Martiri ambientali

Articolo di C. Alessandro Mauceri

Ogni settimana, nel mondo, vengono uccise tre persone per aver cercato di  proteggere la loro terra, l’ambiente dallo sfruttamento eccessivo. A diffondere questi dati impressionanti è Global Witness che, dal 2012, raccoglie dati sugli assassinii di difensori della terra e dell’ambiente.

Il bilancio appena pubblicato delle morti dell’ultimo decennio, lascia sbigottiti. In totale sono almeno 1.733 le persone che sono state uccise negli ultimi dieci anni. Quasi 200 ogni anno. Emerge “un quadro cupo, con prove che suggeriscono che con l’intensificarsi della crisi climatica, la violenza contro coloro che proteggono la loro terra e il nostro pianeta resta persistente”. Nomi che raramente finiscono sui notiziari internazionali. Persone come Marcelo Chaves Ferreira o Sidinei Floriano Da Silva o José Santos López o Jair Adán Roldán Morales o Efrén España.  O Kibanja Bashekere o Regilson Choc Cac o Orsa Bhima o Angelo Rivas. Tutti accomunati dall’essere stati uccisi per aver cercato di tutelare la salute del pianeta. Quella che, sulla carta, tutti condividiamo, ma per la quale raramente facciamo qualcosa di concreto.

Nonostante la Terra sia sull’orlo del collasso ambientale, parlare di emergenza climatica sarebbe maledettamente riduttivo. Secondo alcuni ad essere a rischio è il futuro stesso della nostra specie. Le persone assassinate nell’ultimo decennio erano in prima linea per fermare questa corsa all’estinzione. Fino al punto da mettere a rischio la propria vita per difendere certi siti. Non in televisione o sui media per lanciare sdolcinati appelli. Ma sul campo. Queste persone sono state uccise per essersi messi tra l’indifferenza generale (a cominciare da quella dei governi e delle autorità sovranazionali che promettono ma poi si piegano alle multinazionali) e chi non ha nessun limite morale o legale di fronte al profitto.

Spesso a questi “eroi” non viene concesso neanche un riconoscimento postumo: le indagini su questi omicidi raramente portano ai mandanti. E i veri colpevoli quasi sempre non vengono nemmeno processati. “Pochi autori di omicidi vengono assicurati alla giustizia a causa dell’incapacità dei governi di indagare adeguatamente su questi crimini. Molte autorità ignorano o ostacolano attivamente le indagini su questi omicidi, spesso a causa di presunte collusioni tra interessi aziendali e statali”.

“In tutto il mondo, i popoli indigeni, gli attivisti ambientali e altri difensori del territorio e dell’ambiente rischiano la vita per la lotta ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità. Svolgono un ruolo cruciale come prima linea di difesa contro il collasso ecologico, ma sono essi stessi sotto attacco di fronte alla violenza, alla criminalizzazione e alle molestie perpetuate da governi e aziende repressivi che danno la priorità al profitto rispetto al danno umano e ambientale. Con le democrazie sempre più sotto attacco a livello globale e il peggioramento delle crisi climatiche e della biodiversità, questo rapporto evidenzia il ruolo fondamentale dei difensori nella risoluzione di questi problemi e fa un appello urgente agli sforzi globali per proteggerli e ridurre gli attacchi contro di essi”, ha dichiarato il portavoce di Global Witness.

I dati riportati nel rapporto di Global Witness dimostrano che i dati sugli omicidi non bastano a far comprendere la reale portata del fenomeno. “In alcuni Paesi, la situazione dei difensori dell’ambiente è difficile da valutare: le restrizioni alla libertà di stampa e la mancanza di un monitoraggio indipendente in molti Paesi portano spesso a una sottostima. Anche le controversie sulla terra e i danni ambientali possono essere difficili da monitorare in parti del mondo interessate da conflitti” dicono i rappresentanti di Global Witness.

La prova? Nell’ultimo decennio oltre la metà degli attacchi mortali contro ambientalisti e difensori della Terra si sono verificati in Colombia e Filippine, ma soprattutto in Brasile, il paese che in questi giorni è chiamato alle urne per eleggere il nuovo presidente. Nella speranza, forse, che questo basti a fermare la continua distruzione della foresta Amazzonica, tollerata – se non ammessa – dal presidente uscente. Le persone, gli “ambientalisti” (sembra quasi che oggi questo termine abbia un tono quasi negativo, nella prassi comune), quanti hanno lottato e hanno dedicato e a volte perso la propria vita per salvare la foresta Amazzonica non lo hanno fatto solo per per il proprio paese o per una regione: hanno garantito a tutto il pianeta di continuare a respirare. Hanno lottato fino alla morte per evitare che venisse distrutto ciò che è indispensabile per tutti. Eppure nessuno parla di loro. Nessuno li ha citati sui media. Nessuno ha dedicato loro premi e copertine. E pochi li hanno nominati anche dopo che avevano dimostrato con la propria vita (se no perché ucciderli?) che avevano ragione. Di loro non si è parlato  nemmeno dopo aver letto i numeri del rapporto di Global Witness. Quando è apparso chiaro che questi omicidi non sono casi isolati: sono migliaia. Uno ogni due o tre giorni.

FOTO: legambiente.it

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