2024: il miraggio della Pace e il dramma del genocidio di bambini. Il sociologo Pira: “i più piccoli vittime dell’egoismo e della cattiveria”

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 1° gennaio 2024 si celebra la LVII Giornata mondiale della Pace, istituita nel 1968 da papa Paolo VI. Come ogni anno anche questa volta papa Francesco ha emanato un messaggio un messaggio di pace dal titolo «Intelligenza artificiale e la pace». Una lettera – https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/12/14/0884/01927.html – con la quale invita «tutto il popolo di Dio, le nazioni, i Capi di Stato e di Governo, i Rappresentanti delle diverse religioni e della società civile, tutti gli uomini e le donne del nostro tempo» a vivere, a sforzarsi di vivere il progresso della scienza e della tecnologia come via verso la pace. Il 2024 si ricorda anche il 300º anniversario della nascita del filosofo tedesco Immanuel Kant, una delle figure più importanti dell’intera storia del pensiero filosofico, autore di un trattato di pace, dal titolo Per la pace perpetua (Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf), scritto nel 1795, un trattato che dovrebbe impedire il verificarsi di qualsiasi conflitto.

Oggi, in questo momento, invece, secondo gli ultimi dati diffusi dall’UNICEF, sono oltre 449 milioni i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che vivono in una zona di conflitto. Che vivono, soffrono e muoiono in e a causa un conflitto. Una situazione geo-politica destinata a peggiorare se il protrarsi dei conflitti, delle ostilità in Ucraina, nei territori palestinesi occupati, in Israele, nello Yemen, in Siria, nella Repubblica Democratica del Gongo, ecc. Come educare alla pace, alla «via verso la pace» milioni di bambini, bambine, ragazzi e ragazzi? Come educare alla pace i 43 milioni di bambini e bambine sotto i diciotto anni in fuga da guerre, atrocità, violenze, emergenze, disastri climatici. Un numero, che solo nell’ultimo decennio, è raddoppiato.

Con il professore Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Direttore del Master in Esperto della Comunicazione Digitale dell’Università di Messina, saggista e giornalista, vogliamo parlare, confrontarci, analizzare questo difficile momento storico segnato da paura, paure, incertezze, squilibri, e morte.

D: Come possiamo raccontare, con la «leggerezza» degna di Italo Calvino, la complessità di questo difficile momento storico ai nostri figli, ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole e università che vivono la grazia, il dono della pace e non la violenza e gli orrori della guerra, di poter frequentare la scuola, le lezioni, di poter condurre una vita normale sotto il sole e non nascosti in bunker antiatomici?

R.: Non è molto semplice farlo. Anche se molti di loro colgono la difficoltà del momento. Chi affronta percorsi come lo scoutismo o l’impegno in associazioni, movimenti, riesce a cogliere che quanto sta accadendo nel mondo è terribile. I media si concentrano sulle guerre più vicine a noi: Ucraina e Striscia di Gaza. Ma pensiamo a cosa accade in tante altre parti del mondo. Penso all’Africa (Burkina Faso, Egitto, Libia, Mali, Mozambico, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sudan) in Asia (Afghanistan, Birmania-Mynmar, Filippine, Pakistan, Thailandia) e nella nostra Europa (Cecenia, Azerbaijan, Armenia) e Medio Oriente (Iraq, Siria, Yemen). Il mondo sembra essere una polveriera. Vivere in un Paese come il nostro che ripudia la guerra oggi è un grande privilegio, anche se le guerre che sembrano lontane sono più vicine di quanto possa sembrare. Per questo ogni giorno bisogna parlare di pace e lavorare per la Pace. Nelle scuole, nelle università, nei territori, cercando di coinvolgere tutte le persone che credono nei valori della fratellanza, della pace, della solidarietà, del rispetto.

D.: Nella nostra ordinaria “giungla digitale” come possiamo in qualità di educatori, docenti, genitori, uomini e donne di buona volontà capire e aiutare a capire le potenzialità delle tecnologie e trasformale in opportunità, in vie di pace?

