Si fa strada una nuova forma di disconnessione emotiva: un atteggiamento destabilizzante per la sua apparente casualità, in cui chi si era eclissato si rifà vivo dopo settimane o mesi, con naturalezza, come se nulla fosse accaduto. È il sintomo di una crisi più ampia: quella dei legami nella società liquida, dove la connessione è continua, ma l’impegno autentico è sempre più raro
Nel panorama affettivo contemporaneo, l’amore sembra vivere in uno stato di perenne transizione: si accende, si spegne, svanisce e, all’improvviso, riaffiora. Dopo il ghosting — quella sparizione silenziosa e definitiva che lascia l’altro in balia del vuoto —, si fa strada una nuova forma di disconnessione emotiva: il submarining. Un atteggiamento destabilizzante per la sua apparente casualità, in cui chi si era eclissato si rifà vivo dopo settimane o mesi, con naturalezza, come se nulla fosse accaduto. È il sintomo di una crisi più ampia: quella dei legami nella società liquida, dove la connessione è continua, ma l’impegno autentico è sempre più raro.
A raccontare con efficacia questa dinamica è l’articolo pubblicato su Tgcom24, dal titolo “Il ghosting si è evoluto e ora è diventato ‘submarining’, come difendersi da chi appare e scompare”. Il testo offre uno sguardo ironico ma lucido su un fenomeno sempre più diffuso, tanto da meritare un posto nel vocabolario sentimentale dei nostri tempi.
Il termine submarining è stato coniato dalla scrittrice britannica Rebecca Reid, che — come riporta Tgcom24 — lo ha scelto per descrivere “l’inaspettato ritorno di una persona, di qualunque sesso, dopo la fase di ghosting: proprio al pari dei marinai di un tempo che si imbarcavano per scomparire in fondo al mare e poi riemergere al termine della missione a loro assegnata”.
A differenza del ghosting, in cui il distacco è netto, il submarining si fonda su un’alternanza logorante di silenzi e ricomparse improvvise. È una dinamica ciclica che disorienta, perché chi torna lo fa evitando qualsiasi spiegazione. “Appaiono e riappaiono, senza sentire neanche il bisogno di accampare una giustificazione per l’assenza. Sono i maghi del submarining, illusionisti professionisti capaci di prendersi il proscenio nelle relazioni più tossiche”, si legge nell’articolo.
La gravità di questo atteggiamento sta proprio nella sua leggerezza apparente: chi lo adotta non sente la necessità di chiarire né di ridefinire il proprio ruolo. Come osserva ancora Tgcom24, “non c’è nemmeno più bisogno di una scusa per l’assenza improvvisa, nemmeno un ‘ho avuto da lavorare’ o ‘il cane mi ha mangiato lo smartphone’”. Il rapporto viene sospeso unilateralmente, lasciando l’altra persona in attesa, sempre pronta a riprendere da dove si era interrotto.
Ma il submarining non è un caso isolato: è solo una delle tante manifestazioni dell’instabilità affettiva nell’era digitale. Come sottolinea Tgcom24 “nel mondo delle relazioni, certi comportamenti non solo prosperano ma a volte si evolvono”, dando origine a un intero lessico dell’amore fluido, che racconta il disagio contemporaneo verso la stabilità emotiva.
In questo universo in costante mutamento, emergono schemi relazionali sempre più sfuggenti. Il breadcrumbing, ad esempio, consiste nel mantenere vivo l’interesse dell’altro tramite segnali sporadici — messaggi, like, attenzioni improvvise — senza però costruire nulla di concreto. È una strategia che illude, alimenta l’attesa, ma non offre alcun contenuto reale: una forma di manipolazione emotiva lieve ma costante.
Poi c’è lo zombieing, un ritorno “spettrale” dopo un periodo di silenzio assoluto. Chi era svanito nel nulla si ripresenta senza un reale desiderio di confronto, magari con un semplice like o un messaggio fuori contesto. È il tentativo di riesumare un legame ormai estinto, solo per qualche attimo fugace, lasciando dietro di sé ulteriore confusione.
Un’altra dinamica sempre più frequente è l’orbiting: chi si allontana fisicamente o emotivamente continua comunque a ruotare attorno all’altro attraverso i social. Osserva le storie, mette cuori qua e là, mantiene una presenza digitale costante ma priva di qualsiasi volontà di riconnettersi davvero. Un’ombra virtuale che non abbandona mai del tutto la scena.
Ma non è tutto. Esiste anche la situationship, termine che descrive quei legami indefiniti, in bilico tra amicizia e amore, privi di etichette e progettualità. Due persone condividono ore, intimità, e persino una pseudo-quotidianità, ma senza mai chiarire la natura del loro rapporto. Questo limbo emotivo è spesso più doloroso di un’assenza vera e propria.
Tutte queste forme relazionali rivelano un malessere profondo: la crescente difficoltà nel costruire legami autentici in un mondo che valorizza la rapidità, la leggerezza e la disponibilità emotiva a consumo. L’impegno è vissuto come vincolo, l’intimità come rischio. I sentimenti si gestiscono con la stessa disinvoltura con cui scorriamo i contenuti sui social.
In questo scenario, le riflessioni del sociologo Zygmunt Bauman restano attualissime. Nel suo saggio Amore liquido, descrive una società in cui “tutto è incerto, fluido, mutevole”, compresi i rapporti affettivi. L’amore non è più qualcosa da costruire nel tempo, ma un’esperienza passeggera, precaria, facilmente sostituibile. I legami sono fragili, privi di radici, e pronti a dissolversi al primo ostacolo.
Il submarining incarna pienamente questa logica. È un legame che si rifiuta di morire, ma non vive mai davvero. È il tentativo di mantenere un contatto senza assumersi alcuna responsabilità. Come scrive Tgcom24, “oggi invece, dopo mesi passati a provare a mettere nel cassetto impolverato dei ricordi un rapporto, ecco ricomparire la persona senza troppe giustificazioni, magari con un sobrio ‘Ehi, che fai?’”. Adesso basta solo un messaggio per riaprire una porta, e anche le chiusure diventano provvisorie.
La responsabilità non è solo individuale, ma anche del contesto sociale iperconnesso, che rende ogni legame potenzialmente infinito e mai realmente concluso. Le app di messaggistica, i social network e le piattaforme di dating hanno creato una realtà parallela in cui tutto è reversibile, recuperabile, aggiornabile. Persino i rapporti umani.
Ritrovare il “bon ton dell’addio”, come lo definisce l’articolo, è forse il primo passo verso legami più sani. Chiudere con chiarezza è diventato un atto di coraggio. In un’epoca che rifugge dalla profondità e teme la definizione, essere presenti e coerenti è quasi rivoluzionario.
Come ci ha insegnato Bauman, l’amore liquido si disperde se non trova contenitori solidi. E oggi, più che mai, abbiamo bisogno di legami veri, fatti di parole sincere e di presenze che non abbiano paura di restare.