La violenza psicologica sulle donne che arriva dalla rete

Articolo di Francesco Pira

Nei giorni scorsi sono stato invitato a tenere una relazione in un convegno organizzato presso il Liceo Martin Luther King di Favara. Questo evento è stato organizzato in collaborazione con il Centro Antiviolenza “Gloria”. Il tema scelto e affrontato con le studentesse e gli studenti è stato: “Violenza sulle donne, se i pericoli arrivano dalla rete: revenge porn, body shaming e sexting”. La Dirigente Scolastica, prof.ssa Mirella Vella, ha voluto fortemente questo incontro, dimostrando la sua grande sensibilità verso le emergenze educative della rete. Ha moderato, in modo impeccabile, la prof.ssa Serenella Randazzo. Sono intervenuti il Sindaco Antonio Palumbo e il Maggiore Marco La Rovere, Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Agrigento. Gli studenti hanno presentato i loro lavori e c’è stato l’intervento artistico di Giulio Lodato. Ormai da anni mi occupo della violenza contro le donne e cerco di far conoscere i loro diritti in un mondo che non è ancora capace di amarle abbastanza.

Ho avuto modo di spiegare, cosi come ho fatto in diverse occasioni, che l’avvento dei social network ha cambiato il nostro modo di rapportarci con gli altri. Infatti, sono ormai i luoghi prevalenti di costruzione identitaria, dove definire anche l’intimità, la sessualità e il genere. Questi aspetti sembrano prendere il sopravvento sull’identità sociale quasi annullandone funzione e obiettivi, in una sorta di ripiegamento sugli aspetti corporei, come se solo questi ultimi fossero in grado di definire l’io sociale e la rappresentazione che ne diamo a chi ci osserva. Questo processo conduce a quello che può definirsi “consumismo emozionale”. Siamo tutti impegnati nell’inarrestabile ricerca di quella rappresentazione che meglio si adatta alle nostre esigenze, ai nostri desideri e a quelli del nostro pubblico. Bauman sosteneva che stiamo entrando in un ambito di grande provvisorietà che si caratterizza per un uso delle relazioni piuttosto che di un processo di costruzione di relazioni.

Un vero e proprio consumo dei legami che vengono scartati quando non più corrispondenti a quello che vogliamo, con la conseguenza del concretizzarsi di comunità guardaroba. Sì, perché ci stiamo abituando a trattare le persone come oggetti e quando ci stanchiamo le sostituiamo senza alcun problema. Oltretutto, i rapporti tra gli individui subiscono fenomeni di estremizzazione ed è il caso del “Teen dating violence” Una situazione che mostra almeno tre volti: fisico, psicologico e sessuale. Il primo si ha nei casi in cui il partner subisce aggressioni corporee (calci, schiaffi, strattoni). Il secondo riguarda la violenza psicologica che avviene invece nei casi in cui il partner è minacciato o la sua autostima è danneggiata. Il terzo volto, quello della natura sessuale, emerge quando si cerca di avere rapporti senza consenso. C’è poi una scia di comportamenti a fare da pulviscolo a questa situazione, tra messaggi inviati continuamente e condivisioni online di immagini riservate. Queste situazioni non sono normali.

Il revenge porn riguarda la diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate da parte di chi queste immagini le ha realizzate e da parte di chi le riceve e contribuisce alla loro ulteriore diffusione al fine di creare nocumento alle persone rappresentate. Il sexiting è legato al revenge porn poiché, dall’invio consenziente di immagini intime attraverso dispositivi mobili o pc, si passa all’invio non consenziente come “vendetta” o atto di bullismo. I dati raccolti da un sondaggio nel giugno 2020, la cui fonte è l’Associazione “Onde Rosa”, offre una fotografia della nostra società molto preoccupante. Il 50% dichiara di aver iniziato a praticare sexting tra i 15 anni e i 18. Il 76% del campione totale ha fatto sexting già prima della quarantena. Il 73% lo pratica con partner stabile (relazione di almeno 3 mesi). Il 23% circa con partner non stabili, di cui un 4% con sconosciuti e questo dato aumenta (13%) per la fascia 15-18. Il 30% ha dubbi sul fatto di essere stata potenzialmente vittima di revenge porn.

Questi fenomeni coinvolgono maggiormente le donne e possono sfociare in eventi drammatici. Quasi quotidianamente i media ci riportano casi di donne che prima sono state molestate e poi uccise. Il dato che deve farci riflettere riguarda il carnefice che molto spesso è una persona che appartiene al nucleo famigliare e di cui le vittime si fidano ciecamente. In questo quadro proliferano le applicazioni che pubblicizzano il fatto di garantire sicurezza e privacy nel praticare sexiting. Solo per citarne alcune: Nude, Snapchat, Rumiki, Confide In tutto questo non mancano gli Haters ossia gli odiatori seriali. La crescita degli Haters è la rappresentazione più evidente di una assuefazione alla violenza. Secondo una ricerca condotta da Università la Sapienza e Vox Osservatorio sui diritti dimostra che il 63% delle vittime sono donne. Il dato più allarmante riguarda le donne vittime di abusi fisici o sessuali che si attesta sui 6.743.000. Gravissime sono le parole dell’intolleranza nei confronti delle donne ed esprimono una forte mancanza di rispetto.

Non dimentichiamo il Body shaming, dal momento che nell’era della vetrinizzazione il modo di presentarsi, l’essere grassi o magri, alti o bassi, il modo di vestire, di truccarsi, scatenano il linguaggio d’odio e forme di discriminazione. I modelli di consumo trasmessi in questa nuova logica di “influencer system” influenzano i comportamenti dei ragazzi, e in particolare delle ragazze, che si trovano schiacciate tra due dimensioni: tra quella di una indipendenza e autodeterminazione formale e dinamiche ancora fortemente maschiliste e misogene. Così come sostiene Shariff S: “La cultura di massa e la cultura dello stupro inviano messaggi contrastanti[…]. Da un lato le ragazze vedono esempi di adulti e di potenti celebrità che pubblicizzano la propria sessualità, dall’altro vengono umiliate e additate come “sgualdrine” se osano postare immagini intime di se stesse o se infrangono i taciti confini di ciò che è accettabile in certi gruppi di coetanei. Lo slut-shaming è anche sintomo di una “cultura dello stupro” misogina, in cui la società adulta perpetua e sostiene esempi di comportamento maschile che spingono gli adolescenti e i giovani maschi adulti a dar prova della propria virilità”.

Tutto questo non è accettabile nel 2022, ma semmai: “La sfida è scoprire un nuovo equilibrio tra generi, nuove posizioni in cui essi possano stipulare un patto reciproco e , se necessario, nuove strutture sociali in cui possano esprimersi ed essere felici i nuovi uomini e le nuove donne” (Re S.). Ecco, bisogna avere il coraggio di dar vita a nuovi processi culturali che coinvolgano tutta la società. Tanti sono gli stereotipi da abbattere e cancellare per sempre. Solo la cultura, la formazione e l’informazione possono fornire nuovi strumenti di interpretazione, supportando quanti ancora vivono all’interno di inutili schemi e convenzioni. Tutti dobbiamo urlare il nostro “no” alla violenza sulle donne e se questo “no” verrà urlato dagli uomini assumerà un valore ancora più rilevante e ricco di contenuto.

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