R.: Anche se può sembrare una posizione utopica io credo molto sull’utilizzo delle nuove tecnologie per vivere la pace e non per usarle per distruggere. È l’uomo che decide di usarle in un modo in un altro. Penso per esempio all’Intelligenza artificiale. In un libro molto interessante “Etica dell’Intelligenza Artificiale” il professor Luciano Floridi prova a tracciare delle linee importanti. Ne consiglio la lettura. L’IA, per Floridi, non rappresenta qualcosa da temere o ostacolare, ma piuttosto una “semplice” tecnologia, che necessita di lucidità ed etica per essere modellata, direzionata e governata – in modo che sia utilizzata per produrre e sostenere il bene sociale –. È proprio in quest’ottica che la filosofia e l’etica devono essere utilizzate per fare ciò che l’autore definisce “design concettuale”, ossia come strumenti a sostegno della governance delle tecnologie, che devono indicare la strada eticamente più sostenibile e più giusta. Condivido quanto ha scritto il professor Floridi che dimostra nel suo libro che aprire la “scatola nera” dell’IA è un’impresa tutt’altro che semplice. Non solo perché all’interno vi si troveranno complesse operazioni computazionali, ma anche (e forse soprattutto) perché l’IA obbliga la società a interrogarsi su cosa sia eticamente giusto. Il filoso e sociologo Floridi, inoltre, non si limita semplicemente ad aprire questa scatola nera, ma ci ricorda che nonostante non sia sempre semplice comprendere del tutto il funzionamento di un sistema di IA, ciò non ci solleva dalla responsabilità di gestire questa tecnologia nel migliore dei modi possibili. Per farlo abbiamo a disposizione lo strumento del design, contrappeso fondamentale per gestire l’impatto dell’IA sulla società – ovvero l’arte di risolvere un problema sfruttando vincoli e possibilità, per soddisfare alcuni requisiti in vista di un obiettivo. Il design ha però bisogno di un progetto comune e condiviso, e l’etica è lo strumento che può aiutare a distinguere il buon design dal cattivo design. Nella battaglia quotidiana contro il determinismo e il soluzionismo tecnologico, che continuano ad alimentare il discorso di molti promotori dell’IA sia pubblici che privati, Floridi ricorda che siamo noi – ovvero la società, attraverso lo strumento della politica – gli unici artefici del nostro futuro. Sta a noi, dunque, l’impegno di trovare la lucidità necessaria per governare l’IA. Possiamo usare l’intelligenza artificiale per la pace o per la guerra. È una nostra scelta.

D.: Le tecnologie digitali hanno e continuano a produrre trasformazioni enormi nelle nostre famiglie, società, scuole e università. Come veicolare i tratti e le competenze di un’antropologia di trasformazione che tragga “algoritmi” di pace, giustizia e armonia dalle vertiginose e inarrestabili onde tecnologiche che rischiano sempre più di travolgerci?

R.: Tutto dipende dal nostro senso di responsabilità. Il ricercatore Enzo Risso, che ha pubblicato su Il Domani, ha mostrato i risultati di un’indagine su un campione di 1.000 maggiorenni. I dati servono per analizzare il pensiero dell’opinione pubblica italiana. L’analisi evidenzia che: “L’80 per cento degli italiani è particolarmente sensibile e attento al tema della pace e il 17 per cento ha una posizione di disinteresse verso i conflitti, ritenendoli un problema limitato che riguarda solo paesi lontani da noi. Tra i giovani under trenta anni troviamo la quota più alta di soggetti disinteressati ai conflitti e a quanto succede nelle altre parti del mondo (33 per cento). Tra i baby boomers, invece, l’attenzione e l’apprensione per i conflitti è molto alta e arriva al 91 per cento”. Buona parte del nostro Paese è certa che bisogna dire “no” alla guerra e “il 42 per cento dell’opinione pubblica spinge per una politica e delle scelte nazionali e globali che favoriscano l’eliminazione completa e totale dei conflitti e delle guerre dalla mappa del globo”. Il terrore del nucleare spinge il 32 per cento degli italiani a chiedere la completa eliminazione delle armi nucleari. L’Italia appare propensa alla pace, ma le sfumature sono diverse e il valore dell’articolo 11 della nostra Costituzione, sottolinea Risso, è certamente meno forte rispetto al passato. La famiglia, la scuola, l’università, le associazioni, le parrocchie e tutti gli educatori dovrebbero educare costantemente le nuove generazioni alla pace. Ogni giorno le immagini di guerra, quelle vere o quelle false, che vengono trasmesse dai Media ci sconvolgono e fanno paura ai nostri bambini e ai nostri ragazzi. Ho avuto la possibilità di dialogare con loro, in questi ultimi mesi, e ho capito quanto sono preoccupati. Questa idea di una guerra nucleare vicina, e il pensiero che ognuno di noi possa essere in qualche modo coinvolto, ha spaventato particolarmente preadolescenti e adolescenti. Ho preso parte a tanti incontri nelle scuole in presenza oppure online e ho provato tanta commozione di fronte ad una forma di disorientamento molto forte. Papa Francesco non si arrende e rilancia il suo progetto di negoziare con la leadership russa: “Voglio parlare di un piano di pace con Putin”. Una guerra assurda che deve essere fermata e il Santo Padre ha le idee chiare: “La pace in Ucraina è possibile. Bisogna che tutti si impegnino a smilitarizzare i cuori. Dobbiamo essere tutti pacifisti. La pace vera è frutto del dialogo. Non si ottiene con le armi, perché non si sconfiggono l’odio e la sete di dominio, che cosi riemergeranno, magari in altri modi, ma riemergeranno”. Ricordiamoci che gli uomini, le donne e i bambini che vediamo in televisione non sono numeri che ci servono per stabilire le nostre statistiche, ma sono esseri umani privati della loro dignità, identità e soprattutto della libertà.

