Ritratto di Paolo VI, a quarantacinque anni dalla morte

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 6 agosto 1978, alle ore 21:40 nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, muore papa Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini. Nato a Concesio, in provincia di Brescia, il 26 settembre 1897. Ordinato sacerdote nel maggio del 1920. Nel 1923 inizia a collaborare con la Segreteria della Santa Sede su indicazione di papa Pio XI. Il 1º novembre 1954, dopo la morte dell’abate e cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, papa Pio XII lo nomina arcivescovo di Milano. Il 21 giugno 1963 sale al soglio petrino.

Papa Montini è stato il primo pontefice ad utilizzare un aereo per visitare la Giordania e Israele dal 4 al 6 gennaio 1964. Il 5 gennaio 1964 avviene, a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, lo storico incontro tra il vescovo di Roma e il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Sua Santità Atenagora si rivolge al papa chiamandolo «Santissimo Fratello in Cristo». Un incontro-abbraccio che scioglie le reciproche scomuniche del Grande Scisma o scisma d’Oriente del 1054. Un incontro tra «Pietro e Andrea» che segna un nuovo corso nelle relazioni ecumeniche tra cattolici e ortodossi.

Papa Montini è una figura di alta spiritualità, di «ricca dotazione spirituale innestata all’interno di un periodo storico molto complesso e, per certi versi, tormentato e fin drammatico» (Gianfranco Ravasi, Paolo VI, il santo degli artisti, Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2018). Con papa Paolo VI l’Arte e la Fede si ri-allacciano nella consapevolezza che il Verum, il Bonum ma anche il Pulchrum – docet il grande teologo Hans Urs von Balthassar – sono una via a Dio. Lo scrittore Hermann Hesse, Premio Nobel per la Letteratura nel 1946, nella novella Klein e Wagner, pubblicata nel 1920, afferma l’«Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio».

Nel celebre Discorso rivolto agli artisti nella Cappella Sistina, il 7 maggio 1964, papa Paolo VI, sensibile al mondo della cultura e delle arti, afferma la volontà di «ristabilire l’amicizia tra la chiesa e gli artisti […] noi dobbiamo ritornare alleati […] noi abbiamo bisogno di voi». Un pensiero, una riflessione che risuona nel Messaggio finale che il Papa, a chiusura del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965, rivolge agli artisti: «ricordatevi che siete custodi della bellezza del mondo […] questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, e ciò che infonde gioia nel cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. Il 23 giugno 1973 inaugura la Collezione d’Arte contemporanea dei Musei Vaticani. Una pinacoteca di capolavori dei quali non possiamo non ricordare la Pietà di Vincent van Gogh e l’Innocenzo X di Francis Bacon, donato da Gianni Agnelli.

In diversi momenti del suo pontificato, infine, papa Montini mostra un particolare affetto e legame per Dante Alighieri. Nella ricorrenza del VII centenario della nascita di Dante, Paolo VI, con la lettera apostolica Altissimi cantus, data in Roma, il giorno 7 del mese di dicembre del 1965, evidenzia il profondo interesse della Chiesa per la figura di Dante. Con tale documento il pontefice istituisce, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano una cattedra di Studi danteschi. Già l’incipit della Lettera apostolica evidenzia la centralità assoluta nella poesia italiana del sommo poeta:

«Quest’anno ricorre un centenario del signore dell’altissimo canto, di Dante Alighieri (1) […] È perciò degno e giusto che soprattutto il popolo italiano onori e commemori con grande ossequio e a gara il suo massimo poeta, l’onore luminosissimo della sua letteratura. Egli infatti è il principale creatore della sua lingua e rimane, attraverso le età, protettore e custode della sua civiltà, così come ne espresse e ne rappresentò la forma e l’immagine (2) […] I giovani – uno dopo l’altro affidati alla sua scuola e divenuti alunni di un tale maestro – diventino capaci di illustrare la sua memoria e la sua opera, perché la sua poesia davvero verdeggi nel campo delle discipline letterarie, perché la sua sapienza umana e cristiana si affermi con nuova forza nella tradizione culturale degli italiani, secondo la consuetudine e l’uso degli antenati che a giustissimo titolo venerare venerarono Dante Alighieri come padre della loro lingua viva […] Dante è nostro […] e lo affermiamo non gloriarci di un tale trofeo per un amore ambizioso e orgoglioso, quanto piuttosto per ricordare a noi stessi il dovere di riconoscerlo tale, e di esplorare nella sua opera le ricchezze inestimabili della forza e del senso del pensiero cristiano, convinti come siamo che solo chi scava nelle segrete profondità dell’animo religioso del sommo poeta può comprendere a fondo e gustare con pari piacere i meravigliosi tesori spirituali nascosti nel poema (12) […] Il poema di Dante Alighieri è universale: nella sua immensa larghezza abbraccia cielo e terra, eternità e tempo (17).

Quasi alla conclusione della Lettera apostolica papa Paolo VI scrive: «Cerchino tutti di leggerla integralmente, senza precipitazione né di corsa, ma con mente penetrante e attenta riflessione […] esortiamo infine gli uomini della nostra epoca a perfezionare e luminare la loro cultura incontrandosi con un così alto spirito» (65-66).

P.S.: Ad una delle tante udienze generali di papa Montini parteciparono, nel dicembre del 1965, mia mamma e mio papà. Dedico a loro quest’articolo, infinitamente grato, per avermi fatto crescere sulla strada della sapienza.

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