Silenzio: è ora di essere uniti nella lotta alla mafia

Articolo di Francesco Ferrara

SINCRONIZZIAMO LE LANCETTE, NON QUELLE DELL’OROLOGIO, MA DELLA LOTTA ALLA MAFIA, SILENZIO È L’ORA DI ESSERE UNITI.

Trentatré! Trentatré anni da quel pomeriggio del ventitré di maggio del millenovecento novantadue, sembrerebbe un nuovo scioglilingua e, invece, è un anniversario triste, dinanzi alla quale la lingua dovrebbe tacere.

Tacere e fare silenzio non sono sempre necessariamente sinonimi; dipende dal significato che si dà al tacere ed al fare silenzio. Fare silenzio, in determinati contesti quale una commemorazione, è un modo per rispettare la memoria di chi è caduto nell’adempimento del proprio dovere; fare silenzio è il modo simbolico per contrapporsi, allegoricamente, a quel boato che trentatré anni fa strappò la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo ed Antonio Montinaro.

In una manciata di secondi, una mano criminale azionava una carica esplosiva ed in altrettanto pochi secondi una deflagrazione sull’autostrada, che dall’Aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, uccideva cinque servitori dello Stato e squarciava non solo l’asfalto ma le coscienze di tante donne e uomini, giovani e meno giovani. Trentatré anni! Molti di quelli che quel sabato pomeriggio sentivano girare l’elicottero su Palermo e inseguivano le prime notizie confuse, che correvano di bocca in bocca (non c’erano ancora i social network e le news sul cellulare) non vivono più in quella città chiassosa, ma abituata a tacere sull’esistenza della mafia.

Quel 23 maggio ha cambiato la storia di quella terra e non solo, quasi come l’inizio di una nuova epoca: quella di un’antimafia diffusa. Una data difficile da dimenticare per chi in quell’anno era tra i banchi di scuola. Il 23 maggio, dopo la strage di Capaci, non è una data qualunque, è una di quelle date entrata nel calendario come un giorno da ricordare. Mille ricordi per chi scrive: una data che ti rimane dentro, un orario, quello del pomeriggio del 23 maggio 1992 che, quasi misteriosamente, ti rimane dentro anche se non guardi l’orologio.

Il pensiero, silenzioso e rispettoso, verso quelle vittime del dovere si impone.

Quest’anno, nel trentatreesimo anniversario non ero davanti “l’albero Falcone” a commemorare, o quanto meno non lo ero fisicamente; quindi, non so esattamente cosa sia successo. Non so se qualcuno ha letto male le lancette dell’orologio o se qualcun altro era, invece, pronto a cronometrare, come in una gara a premi, i possibili errori di qualcun altro. Non lo so e, dunque, ho il dovere di tacere, ma una cosa la so e non posso tacere: in quella strada che tante volte Giovanni Falcone percorse per tornare a casa sua, il 23 maggio 2025 c’erano tanti giovani.

Ragazzi e ragazze che trentatré anni fa’ non erano nemmeno nati, ma erano lì perché chi, quegli anni li ha vissuto, ha trasmesso loro l’indignazione verso la mafia ed orgoglio di servire le Istituzioni.

Uno di loro mi ha inviato una foto, non ricordo che ora fosse esattamente ma era ora che quei giovani fossero lì, e con il cuore, io con loro.

Per la cronaca, non ero lì presente perché non lo ritenessi importante ma perché il mio lavoro è altrove, dentro una di quelle Istituzioni, che provano, ogni giorno, a dare il loro piccolo contributo alla legalità; ero in una riunione di lavoro e d’istinto avrei voluto chiedere agli altri di tacere, ma ho preferito fare silenzio dentro di me e dedicare il lavoro di quel giorno alle tante vittime della mafia.

Ripensando poi a quel pomeriggio e leggendo sulle polemiche sorte sull’orario sbagliato in cui fare silenzio ho sentito riecheggiare le parole tuonanti dell’omelia del Cardinale Pappalardo (pronunciate durante di funerale del Generale Dalla Chiesa) “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”, una strana e assordante assonanza quella tra il detto dell’Antica Roma e la polemica palermitana, su cui – essendo assente – non mi pronuncio.

Solo una riflessione per onorare le vittime di quel 23 maggio 1992: Giovanni Falcone diceva che “la mafia è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”; sincronizziamo tutti, simbolicamente, le lancette dell’orologio della lotta alla mafia, in ogni sua forma, perché un giorno, urlando di gioia, si possa dire in coro “è finita, aveva ragione Falcone”.

Related Articles