“Versi animali”, un libro di Chiara De Luca

Articolo di Gordiano Lupi

Chiara De Luca scrive poesia, non solo, la traduce anche da francese, inglese, portoghese, tedesco e spagnolo. Scusate se è poco. Ha fondato una casa editrice di poesia italiana e straniera 15 anni fa: Kolibris (www.edizionikolibris.net), quindi è una sognatrice, ché con la poesia non si fanno affari, si ricerca solo bellezza. Ha pubblicato molto, tra romanzi e raccolte di liriche, antologie e traduzioni. Versi animali è una raccolta poetica corposa, ben 160 pagine, suddivisa in cinque momenti: Ignorerò l’odore del fango, Corale, Percorsi in versi, Incontri, Casa, con il chiaro scopo di ridimensionare la presenza umana in favore degli animali che fanno parte del nostro mondo. Chiara De Luca comincia con dedicare la prima parte al poeta palestinese Ashraf Fayad (mai dedica è stata più simbolica visto il periodo storico), imprigionato in Arabia Saudita come fomentatore di ateismo e idee blasfeme, inserendo il titolo di una poesia di Mahmud Darwish (È stufa la terra) all’interno della lirica iniziale. Non solo, tornano come un mantra i versi di Ashraf Fayad che vorrebbe cercare di dimenticare gli orrori già accaduti, l’odore del fango e il bisogno d’ammonire la pioggia e il fuoco che imperversa nel suo petto in fiamme. La poetessa prosegue – nella sezione Corale – con il ricordo della strage dell’Airbus A320-200, inserendo una Ballata per Diesel, una malinois di sette anni addestrata per collaborare con la polizia francese, ferita a morte dai terroristi durante un’incursione per catturare Abdel-Hamid Abu Oud, a Parigi. Nelle poesie di Chiara De Luca ricorre spesso un piccolo animale in funzione alternativa a un essere umano, in altri casi si tratta di un aiuto collaborativo, situazioni in cui la funzione animale (vittime o eroi che siano) non è quella di consolare, ma di far capire che un mondo migliore (non umano) è possibile. La poetessa non dimentica la città natale – Ferrara – che frequenta da sempre e percorre in ogni luogo recondito, narrando in una poesia racconto di pavesiana memoria la vicenda di Galeazzo Bertolucci che uccide la moglie e il figlio mentre dormono, dà fuoco alla casa, quindi si spara alla testa. Piccole storie ferraresi nelle quali incontriamo ciotole d’acqua e ciuffi di pelo come testimonianza di una civiltà animale. Chiara De Luca canta l’uomo ma anche l’animale, descrive gesti ed emozioni che si fanno intensi soprattutto in Ode a Eva, un incedere di quartine e terzine dedicate alla compagnia di una cagnolina che vive in simbiosi con la padrona. Pioggia e Nebbia non scoraggiano le passeggiate con Eva nelle campagne, confine tra Ferrara e l’altrove, nello sconfinato orizzonte d’un tartufo, neppure la bianca neve, coltre imbiancata di sogno, ferma il desiderio di uscire accanto al suo animale, immersi nell’incanto così caro a Pupi Avati che ama i luoghi padani. Notevole tutta la parte descrittiva delle liriche, dotate di grande musicalità solo per la felice scelta lessicale, in un verso libero che riproduce assonanze e rime volute e non volute, immerse nella memoria del presente, di una vita passata accanto a un fedele compagno animale. Il paesaggio padano, fatto di nebbiose giornate glaciali, lungo i sentieri del Po, tra le canne, dietro le piste degli uccelli, è vissuto attraverso lo sguardo di Eva, compagna fedele di giorni sempre uguali, resi speciali dalla sua presenza. Molto riuscita la sezione finale – Casa – con il ricordo dolente e nostalgico della casa dell’infanzia, la sola che mai avrei creduto di lasciare, dove la poetessa ha appreso la passione per le lingue e per la lettura, che contiene momenti di ricerca del tempo perduto dispensati come piccole perle in un florilegio poetico che abbonda di bellezza. Concludo l’analisi del testo con un breve spaccato lirico che funge da (azzeccata) quarta di copertina e consiglio la lettura del volume per intero.

Siamo l’uno la casa dell’altro
e insieme la nostra: l’abbraccio
attorno a un mondo che colma

di sangue il verde dei nostri confini.
Siamo l’uno l’infanzia dell’altro
macchia sull’oltre lo sguardo;
terra incolta fino all’incontro
spazio evacuato battuto dal vento;
siamo di braccia che ci tengono forte
il mondo e il confine e l’oltre dell’altro
il giorno risorto che albeggia lo sguardo.

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