Concetto Marchesi: l’umanista catanese dalla cultura «ellenistica»

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Nasce a Catania nel 1878 da una famiglia di nobili origini che innanzitutto hanno segnato e segnano il suo humus, il suo stile, la sua grazia, la sua parola, le sue azioni. Frequenta il liceo classico «Nicola Spedalieri» di Catania. Si iscrive nel 1896 alla Facoltà di Lettere dell’Università di Catania. Inizia ad insegnare nei ginnasi di Nicosia, di Siracusa, di Caltanissetta e nei licei di Pisa, Verona e di Messina. Nel 1915 vince il concorso di Letteratura latina ottenendone la cattedra presso l’Università di Messina. Nel 1923, a quarantacinque anni, si laurea in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Messina. Nello stesso anno l’ateneo di Padova gli assegna la cattedra di Latino Medioevale. Un insegnamento che esplica fino al 1948.

In questi, dal 1925 al 1927, scrive e pubblica per l’editore Principato di Messina un’opera «duratura», «classica» la «Storia della letteratura latina», un manuale «classico» per interi decenni, un’opera che tanti critici e studiosi hanno posto in parallelo alla «Storia della letteratura italiana» di Francesco de Sanctis.

Nella sua attività di studioso, brevemente tratteggiata, Concetto Marchesi con rigore e passione palesa la sua raffinatezza umanistica, la sua cultura «ellenistica» (la definizione è del professore Luciano Canfora, che lo scorso anno ha dedicato una biografia al latinista catanese).

Il latinista Concetto Marchesi inaugura l’Anno accademico dell’Università di Padova, il 9 novembre 1943, con un appello agli studenti, che vuol essere la parabola e la chiave di volta di questo breve ritratto. Un appello-lezione che ancora dopo settantasette anni possiede tutta la sua forza, la sua energia. Un appello-lectio vibrante che sintetizza le fila della sua sapienza, è l’eco della sua classica sapienza:

«L’Università è sicuramente la più alta palestra intellettuale della gioventù: dove sorgono lenti o impetuosi i problemi dello spirito, dove gli animi sono più intenti a conoscere o a riconoscere quelle che resteranno forse le verità fondamentali dell’esistenza individuale. E noi maestri abbiamo il dovere di rivelarci interi, senza clausure né reticenze, a questi giovani che a noi chiedono non solo quali siano i fini e i procedimenti delle particolari scienze, ma che cosa si agita in questo pure ampio e infinito e misterioso cammino della storia umana. […] Non sarà frase ambiziosa dire che l’Università è l’alta inespugnabile rocca dove ogni nazione e ogni gente raduna le sue più splendide e feconde energie perché l’umanità abbia nel suo cammino un sostegno e una luce; essa è la rocca che domina o alimenta il mondo tutto del lavoro. […] Giovani, confidate nell’Italia. Confidate nella sua fortuna se sarà sorretta dalla vostra disciplina e dal vostro coraggio: confidate nell’Italia che deve vivere per la gioia e il decoro del mondo, nell’Italia che non può cadere in servitù senza che si oscuri la civiltà delle genti».

Parole che interpellano il senso del nostro essere persona. Sono un invito a salire «sulle spalle dei giganti» certi che «nani sulle spalle di nani, non vediamo nulla» (docet Ivano Dionigi, Segui il tuo demone). Parole che propongono riflessioni sullo stato sociale e culturale della nostra istruzione e formazione. Parole che ci invitano a riflettere per aiutarci ad orientarci in questo nostro presente.

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