“La festa dell’insignificanza” di Milan Kundera

Articolo di Gordiano Lupi

Milan Kundera è lo scrittore più complesso e al tempo stesso più leggero che il nostro secolo ha prodotto, la conferma viene da La festa dell’insignificanza, dove la parte comica è molto presente, la metafora la fa da padrone, senza abbandonare lo schema (anzi, quasi abusandone) del romanzo filosofico. In ogni caso la cosa più umoristica di questo romanzo è la recensione di Alessandro Piperno, uno degli autori più incomprensibili (la parola giusta sarebbe astrusi) della nostra letteratura, quindi il meno adatto a raccontarci Kundera. La festa dell’insignificanza è scritto in franceseed è l’ultimo romanzo del grande autore ceco – anche se lui non si definirebbe tale, come non era ceco Kafka -, ambientato a Parigi, diviso in sette parti, con titoli emblematici e teatrali, scritto in terza persona, con quella terza persona tipica di Kundera, dove lo scrittore è onnipresente. Gli eroi si presentano vede Alain percorrere le vie di Parigi e filosofeggiare sul ruolo erotico dell’ombelico, contrapponendolo alle altre parti che in passato sono state messe al centro della seduzione, per concludere che un’epoca che pone in primo piano l’ombelico si contraddistingue per uniformità, visto che il piccolo foro nel bel mezzo del corpo è identico per ogni donna. Il secondo personaggio presentato è Ramon che rinuncia alla mostra di Chagall e passeggia per i giardini del Lussemburgo osservando la cortese indifferenza dei passanti. Il terzo è D’Ardelo, prima preoccupato, pensava di avere un cancro, ma gli esami hanno fugato il dubbio, per il momento può dirsi in salvo. Nonostante tutto Ramon confida a D’Ardelo di essere malato, così il romanzo comincia con una menzogna, detta non si sa per quale motivo, che serve a infondere compassione per D’Ardelo, prima considerato narcisista. Abbiamo Charles che legge un libro di Nikita Chruscev, dove si racconta la storia delle 24 pernici uccise da Stalin, quindi definisce la differenza tra uomo brillante e uomo insignificante, infine ci presenta Caliban, attore di teatro, l’ultimo personaggio. Nella seconda parte comincia il Teatro delle marionette, il vero e proprio romanzo filosofico che vuol dimostrare il cambiamento del mondo partendo dalle 24 pernici uccise da Stalin in due momenti diversi, perché il suo fucile aveva solo 12 colpi. Secondo Kundera, il mondo ha cominciato a cambiare quando Stalin è stato deriso nel bagno dai suoi accoliti che hanno messo in dubbio la veridicità del racconto, senza capire che era uno scherzo, perché la capacità di scherzare era andata perduta. Il romanzo si trasforma nel sogno di una pièce teatrale sul tema, con protagonista Kalinin (che ha dato il nome alla città natale di Immanuel Kant, Kaliningrad), un uomo insignificante, malato di prostata, ma un uomo che soffre in silenzio (durante i lunghi discorsi di Stalin) per non bagnarsi le mutande. La terza parte vede Alain e Charles che pensano spesso alle loro madri e per il primo torna il leitmotiv dell’ombelico insieme all’ultimo ricordo materno, inserendo il tema del chiediscusa, l’uomo che si colpevolizza sempre, in ogni situazione. Tutti sono alla ricerca del buonumore definiscemeglio la figura dell’attore shakespeariano Caliban, assunto da Charles che organizza cocktail per i privati e diventato – per via di una mistificazione indifferente di una stessa posa – un attore senza pubblico. I personaggi di Kundera sono comici e ridicoli al tempo stesso, ma in questo capitolo su di loro scende un velo di tristezza e di nostalgia. Scopriamo che Alain non ha mai conosciuto la madre e che i ricordi che la riguardano sono menzogne decise da lui stesso nel corso di lunghe meditazioni. Alain parla con il ritratto della madre, fuggita dopo la sua nascita perché non voleva avere figli, ed è lui che decide le parole del dialogo. Tutto dovrebbe tornare, prima o poi, verso il buonumore, perché si sta aprendo il quinto quadro: Una piumetta ondeggia sotto il soffitto. Charles osserva l’ondeggiare di una piumetta sul soffitto e si lascia andare ai pensieri tristi sulla madre malata. Torna il tema portante della rivolta Stalin come metafora della fine del comunismo, vissuta come la fine di un sogno, la sola cosa importante è che Kaliningrad resti tale per sempre, lo stesso Kant ne sarebbe felice, perché quel nome esprime la tragedia di un uomo comune. La caduta degli angeli è il sesto spaccato della storia, che vede gli ultimi invitati andarsene dal cocktail proprio mentre la filosofia s’impadronisce del racconto. Kundera ci parla di Schopenhauer e del mondo come volontà e rappresentazione, ma lo fa con la leggerezza che lo contraddistingue, così come inserisce il tema kantiano della cosa in sé che secondo il filosofo tedesco starebbe dietro ogni nostra rappresentazione. Stalin ha imposto a tutti un’unica rappresentazione possibile della realtà per impedire il caos delle infinite scelte e delle volontà diffuse. Ma a un certo punto si è verificata la tanto attesa ribellione, Stalin non è stato più creduto da nessuno, la sua rappresentazione del mondo è diventata obsoleta. Ed è così che cadono gli angeli del comunismo. La festa dell’insignificanza è l’ultimo atto della pièce che dà il titolo al romanzo (ma abbiamo letto davvero un romanzo?) e tira le fila delle storie legate ai personaggi, con Alain che parla alla madre e Ramon che discetta sull’epoca degli ombelichi, moda passeggera che allontana dai veri luoghi erotici del corpo femminile, vista come un appello alle ripetizioni, all’uniformità. Si definisce la storia del cacciatore Stalin e del malato di prostata Kalinin con tutte le menzogne dette e non più credute. Il racconto si conclude con la comparsa dell’insignificanza sotto una luce rivelatrice, come essenza della vita. Respiriamo questa insignificanza che ci circonda, è la chiave della saggezza, è la chiave del buonumoreLa festa dell’insignificanza è il romanzo che celebra l’apoteosi della narrativa filosofica kunderiana, contiene tutti i temi della sua opera in 130 pagine scarse, la grande leggerezza che va di pari passo con l’impegno a scoprire i tanti perché dell’esistenza. Romanzo moderno nel senso kunderiano del termine, che segue la teoria del romanzo da lui stesso elaborata, di sicuro non romanzo ceco, ma europeo, al limite francese, di portata internazionale. La trama non è la cosa più importante, il plot serve per dire quel che l’autore ha in mente, il romanzo è tale perché erede del surrealismo e dell’esistenzialismo, confluito in un modo nuovo di narrare, senza troppa attenzione alla parte strutturale. Ionesco e Beckett stanno alla base del teatro dell’assurdo messo in scena da Kundera, sospeso in una dimensione onirica, tra il credibile e l’incredibile, tra il racconto metaforico e il ricordo del passato. La festa dell’insignificanza è edito da Adelphi, il miglior editore italiano, se ancora non l’avete letto provvedete a farlo, perché è il testamento letterario di Milan Kundera.

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