Maria Sofia di Baviera: regina di Napoli cantata dal poeta Ferdinando Russo

Articolo di Armando Giardinetto

“Te purtava ‘e ferite all’ ambulanza, steva sempe presente a capo ‘e liette… E tutte, chi ‘a chiammava e chi mureva, ‘a stevano ‘a guardà cu ll’ uocchie ‘e freva. Murì p’ Essa! Era ‘o suonno ‘e tuttuquante! Desiderà nu vaso nfronte ‘a chella, segnifecava: “Mettimmoce nnante pe fa na morte ca se chiamma bella! Npietto, p’ avè n’aucchiata a sta Rignante,te facive arapì na furnacella” così recita la poesia intitolata ‘O surdato ‘e Gaeta scritta dal poeta napoletano Ferdinando Russo (1866 – 1927) in cui si descrive il temperamento e la benevolenza materna di Maria Sofia di Baviera, amata grandemente dai soldato del Regno delle Due Sicilie desiderosi di morire per la giusta causa, ma possibilmente nelle sue braccia.

Vera icona di resistenza, innamorata profondamente di Napoli, dei napoletani e di tutto il Sud Italia, Marie Sophie Amalie von Wittelsbach, Herzogin in Bayern, nota semplicemente come Maria Sofia di Baviera, fu ultima regina del Regno della Due Sicilie. Gabriele D’annunzio, che era solito definirla “Aquiletta bavara che rampogna”, la disprezzava perché ostacolava i processi che avrebbero portato all’Unità del Paese, ma allo stesso tempo la ammirava moltissimo per il suo coraggio e la sua determinazione. Maria Sofia era sorella della più conosciuta principessa Sissi e sposò, quattro mesi prima di diventare regina consorte del suddetto Regno, a 17 anni, quello che è passato alla storia col nomignolo di Franceschiello, il re malinconico e introverso, nemmeno poi tanto bello, Francesco II di Borbone, a sua volta figlio del più noto Re Bomba.

All’epoca delle nozze reali per procura Maria Sofia era ancora una bambina nel vero senso della parola, infatti i medici le praticavano salassi con sanguisughe dal momento che l’allora duchessa non aveva ancora avuto neppure il primo ciclo mestruale. Fatto sta che Maria Sofia, così come sua sorella Elisabetta di Baviera, appariva di una bellezza sublime: alta, slanciata, con due occhi penetranti di colore azzurro, capelli lunghi setosi e castani. Si muoveva molto graziosamente sfoggiando i suoi abiti voluminosi di velluto, broccato e pizzo, ostentando i gioielli della Corona napoletana con estrema fierezza. Alcune fonti raccontano di quanto fosse meravigliosa nel giorno del suo matrimonio mentre indossava uno splendido abito da sposa di colore rosso con sopra dei gigli in oro. Inoltre amava la caccia alla volpe; adorava nuotare e tirare di scherma; apprezzava danzare, praticava volentieri lo sport e andava pazza per i ricevimenti di corte. D’altra parte fumava moltissimo e addirittura in pubblico andando contro le basilari regole da rispettare per una donna. Amava tuffarsi nel porto di Napoli e si faceva fotografare spesso. Fu anche animalista convinta, preferiva particolarmente i cani, i cavalli, i canarini e i pappagalli che faceva entrare in camera da pranzo, mandando su tutte le furie la suocera, la regina Maria Cristina di Savoia, con la quale non ebbe mai ottimi rapporti perché lei, la regina madre, non era per niente favorevole a ogni forma di liberalismo. Chi l’ha conosciuta di persona sapeva bene che Maria Sofia parlava il napoletano con un simpatico accento tedesco e conosceva discretamente anche il francese.

D’altro canto, così come fu per la sorella Sissi, la regina ebbe molta influenza sulle scelte politiche del Regno e, per capire fino in fondo il carattere di questa donna che ha saputo influenzare eventi

politici del tempo, dobbiamo immergerci nel contesto storico. Stiamo all’alba dell’Unità d’Italia, le truppe dei Savoia stanno facendo guadagnare terreno ai Borbone, intanto Garibaldi e i suoi mille raggiungono Napoli, mentre la sera del 6 settembre 1860 Francesco II, la regina e altri cortigiani partono per Gaeta – utilissima fortezza del Regno – dove, circa due mesi dopo, il 5 di novembre, comincia quello che è passato alla storia come l’assedio di Gaeta in seno al Risorgimento italiano. Qui le milizie borboniche vennero incoraggiate proprio da Maria Sofia a sferrare un ultimo colpo mortale ai piemontesi. Tuttavia la regina non si limitava a semplici parole di incoraggiamento, anzi vestiva panni da uomo e si recava negli ospedali di guerra per visitare i soldati feriti e quelli in fin di vita. Addirittura capitava che si armasse di pistola per dare fuoco contro l’artiglieria piemontese. Sparava benissimo, aveva una mira da fare invidia al soldato più bravo. Niente di più diverso da come veniva chiamata fin da piccola dai familiari più stretti: Spatz, ossia passerotto. I soldati dell’esercito nemico, dal canto loro, erano meravigliati, sbalorditi e affascinanti dall’agire di questa donna, che guardavano da lontano attraverso i binocoli contemplando una Giovanna d’Arco d’altri tempi. Comunque la regina, amorevolmente, fedelmente, caritatevolmente e coraggiosamente volle restare al fianco del marito, lì nella roccaforte di Gaeta, anche nell’ora peggiore, nonostante quest’ultimo le consigliasse di ritirarsi nella magnifica reggia di Caserta, dove avevano vissuto e in cui, in tempi di pace, furono dati grandi ricevimenti, feste, balli e maestosi spettacoli di gala.

