“Italiani brava gente”, un film che mostra caratteri stereotipati dei vari tipi italici

Articolo di Gordiano Lupi

Giuseppe De Santis (Fondi, 1917 – Roma, 1997) è un regista che ricordiamo per il suo neorealismo applicato al melodramma, soprattutto per Riso amaro (1949) interpretato da Silvana Mangano e Walter Chiari. Fratello di Pasqualino De Santis, grande direttore della fotografia, è regista letterato che nasce scrittore di narrativa campestre, legata alla sua terra. Frequenta la rivista Cinema e gli ambienti culturali collegati, si diploma al Centro Sperimentale, milita nel Partito Comunista, collabora con Visconti (Ossessione) e Rossellini (Desiderio), quindi debutta con Caccia tragica (1947) e si afferma con Riso amaro. Nel corso della carriera presenta il limite di non riuscire a rinnovarsi, propone tematiche universali ma le storie non sono di grande presa sul pubblico degli anni Settanta che preferisce la commedia. Il suo ultimo film è datato 1972 ed è una sorta di feuilleton intitolato Un apprezzato professionista di sicuro avvenire. Il successo della commedia all’italiana lo convince a mettersi da parte, perché un regista specializzato in melodramma neorealistico con implicazioni sociali non trova produttori per nuovi soggetti. Undici lungometraggi realizzati dal 1947 al 1972, alcune sceneggiature originali, un Leone d’oro alla Carriera nel 1995. Giuseppe De Santis è l’autore di Italiani brava gente (1964), la sua penultima opera, prodotta da Italia e Unione Sovietica, che racconta la Campagna di Russia e la disfatta nazifascista durante la Seconda Guerra Mondiale con la ritirata dell’esercito italiano in mezzo alla neve. Il titolo prende in prestito il luogo comune degli italiani brava gente, per il quale l’italiano sarebbe un popolo poco incline a gesti efferati contro il nemico durante la guerra, così come nelle conquiste coloniali la nostra presenza sarebbe stata accettata perché benevola. Il luogo comune porta spesso ad affermare che il fascismo non è stato come il nazismo, in fondo si è trattato di un regime meno autoritario e meno sanguinario, che i fascisti non si sarebbero macchiati delle atrocità naziste. Tutte cose avvolte nel mito, accettate dagli italiani per convenienza, in realtà non provate, se non del tutto prive di fondamento. Il film di De Santis, pur nella correttezza storica dei fatti, pare dare credito alla mitologia, perché mostra caratteri stereotipati dei vari tipi italici, secondo le regioni rappresentate, per illustrare con stile da neorealismo rosa – che nel finale sfocia in melodramma – la presunta bontà degli italiani. I soldati di casa nostra soffrono se devono fucilare una donna, la seguono in un campo di girasoli, si fanno uccidere per i suoi occhi, aiutano i partigiani russi a curare un malato e per farlo mettono a rischio la loro vita. La storia vede il colonnello Sermonti (Checchi) alla guida di un esercito di mille uomini chiamato a dare man forte ai tedeschi durante la campagna di Russia. Gli italiani non hanno vita facile, nonostante un iniziale buonumore, perché se la devono vedere con l’ostilità della popolazione contadina e con il clima rigido, oltre a tutte le difficoltà insite in un’azione bellica. Il morale della truppa diventa sempre più basso, le distanze da percorrere sono enormi, le tempeste di neve funestano i soldati, i tedeschi trattano i prigionieri con durezza e i rapporti con gli alleati si deteriorano. La controffensiva sovietica fa il resto, provocando una ritirata in mezzo alla neve e un gran numero di morti. Molto suggestiva la sequenza in cui Loris insegue in un campo di girasoli una ragazza russa, scampata alla fucilazione, la tratta con dolcezza e vorrebbe baciarla, ma viene raggiunto da una raffica di mitraglia. Ancor più azzeccato il passaggio precedente dove la voce fuori campo del ragazzo racconta la sua morte in un campo di girasoli, aggiungendo che non saprà mai se questa guerra l’abbiamo vinta o persa. Molto ben fatta anche la parte della lepre uccisa e dei due soldati che se la contendono, ma che finisce in tragedia perché un italiano rompe la tacita tregua tra battaglioni. Voce narrante di Andrea Cecchi (il colonnello Sermonti) che racconta la tragedia e si fa una colpa di aver condotto dei ragazzi a morire mentre lui si è salvato la vita. Riccardo Cucciolla (Giuseppe Sanna, muratore di Cerignola), di tanto in tanto, gli dà il cambio e commenta le vicende della truppa. Tra i personaggi meglio riusciti Libero Gabrielli (Raffaele Pisu – doppiato da Gianni Musy) che suona l’armonica, spesso intonando canzoni proibite come L’internazionale. Libero sarà l’ultimo a morire perché abbandona la colonna dell’esercito, si perde nella neve e finisce assiderato dal gelo. Gino Pernice, invece, è il divertente toscano che tutti chiamano Collodi. Ricordiamo Peter Falk (non ancora tenente Colombo, ben doppiato in napoletano da Carlo Croccolo) nei panni dell’ufficiale medico Mario Salvioni che perde la vita per salvare un partigiano sovietico. Tra le figure italiane negative spicca il maggiore Ferri (Kennedy), fascista a capo degli Arditi, che si mostra coraggioso mentre è solo un finto mutilato imboscato. Pure lui fa una brutta fine, ucciso dai soldati italiani durante la ritirata. Fotografia russa realizzata da Antonio Secchi con uno struggente bianco e nero che valorizza gli ampi spazi innevati e i campi coltivati a grano e girasoli. La storia è in gran parte merito del genio narrativo di Ennio De Concini e Giuseppe De Santis. Montaggio di Mario Serandrei (rapido ed efficace) che rende 146 minuti di pellicola di agevole fruizione. Colonna sonora del grande Armando Trovajoli che pesca nel repertorio della musica tradizionale. I girasoli (1970) di Vittorio De Sica, interpretato da Sophia Loren e Vittorio Mastroianni, riprende molte delle suggestioni di Italiani brava gente, pur con un soggetto originale di ben altro tenore. Il titolo anglofono Attack and Retreat descrive con egregia sintesi il contesto dell’azione filmica. Italiani brava gente è una pellicola da recuperare.

Regia: Giuseppe De Santis. Soggetto: Ennio De Concini, Giuseppe De Santis. Sceneggiatura: Sergej Smirnov, Ennio De Concini, Giuseppe De Santis, Augusto Frassineti, Giandomenico Giagni. Fotografia: Antonio Secchi. Montaggio: Klavdija Moskvina, Mario Serandrei. Musiche: Armando Trovajoli. Scenografia: Ermanno Manco. Produttore: Lionello Santi. Case di Produzione: Mosfil’m, Galatea spa. Distribuzione (Italia): Titanus. Paesi di Produzione: Italia, Unione Sovietica. Anno: 1964. Durata: 146’. Dati Tecnici: B/N. Genere: Drammatico, Bellico. Interpreti: Arthur Kennedy (Ferro Maria Ferri), Tat’jana Samojlova (Sonia), Raffaele Pisu (Libero Gabrielli), Andrea Checchi (colonnello Sermonti), Riccardo Cucciolla (Giuseppe Sanna), Nino Vingelli (sergente Manfredonia), Peter Falk (tenente Mario Salvioni), Gino Pernice (Collodi), Zanna Prochorenko (Katja), Lev Prygunov (Loris Bazzocchi), Sergej Luk’janov (Aleksandr Sergeevič). Titolo inglese: Attack and Retreat.

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