D.: Infine, cosa pensa, oggi come oggi, e quale risposta darebbe alla famosa considerazione di Erich Fromm: «il pericolo del passato era che gli uomini diventassero schiavi il pericolo del futuro e che gli uomini possano diventare robot»? I robot sono logici ma non ragionevoli, non hanno un’anima e le nostre, oggi alla deriva, sono state sostituite da tanti minuscoli chip e app. Come, oggigiorno, ri-cercare lo sviluppo integrale della persona nelle tecnologie e nelle forme di intelligenza artificiale?

R.: Apprezzo molto la sua domanda acuta e stimolante. Cosa potranno fare i robot? L’Intelligenza Artificiale potrà prendere il posto dell’uomo? L’uomo saprà educare l’Intelligenza Artificiale? Purtroppo, come è già accaduto in altre occasioni, accadono spiacevoli episodi. L’ultimo in una fabbrica nel sud di Gyeonsang, in Corea del Sud. Un quarantenne è stato ucciso, come riporta Il Fatto Quotidiano, da un macchinario che lo ha scambiato per una scatola di verdure. Il robot ha afferrato l’uomo, cosi come un qualunque prodotto in scatola, e lo ha stritolato. L’operaio è stato subito soccorso, ma ogni tentativo di cura è stato inutile. Nessuna possibilità di salvare questa vita umana. Il proprietario del Donggoseong Export Agricultural Complex, ha chiesto che venga creato un sistema “preciso e sicuro” per scongiurare nuove tragedie. Una normale verifica di routine per verificare il funzionamento del sensore della macchina che, proprio in quell’istante, si è guastata. Allora, ha sollevato il lavoratore con il braccio meccanico e lo ha spinto con forza contro il nastro trasportatore. Fonti della polizia hanno dichiarato: “Pare che il robot abbia funzionato male, identificando l’uomo come una scatola”. A quanto pare la morte dell’uomo non è l’unica in Corea del Sud, poiché a marzo un altro operaio è stato ferito da un macchinario in uno stabilimento di produzione di componenti di automobili. Certo, questa non è la prima storia che i media ci restituiscono. Nel mese di giugno, si è tanto discusso di quanto accaduto durante una simulazione bellica dove un drone dell’aeronautica statunitense, guidato dall’Intelligenza Artificiale, si è ribellato al suo operatore e lo ha ucciso. Vicenda raccontata dal colonello Tucker “Cinco” Hamilton, il capo dei test che prevedono l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale da parte dell’Air Force. Ma, Ann Stefanek, portavoce dell’aeronautica militare USA, ha smentito la notizia e anche lo stesso Hamilton ha fornito delle precisazioni. La conclusione a cui si è arrivati e che si fosse trattato di uno scenario ipotetico e non di una simulazione davvero realizzata. I pericoli dell’Intelligenza Artificiale mettono in crisi alcune certezze degli uomini. Cosi come scrive La Repubblica “sia gli esperti e sia i governi che addestrano l’Intelligenza Artificiale la percepiscono come una minaccia per la loro sicurezza”. Il presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, ha espresso le sue perplessità riguardo all’impiego dell’Intelligenza Artificiale. La morte di quest’uomo, scambiato da una macchina per una scatola, poteva essere evitata? Chiara Panciroli e Pier Cesare Rivoltella, nel volume Pedagogia algoritmica – Per una riflessione educativa sull’Intelligenza Artificiale, hanno spiegato cosa significa educare l’Intelligenza Artificiale. Il sistema deve saper interpretare i dati che gli vengono forniti e deve capire come sfruttarli. Di fatto, le ricadute etiche aspettano ancora delle risposte come ad esempio: sui contenuti falsi generati dall’Intelligenza Artificiale, sulla difficoltà di attuare controlli, sulla violazione della privacy, sulla discriminazione nei confronti di alcuni standard di bellezza, sull’occupazione e sulle aspettative della società. Dobbiamo pensare a quali saranno le nostre prospettive e a come riusciremo a relazionarci con le macchine, con l’Intelligenza Artificiale e con i robot. Fino a che punto la scienza e la tecnica possono impedire che noi non possiamo essere più considerati esseri umani, ma lattine di minestrone o di pelati? Forse, anche su questo dobbiamo riflettere.

A nome del sito Il Salto della Quaglia, Francesco Pira e Pietro Salvatore Reina, augurano a tutte le lettrici e i lettori un sereno fine anno e felice 2024. Possa essere un anno attraversato dai sentieri della Pace.

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