dell’egoismo, del narcisismo, ma chi ha messo il seme del primato dell’individuo rispetto alla comunità?”.

Mi trovo in perfetta sintonia con il filosofo, saggista e psicoanalista lombardo in quanto il concetto del mio, nell’ambito sentimentale, è facilmente riconducibile al concetto di possesso di un oggetto. Ovvero di un oggetto posso dire mi ha appartiene, l’ho comprato, me lo hanno regalato pertanto è mio. Altrettanto non possiamo dire di una persona seppur nostra compagna o nostro compagno nella vita. Un oggetto non ha vita, non è animato, non ha sentimenti e non prova dolore. Una persona, qualsiasi ruolo abbia all’interno della nostra esistenza facente parte della comunità come ricorda Galimberti, al contrario prova sentimenti, prova dolore, prova felicità, ha un’anima e ha un corpo che vanno rispettati senza se e senza ma. E non può esistere nessuna ragione che possa portare chicchessia a porre fine a quell’esistenza in vita.

L’ultimo caso di femminicidio, un ragazzo di diciannove anni che ha tolto la vita a una ragazza di quattrordici anni per il solo fatto che lei lo aveva lasciato, sposta drammaticamente verso il basso l’età media di chi si sporca le mani in questo ambito, Seppur il femminicidio è qualcosa di molto grave mai giustificabile, va detto che nei casi di omicidio, salvo che non sia per legittima difesa, non può esserci una graduatoria che ne determina il grado di efferatezza.

Desidero sottolineare il fatto che il fenomeno del femminicidio, e non di meno i casi di violenza sessuale, sta creando una frattura nei rapporti tra uomo e donna in quanto la fiducia e il reciproco rispetto sono alla base di ogni rapporto di coppia.

Dicevo che il possesso ovvero la percezione sbagliata dell’altro è alla base di una profonda distorsione della realtà che dovrebbe essere caratterizzata dall’impegno reciproco perché la coppia possa funzionare bene.

Ma la domanda finale è questa, dobbiamo forse impegnarci di più a livello familiare, educativo, sociale perché si ritorni a dare il massimo valore alla vita, l’impressione è che troppo facilmente si agisca per uccidere.

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