Il cavallo di Troia: un inganno linguistico memorabile

Articolo di Armando Giardinetto

Tutti conoscono la storia del cavallo di legno grazie al quale gli Achei – antichi Greci – entrarono nella città di Troia dopo una lunga ed estenuante guerra durata dieci anni. Il suddetto cavallo rappresentò una vera e propria macchina bellica costruita con tale astuzia che permise ai Greci di espugnare la città di Troia. Ciò accadde, secondo il mito, il 24 aprile del 1184 a. C.

Ulisse, famosissimo eroe dell’esercito del re Agamennone, escogitò un piano con molta furbizia per trarre in inganno i Troiani, i quali credettero alla ritirata dell’esercito degli Achei che abbandonarono la spiaggia di fronte alla città, lasciandovi però un enorme cavallo di legno che venne costruito da Epeo con l’aiuto di Atena. Non proprio tutti gli Achei andarono a nascondersi nella vicina isola di Tenedo poiché altri, i più valorosi guerrieri dell’esercito del re Agamennone, incluso Ulisse, si nascosero nel ventre del cavallo di legno pronti a venir fuori al momento giusto. Pensando che la guerra fosse finalmente finita, i Troiani iniziarono a riflettere su cosa farsene di quell’enorme struttura di legno. Così il veggente e sacerdote di Poseidone, nonché ex guerriero troiano, Laocoonte, consigliò con saggezza di distruggere il cavallo e di diffidare del nemico, ma nessuno lo ascoltò. Dal canto suo anche Cassandra, sacerdotessa del tempio di Apollo, nonché figlia del re di Troia, profetizzò terribili cose per il suo popolo, ma nessuno le prestò attenzione. Nel II libro dell’Eneide di Virgilio si legge: “Per primo accorre… dall’alto della rocca Laocoonte adirato, seguito da una grande turba; e di lungi: “Sciagurati cittadini, quale così grande follia? Credete partiti i nemici? O stimate alcun dono dei Danai privo d’inganni? Conoscete così poco Ulisse? O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei, o questa macchina è fabbricata a danno delle nostre mura, per spiare le case e sorprendere dal alto la città, o cela un’altra insidia: Troiani, non credete al cavallo”.

Ad un certo punto Sinone, cugino e guerriero di Ulisse, si consegna nelle mani dei Troiani raccontando loro una sua versione totalmente falsa delle cose. Racconta, infatti, di essere riuscito a sfuggire ad un sacrificio organizzato da Ulisse per propiziare il ritorno in patria degli Achei e, riuscendo a mantenere il gioco, seppe rispondere a tutte le domande che il re di Troia, Priamo, gli faceva sulla ritirata degli Achei. Disse, inoltre, che il cavallo era stato costruito in onore della dea Atena e che furono scelte quelle enormi dimensioni affinché i Troiani non avessero avuto modo di trasportarlo dentro le mura della città poiché questo avrebbe fatto arrabbiare la dea Minerva la quale avrebbe reso impossibile il ritorno in patri dei Greci. I troiani, d’altro canto, decisero allora di aprire una breccia nelle loro stesse mura e di portare la struttura dentro la città. Sopraggiunta la notte, i soldati achei uscirono silenziosamente dal cavallo e, sorprendendo gli avversari che stavano festeggiando la vittoria tra il vino e le risate, riuscirono ad uccidere le sentinelle alla base della struttura e furono in grado di aprire la rocca ai loro compagni che, intanto, erano stati avvertiti da Sinone e avevano lasciato Tenedo per sbarcare nuovamente sulle coste della città di Ilio che venne assediata, sterminata, incendiata. Tra i numerosissimi morti ci fu anche il re di troia, Priamo, mentre Enea – che combatté in difesa di Troia – prese il suo vecchio padre sulle spalle e, fuggendo a gambe levate, abbandonò la città in fiamme (da qui comincia il racconto dell’Eneide di Virgilio).

Ad oggi numerosi studi parlano del famosissimo cavallo di troia guardandolo da altre angolazioni. Infatti, già in antichità, esso non sarebbe stato, per Plinio il Vecchio, una struttura in legno a forma di cavallo, bensì un’arma da assedio, un ariete per la precisione. Per un altro studioso, il professore di storia antica Fritz Schachermeyr, che si appella agli studi archeologici della zona, il cavallo di Troia non sarebbe stato altro che una metafora usata per indicare un fortissimo terremoto che riuscì a far crollare le mura della città e a far in modo che gli Achei potessero entrarvi senza troppa fatica. Invece secondo altri studi – come quello dell’archeologo navale Francesco Tiboni – la struttura in legno non era un cavallo, bensì un’enorme nave fenicia costruita completamente in legno, appunto chiamata in greco “Hippos” poiché la prua della nave era proprio a forma di cavallo. Si tratterebbe perciò di un memorabile errore di traduzione: “Il Cavallo di Troia non era un cavallo di legno, bensì una speciale nave da guerra”, sostiene senza dubbio l’archeologo italiano Tiboni.

Ora sappiamo bene che di questa faccenda ne parla Omero nella sua Odissea, seppur solamente citandola, invece ne parla molto più a lungo il poeta latino Virgilio nella sua Eneide, precisamente nel II libro quando Enea, che si trova al cospetto della regina Didone, a Cartagine, racconta la sua fuga dalla città parlando della storia del cavallo.

Omero, secondo gli studi che appoggiano la tesi di Tiboni, conosceva benissimo l’arte navale antica e quando parlava di “Hippos” si riferiva con certezza ad una nave fenicia, mentre i traduttori che vennero in seguito, evidentemente ignoranti sull’arte navale di quel tempo, conclusero che “Hippos” equivaleva al celeberrimo cavallo di legno dentro al quale si nascosero i Greci. Certamente, però, sarebbe stato più facile per i guerrieri achei nascondersi dentro la stiva di una nave che nel ventre di un cavallo di legno, seppur di grandi dimensioni, e sarebbe stato anche più facile venire fuori da una nave che da un cavallo alto quanto un monte.

Quando Virgilio, dal canto suo, racconta la storia del cavallo di legno, usa il termine “equus” che significa, appunto, cavallo, facendo riferimento presumibilmente alle traduzioni a lui antecedenti. Tuttavia non è escluso che Virgilio, il quale conosceva bene il greco, probabilmente volle scrivere coscientemente “cavallo di legno” invece di “nave di legno” per una trovata poetica vincente, questo non lo possiamo sapere con certezza, fatto sta che o che sia stato un ariete da guerra, o che sia stato un terremoto, o che sia stato una nave fenicia, tutti ricorderemo il “cavallo di Troia” come l’inganno memorabile che Ulisse e i suoi usarono per vincere la guerra contro Troia di cui i resti, soprattutto la cinta muraria del VII secolo a. C., cioè quella dell’epoca di Omero, sono visitabili nell’odierna Turchia.

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