Il re Franceschiello, impotente di fronte alla decisione presa dalla moglie, la reputava una suora caritatevole: “Ella vuol… dirigere negli ospedali la cura dei feriti… da questa sera Gaeta conta una suora di carità in più”, ma Maria Sofia faceva questo puramente per amore del suo popolo e del marito, al quale era fedele nonostante il fatto che, dopo anni di matrimonio, non c’era stato nessun rapporto sessuale a causa di una fimosi mai operata di lui. Infatti il re, durante la prima notte di nozze, si inginocchiò a pregare, si alzò, si mise a letto e si addormentò, lasciando la povera Sofia attonita e inesperta in attesa di chissà che cosa. Come ci racconta la storia, il 14 febbraio 1861 le truppe piemontesi entrarono vittoriose nella fortezza di Gaeta, di conseguenza alle due teste coronate non restò che andare in esilio nello Stato Pontificio – anch’esso in forte crisi territoriale – qui il re e la regina vennero accolti al Quirinale e poi al Palazzo Farnese.

Qualche tempo dopo, proprio nello Stato del Papa, Maria Sofia – ancora vergine a tre anni e più dalle nozze – si innamorò di un ufficiale pontificio e da questa relazione extraconiugale rimase incinta di due belle gemelline che, però, vennero alla luce in tutta segretezza nella terra natale di Sua Maestà, in Baviera, senza che Franceschiello si fosse mai accorto di nulla fino a quando, un anno dopo il parto, la regina non gli raccontò tutta la verità non prima che le bambine furono date in affidamento. Il re, allora, si fece operare per guarire dalla fimosi di cui soffriva dalla nascita e riuscì finalmente a consumare il matrimonio a ben dieci anni dalle nozze. Da questa unione nacque più tardi una bambina al quale fu dato il nome di Maria Cristina Pia, venne battezzata e affidata alla sua madrina, sua zia la principessa Sissi. Tuttavia la piccola ebbe vita breve, morì infatti dopo solo 3 mesi di vita. Dopo la Breccia di Porta Pia, la regina Maria Sofia girò in lungo e in largo: prima a Monaco, poi a Parigi dove visse ancora tra gli pseudo sfarzi borbonici. Infine la morte raggiungerà la ottantatreenne Maria Sofia a Monaco, nel 1925, dopo 66 anni dalla salita al trono dell’ormai caduto Regno delle Due Sicilie. Fu portata nella sua amata Napoli dove dorme il sonno eterno, tra i suoi amati napoletani, nel monastero di Santa Chiara. Nella sua sepoltura si trovano due ampolle che contengono, una, un po’ di acqua di mare di Napoli e, l’altra, un po’ di terriccio della stessa città, come segno di profondo amore della regina per la capitale di quel meraviglioso Regno.

In un’intervista fattale nel 1923, a più di 80 anni, alla domanda perché il Regno delle Due Sicilie cadde, così rispose: “Quasi tutto il popolo delle Due Sicilie era fedele al suo Re legittimo, ma il conte di Cavour riuscì a corrompere alcuni generali del nostro esercito… lasciando la via aperta a Garibaldi… Quella che gli storici italiani chiamano guerra del brigantaggio, fu la generosa rivolta degli umili contro il regime piemontese. Se il mio sposo… si fosse messo a capo degli insorti… saremmo rientrati vittoriosi nella Reggia di Napoli”.

La cosa straordinaria è una sua frase che ad oggi suona come profezia della fine della monarchia in Italia: “Ai re non rimane ormai che il prestigio del fasto ed, se fanno la vita di piccoli borghesi come il Re d’Italia, è naturale che a qualche piccolo borghese, loro suddito, venga l’idea di prenderne il posto”. Il riferimento è chiaro: Emanuele III come re e Mussolini come piccolo borghese, mentre il resto è risaputa storia del Bel Paese. Maria Sofia di Baviera, quindi, fu un’eroina del suo tempo con un grande spirito di resistenza tanto che perfino Marcel Proust – scrittore, saggista e critico letterario francese – ebbe una tale ammirazione per lei da soprannominarla “Regina soldato sui bastioni di Gaeta” e “Regina degli anarchici”.

Il 9 maggio 1946 il re Vittorio Emanuele III di Savoia abdicò in favore del figlio Umberto II che regnò solo pochi giorni tanto che venne soprannominato il “Re di maggio”. Il suo trono cadde il 18 giugno dello stesso anno quando, con il referendum istituzionale, nacque la Repubblica italiana con a capo Enrico De Nicola, napoletano di nascita. La eco delle mirabili gesta della regina Maria Sofia di Baviera e della stima che i soldati borbonici le riservarono sempre riecheggeranno a perpetua memoria nella poesia, di cui all’inizio, del poeta napoletano, nonché autore di canzoni partenopee, Ferdinando Russo: “E ‘a Riggina! Signò! Quant’era bella! E che core teneva! E che maniere! Mo na bona parola ‘a sentinella, mo na strignuta ‘e mana a l’artigliere…. Steva sempe cu nui! Muntava nsella currenno e ncuraggianno, juorne e sere, mo ccà, mo llà…. V’ ‘o ggiuro nnanz’ ‘e sante! Nn’ èramo nnammurate tuttuquante! Cu chillo cappellino ‘a cacciatora, vui qua’ Riggina! Chella era na Fata! E t’ era buonaùrio e t’ era sora, quanno cchiù scassiava ‘a cannunata! Era capace ‘e se fermà pe n’ ora, e dispenzava buglie ‘e ciucculata. Ire ferito? E t’ asciuttava ‘a faccia. Cadive muorto? Te teneva mbraccia”.

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