La sterilizzazione forzata in Giappone, una vergogna senza fine

Articolo di C. Alessandro Mauceri

Nei giorni scorsi è stato reso pubblico il rapporto commissionato dal governo giapponese riguardante gli effetti della legge sull’eugenetica, in vigore nel paese dal 1946 al 1996. Una legge che prevedeva, tra l’altro, la sterilizzazione di massa di persone con disabilità fisiche o cognitive o malattie mentali per evitare che procreassero figli “inferiori”. Rimasta in vigore per ben 48 anni, sarebbe stata applicata su almeno circa 25.000 persone, delle quali almeno 16.000 senza consenso (tra loro due minori di nove anni). Ad alcune persone veniva detto che si trattava di procedure di routine (come le operazioni di appendice). Ma l’operazione che subivano era diversa.

In Giappone, dopo l’abolizione della Legge sulla Protezione Eugenetica della Razza nel 1938, nel 1940, il governo Konoe promulgò la Legge Eugenetica Nazionale che prevedeva la sterilizzazione obbligatoria ma limitatamente alle “malattie mentali ereditarie”. Pochi anni dopo, il partito socialista propose la Legge di Protezione Eugenetica (venne approvata nel 1948). Questa legge consentiva di eseguire operazioni eugenetiche volontarie e involontarie (sterilizzazioni) di persone affette da malattie ereditarie, malattie mentali non ereditarie e disabilità intellettiva (articolo 12). Consentiva anche l’aborto per le gravidanze nei casi di stupro, lebbra, malattie trasmesse ereditariamente, o se il medico stabiliva che il feto non sarebbe stato vitale al di fuori dell’utero.

Questa legge rimase in vigore per quasi mezzo secolo! Venne abolita solo nel 1996. CI vollero alcuni decenni perché, nel 2019, il Parlamento approvasse una legge che prevedeva un risarcimento governativo di 3,2 milioni di yen (22.800 dollari) per le vittime. Un importo che, secondo gli attivisti, non riflette la sofferenza delle vittime. Il termine per la presentazione delle domande per il pagamento scadrà nell’aprile 2024 . Ma secondo il MHLW ad aprile 2021, erano solo 1.049 le domande presente.

Intanto, lo scorso anno, il Comitato sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite ha chiesto chiarimenti al Giappone sull’attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Jonas Ruskus, membro del comitato, ha accolto con favore la concessione di un risarcimento alle persone che hanno ricevuto interventi chirurgici eugenetici ma si è detto seriamente preoccupato per l’istituzionalizzazione di queste pratiche su persone con disabilità. Per questo, ha chiesto formalmente se il governo avesse preso provvedimenti far fronte all’uso di politiche eugenetiche all’interno delle istituzioni. Ruskus ha anche espresso preoccupazione circa l’istruzione per bambini con disabilità: alcune leggi nazionali avrebbe promosso un’educazione “speciale” per bambini con disabilità, sottoponendoli a una valutazione medica, con conseguente negazione dell’istruzione inclusiva (un esperto del comitato aveva chiesto dettagli sulle politiche o strategie per promuovere l’accessibilità nelle scuole regolari e l’istruzione inclusiva). Le autorità giapponesi hanno ribadito che nel 1996 la legge sulla protezione eugenetica è stata modificata e le disposizioni riguardanti gli interventi chirurgici eugenetici abolite. Per quanto riguarda l’istruzione, la delegazione giapponese ha affermato che i bambini con disabilità hanno la possibilità di scegliere se frequentare scuole normali o scuole speciali. Miyeon Kim, membro della commissione delle NU, ha sottolineato che restano irrisolte questioni importanti, come l’assenza di un atto correttivo procedurale e la mancanza di motivi giuridici per una soluzione ragionevole in vari aspetti della vita, tra le altre questioni.

