“Io ti amo”, un melodramma musicale interpretato da Alberto Lupo e Dalida

Articolo di Gordiano Lupi

Io ti amo (1968) è un melodramma musicale interpretato da Alberto Lupo e Dalida, una scusa su pellicola per far cantare qualche canzone di successo alla bella francese. Ne parliamo perché la trama concede alcuni spazi all’horror fantastico. Un pittore (Lupo) si innamora di una hostess (Dalida), ma alla fine la ragazza muore in un incidente. Margheriti ritiene Io ti amo il suo film peggiore, non senza motivo, perché la trama è confusa, si vogliono dire troppe cose con tante parole e molte canzoni. Renato Polselli ci mette del suo, contribuendo alla sceneggiatura. L’elemento fantastico del film è costituito dalla figura della hostess che poco a poco sembra diventare un fantasma uscito dalla mente del pittore, perché l’obiettivo non resta impressionato quando lui la fotografa e alla fine la donna sparisce nel niente. Il film finisce e lo spettatore resta nel dubbio che la storia d’amore sia un’invenzione onirica del pittore.

Nel 1968, Antonio Margheriti gira anche Nude… si muore, un giallo classico molto hitchcockiano, che presenta alcuni elementi gotici come la villa, il castello, lo scantinato assimilabile a una cripta e il luogo chiuso dove si compiono delitti. Gli omicidi sono molto horror, ben fotografati e introdotti da una mano coperta da un guanto nero che si muove nell’ombra. Lo schema è quello dei Dieci piccoli indiani di Agata Christie, perché – a parte il primo omicidio che si svolge in un bagno – tutti gli altri si verificano all’interno di un collegio femminile. Il killer è uno dei personaggi che l’autore ci presenta, anche se il colpo di scena finale è un po’ macchinoso e rischia di sembrare un artificio narrativo troppo spinto. Il film dovrebbe girarlo Mario Bava, che non lo fa perché impegnato con Diabolik. Giovanni Simonelli e Franco Bottari lo sceneggiano per Margheriti che ne assume la direzione e lo trasforma in un thriller rosa indeciso su quale strada prendere.

Contronatura The Hunnaturals (1969) non è un vero e proprio horror, ma un melodramma passionale che contamina erotismo morboso, giallo classico e suggestioni macabre. Non è un film gotico, perché ambientato in epoca moderna, ma molti elementi evocano vecchie atmosfere. Non mancano notti di tregenda, pioggia incessante, finestre spalancate da colpi di vento irreale e un antico maniero immerso nella foresta. Torna il lesbismo – vero leitmotiv margheritiano – che lega le protagoniste e procura un inevitabile divieto ai minori di anni diciotto. La storia si svolge negli anni Trenta in Inghilterra, tra uno chalet nascosto in un bosco e diversi flashback che evocano un turpe passato. Il tema conduttore è una seduta spiritica, nel corso della quale vengono a galla le colpe di cui si sono macchiati gli ospiti: omicidi, amori saffici, tradimenti e corruzione. Alla fine si scopre che la seduta spiritica è diretta da una coppia di fantasmi in cerca di vendetta per essere stati ingiustamente condannati a morte. Si può dire che la vera parte horror giunge nel finale, quando il clima si fa ancora più morboso, gli ospiti dello chalet si uccidono a vicenda e una metaforica ondata di fango sommerge la casa.

Margheriti scrive, dirige e produce il film, girato tra Tirrenia e Berlino, realizzandolo in piena economia, puntando su un clima irreale, molti movimenti di macchina e un uso smodato dello zoom. La storia ricorda i racconti di Poe e Lovecraft, soprattutto per l’elemento claustrofobico e per l’unità di tempo, luogo e spazio nella quale si concentra l’azione. Il film inizia e si conclude con la seduta spiritica, inserendo nella trama diversi flashback e brevi parti oniriche. Il tema dominante è la colpa, la corruzione dei personaggi – quasi tutti negativi – che mettono in scena rapporti perversi fino alla simbolica punizione del fango che ricopre la villa. La parte soprannaturale è ridotta all’essenziale, il vero motivo dominante del film è il peccato, l’erotismo torbido e malsano.

“Ho fatto troppe zoomate. Non dovevo usare il colore…”, afferma Margheriti, mai troppo soddisfatto dei suoi lavori. Contronatura resta in ogni caso uno dei suoi capolavori indiscussi.

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