Aldo Onorati racconta come ha scoperto Dante

Articolo di Pietro Salvatore Reina

L’originalità dell’analisi dantesca di Aldo Onorati, allievo del professore Giorgio Petrocchi, ordinario di Letteratura italiana nelle Università di Messina (dal 1955) e alla Sapienza di Roma (dal 1961), nonché redattore capo dell’Enciclopedia Dantesca, consta nella sua pluridecennale lettura filologica e nella profonda e singolare analisi di indagatore e cacciatore testuale della Commedia. Aldo Onorati è uno scrittore, un poeta, un saggista. Le sue opere sono tradotte in molte lingue. Dal 2005 è ambasciatore della Cultura dei Castelli Romani nel mondo. Nel 2009 è stato insignito dalla Società Dante Alighieri del diploma di benemerenza con medaglia d’oro per la «profonda conoscenza dell’opera dantesca, al punto di diventare testimone nel mondo della Divina Commedia».

Onorati, raffinato intellettuale del Novecento, negli anni della sua formazione ha colloquiato con Pasolini, C. Levi, Moravia. La specificità della lectio Dantis di Onorati sta nell’attenzione e nella cura con cui si accosta al testo da leggere, studiare rivelandone la stupefacente bellezza a chi lo ascolta e/o a chi lo legge.

D.: Può raccontarci, professore Onorati, a quando risale il suo primo incontro con Dante? Come e cosa ricorda?

R.; Il primo incontro con Dante non è avvenuto a scuola, bensì all’osteria di mio padre. Un certo Oberdan, analfabeta, entrava tutte le sere recitando a memoria spezzoni della «Commedia». Io frequentavo la quinta elementare e papà, un giorno, tirandomi l’orecchio, fa: «Tu vai a scuola a scaldare il banco». Alla mia domanda, rispose: «Oberdan conosce Dante e tu no». Ferito nell’orgoglio, cercai nella biblioteca paterna e trovai un’edizione del Poema Sacro commentato da Eugenio Camerini. Imparai a memoria il primo canto dell’Inferno, come fosse un elenco telefonico. Quando tornò Oberdan e iniziò proprio da quello, lo interruppi e continuai fino alla fine. Papà mi dette una piccola mancia, e così continuai a mandare a memoria quanto non capivo, ma che mi sono ritrovato come un tesoro negli anni a venire.

D.: Quale rima, terzina o frase dantesca ha guidato e guida il suo quotidiano lavoro di docente e studioso?

R.: La terzina-guida è quella del XXVI dell’Inferno, quando Ulisse arringa i suoi vecchi commilitoni che stanno per intraprendere un viaggio oltre le Colonne d’Ercole: «Considerate la vostra semenza: /fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza». Ma il nocciolo della questione sta nella contraddizione della Natura, che ci spinge alla scoperta dell’ignoto e poi ci punisce, com’è accaduto a Ulisse e come succede sempre a chi scavalca il limite postoci dalle umane cose. Ecco che l’uomo deve diventare un eroe, o rimanere una bestia. Questo bisticcio tragico è il mio dramma quotidiano, non per me come persona, ma per l’uomo vero che mette a repentaglio la propria vita per il bene dell’umanità.

D.: La figura di Dante come uomo e letterato è davvero piena e completa: un politico, un poeta e scrittore, un esule con prole al seguito, un condannato a morte sempre alla ricerca della giustizia. Cosa quest’uomo oggi può davvero insegnare? Ovvero quale «segno» nella vita dei giovani e dei meno giovani può porre?

R.: Dante insegna tante cose: è il più attuale dei nostri autori. Oggi è tempo di compromessi, di mediocrità generale. Dante insegna il coraggio di denunciare le cose. Egli è il testimone per eccellenza della verità. Come Ulisse, ha osato l’inosabile, nei secoli in cui parlare chiaro come l’Alighieri poteva costare la pelle!

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