“I lunghi capelli della morte”, un horror gotico scritto da Ernesto Gastaldi

Articolo di Gordiano Lupi

I lunghi capelli della morte (1964) è un nuovo horror gotico scritto da Ernesto Gastaldi che si firma con il consueto pseudonimo di Julian Berry. Il film racconta una storia di streghe condita con molto erotismo morboso. Pare che l’horror italiano non possa fare a meno di atmosfere peccaminose che diventano una caratteristica preponderate della materia, al cinema, nei romanzi e nei fumetti neri. Margheriti riprende molte scene erotiche che hanno come protagonista un’indimenticabile Barbara Steele nei panni di una morbosa seduttrice. La pellicola non presenta veri personaggi positivi, come un buon film nero che si rispetti, perché ognuno ha uno scheletro nell’armadio.

Il film è ambientato nel XV secolo. La storia parte dalla condanna al rogo di Adele Karnstein, accusata di aver ucciso il fratello di un conte. La donna lancia una maledizione sui suoi persecutori, mentre la prima figlia Mary (Steele) viene uccisa dal conte Humbolt e Lizabeth (Zalewska) deve sposare Kurt, il figlio del conte (Ardisson), l’uomo che ha condannato sua madre. La maledizione di Adele produce effetti negativi immediati: la peste si abbatte sulla zona, il conte Humbolt muore terrorizzato dopo l’apparizione di una donna sconosciuta, che sembra Mary (sempre la Steele). Kurt si innamora della nuova venuta e decide di uccidere Lizabeth, ma il corpo della vittima scompare. Kurt scopre che Lizabeth è viva mentre Mary è un fantasma di Mary, tornato in vita proprio per vendicarsi. Il conte cade nella trappola mortale del fantasma e muore bruciato vivo all’interno di un fantoccio fatto di stracci.

Tra gli interpreti una morbosa Barbara Steele, nei panni del fantasma (per pochi istanti a seno nudo), Giorgio Ardisson (il conte Kurt), John Carey, Halina Zalewska, Umberto Raho e Laura Nucci.

Ernesto Gastaldi ci ha rilasciato alcune considerazioni sulla pellicola: “I lunghi capelli della morte è un titolo mio e il film omonimo l’ho scritto da solo. Non c’entra Tonino Valerii. Quel Bruno Valeri (Robert Bohr) che appare nei titoli è per me del tutto sconosciuto,  non so come ci sia entrato, ci sarà stata qualche ragione di coproduzione. Ho fatto ovviamente anche la sceneggiatura che poi Antonio Margheriti ha rimaneggiato in base alle sue possibilità ed esigenze produttive. Con Tonino Valerii ho scritto il copione  il cui film fu poi chiamato La cripta e l’incubo che diresse Camillo Mastrocinque, che però mentre lo scrivevamo portava il mio titolo originale, ossia I lunghi capelli della morte. La produzione cambiò il titolo e io lo riutilizzai per il film di Margheriti due mesi dopo.  La sceneggiatura del film che poi si chiamò La cripta e l’incubo (1964),  fu scritta da me e Tonino Valerii in una notte sulla terrazza di casa mia, con Mara Maryl, mia moglie, che ci portava caffè dopo caffè. Fummo costretti a quella sfacchinata perché avevamo mentito  alla Cinegay il giorno prima  dicendo che il copione era pronto mentre c’era solo un soggetto. Così ci avevano detto di portarlo l’indomani alle dieci di mattina in ufficio… È una notte diventata storica per me, Mara e Tonino: il sole si stava alzando e non avevamo ancora finito. I caffè avevano ceduto il posto ai superalcolici e Tonino cantava all’aurora: Sarà forse Rovena che le succhia la vena, sarà forse Cedricche, sarà forse Fredricche … ma il sospetto più atroce, è che si tratti di froce….! Sintetizzando nel canto la trama e la suspense della sceneggiatura.  Alle  dieci eravamo, sbarbati, in ufficio alla Cinegay col copione rilegato. Anche per questo film appare il misterioso e sconosciuto Bruno Valeri, alias Robert Bohr!  Ma questa volta c’è anche il nome di Tonino Valerii, il che dimostra che  sono due persone diverse, solo che il primo non l’ho mai visto… Non ci si badava a queste cose a quell’epoca. La gente di cinema sapeva chi aveva scritto cosa, al di là delle convenienze del produttore nel compilare i titoli di testa”. Abbiamo sgombrato il campo da tante illazioni e interpretazioni.

“È più un film storico che dell’orrore”, dice il regista, ma in realtà si tratta di un gotico inquietante girato in un suggestivo bianco e nero, claustrofobico al punto giusto. L’azione si svolge per gran parte in un castello surreale e decadente, dove si muovono personaggi totalmente negativi. “Margheriti fonde macabro, cimiteriale, gotico e morboso”, afferma Fabio Giovannini nel suo bel libro dedicato al regista. Ci riesce molto bene, contaminando generi e inserendo un personaggio doppio da fantasma vendicatore reso a dovere da Barbara Steele, che usa le armi della seduzione e concede visioni morbose del suo corpo.

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