Parlando del rapporto del governo giapponese, Koji Niisato, uno degli avvocati che hanno rappresentato i querelanti che chiedevano danni al governo, ha usato parole dure: “Il rapporto non ha rivelato perché la legge è stata creata, perché ci sono voluti 48 anni per modificarla o perché le vittime non sono state risarcite”. Quando era primo ministro, Shinzo Abe presentò scuse pubbliche alle vittime della legge sull’eugenetica. “Durante il periodo in cui la legge era in vigore, molte persone sono state sottoposte a operazioni che li hanno resi incapaci di avere figli in base alla loro disabilità o ad un’altra malattia cronica, causando loro grandi sofferenze”, furono le sue parole. “Come governo che ha attuato questa legge, dopo una profonda riflessione, vorrei scusarmi dal profondo del mio cuore”.

Il problema dell’eugenetica era e rimane una piaga aperta. In passato il Giappone non è stato l’unico paese ad adottare politiche di sterilizzazione di massa. Alcuni documenti scoperti nel 1997, dimostrerebbero che, tra il 1935 e il 1976, anche la Svezia aveva adottato politiche simili su ben 60.000 donne, molte con disabilità fisiche o mentali, altre perché ritenute “tipi razziali inferiori”.

Tra i paesi che hanno adottato una legislazione eugenetica c’erano anche gli Stati Uniti d’America. Nel 1907, l’Indiana autorizzò la sterilizzazione di alcuni tipi di malati e di criminali. Nel 1909, altri stati fecero lo stesso: California, Connecticut e Washington. Nel 1917, erano 15 gli Stati che avevano varato norme di questo genere. Il loro numero continuò a crescere: nel 1950 erano ben 33.

Lo stesso avvenne nel Regno Unito: perfino Winston Churchill difese le politiche eugenetiche. Nel 1907, venne fondata la “Società per l’educazione eugenetica” (che esiste ancor oggi come Istituto Galton). Dal 1911 fino al 1928 a ricoprire il ruolo di presidente di questo ente fu Leonard Darwin, figlio di Charles Darwin. Tra le attività della società, la pubblicazione di una rivista dal titolo esaustivo  “Eugenics review” e l’istituzione di “asili d’internamento” per “dementi” al fine d’impedire loro di procreare. Agli inizi del secolo scorso, in Francia nacque la “Société française d’eugénisme”. Programmi di sterilizzazione delle persone con disabilità mentali vennero adottati anche in Australia, in Norvegia, in Finlandia, in Danimarca, in Estonia, in Islanda e in Svizzera. Anche Singapore praticò una forma limitata di eugenetica che comprendeva la promozione del matrimonio tra laureati nella speranza di generare figli migliori.

In Cina, ancora alla fine del XX secolo, esistevano norme “per la tutela della madre e del bambino” finalizzate a “migliorare la qualità della popolazione”. Dal 1995 impone un esame prematrimoniale e prevede che i portatori di una malattia infettiva, disturbo mentale o malattia genetica vengano dissuasi dal procreare o perfino essere sottoposti a sterilizzazione o impegnarsi in una politica di contraccezione a lungo termine o, in caso di gravidanza, ad abortire. Queste politiche sono state giustificate con la necessità di avere “risorse umane di qualità” per modernizzare il paese e contrastare tendenze che prefiguravano una “minore qualità della popolazione”. Nel 2013, la Cina avrebbe lanciato un vasto programma di sequenziamento del DNA con l’intento di ottenere una plusdotazione. Il programma, condotto dall’ “Istituto genomico di Pechino”, il più vasto centro di sequenziamento del DNA al mondo, prevede di “sequenziare” duemila e duecento individui con un quoziente d’intelligenza (QI) di almeno 160 al fine di identificare le varianti genetiche che favoriscono l’intelligenza confrontando il genoma di individui più intelligenti con quello di individui con un QI basso. Obiettivo: selezionare gli embrioni con un miglior patrimonio eugenetico.

Quanto venuto a galla con la pubblicazione, nei giorni scorsi, del rapporto del governo giapponese sulle politiche di eugenetica condotte fino agli anni Novanta, potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. Secondo alcuni esperti, tra i quali Troy Duster dell’Università della California – Berkeley, le politiche eugenetiche non sarebbero mai scomparse del tutto: la genetica contemporanea è solo la “porta posteriore” dell’eugenetica. La conoscenza della completa sequenza del genoma, da un alto, e, dall’altro, lo sviluppo delle biotecnologie potrebbero comportare il pericolo di selezionare caratteri genetici dei nascituri in un futuro tutt’altro che lontano.

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