L’esperto: “Solo promuovendo comunicazione consapevole e riflessione critica possiamo affrontare l’instabilità dei rapporti digitali e restituire profondità alla società contemporanea”
A cento anni dalla nascita di Zygmunt Bauman, il sociologo polacco che ha dato voce alla “modernità liquida”, le sue idee risuonano con sorprendente attualità. In un mondo sempre più connesso, veloce e frammentato, le sue parole sulla fragilità dei legami, sull’incertezza e sul bisogno di senso sembrano scritte per il nostro presente digitale. La società che Bauman ha definito liquida – instabile, fluida, incapace di trattenere forme durature – oggi appare ancor più evanescente, quasi eterea, dove le relazioni si consumano in un clic, le identità si frammentano sugli schermi e la realtà si dissolve tra algoritmi e intelligenze artificiali.
Eppure, dietro la rapidità delle connessioni e l’incessante produzione di contenuti, riemerge con forza la domanda che attraversa tutta la sua opera: come possiamo restare umani in un mondo che cambia continuamente? Bauman ci ha insegnato che la modernità non è solo progresso e libertà, ma anche precarietà, paura e solitudine. La sua è stata una sociologia dell’incertezza, capace di illuminare le zone d’ombra della contemporaneità e di leggere, con lucidità e precisione, la crisi dei rapporti sociali e la trasformazione dell’esperienza quotidiana.
A distanza di un secolo dalla sua nascita, la sua lezione ci invita a osservare con occhi critici le promesse della tecnologia e della comunicazione digitale: la rete che ci unisce può anche dividerci, l’informazione che ci avvicina può disorientarci, e la libertà apparente può celare nuove forme di dipendenza. In un’epoca dominata da intelligenza artificiale, influencer e crisi globali, tornare a Bauman significa interrogarsi ancora una volta sul senso del vivere insieme e sulla possibilità di dar vita a comunità coese nell’era dell’effimero.
Per riflettere su quanto il pensiero di Bauman continui a illuminare il nostro presente, abbiamo chiesto al professor Francesco Pira, Associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Messina, di aiutarci a rileggere la sua eredità alla luce delle sfide contemporanee — dai social network alle trasformazioni della comunicazione, fino ai nuovi orizzonti dell’intelligenza artificiale.
Pira, che ha conosciuto personalmente Bauman a Roma in occasione di una sua Lectio Magistralis a Confindustria e poi lo ha rivisto a Pordenone Legge, porta nella conversazione un’esperienza diretta del pensiero del sociologo polacco, unita a una straordinaria conoscenza teorica.
Professor Pira, Bauman ci ha lasciato l’immagine potente di una “società liquida”, dove tutto cambia e nulla sembra durare. Oggi, a cento anni dalla sua nascita, viviamo ancora nella liquidità o la nostra epoca è diventata qualcosa di diverso — forse ancora più sfuggente?
«Bauman aveva la straordinaria capacità di anticipare i cambiamenti. La sua idea di liquidità descriveva una società in continuo movimento, in cui tutto si adattava, perdendo forma e stabilità. Ora quella condizione è andata oltre: la liquidità si è fatta quasi “gassosa”, impalpabile. Viviamo immersi in un flusso costante di informazioni, immagini, emozioni e relazioni che si accendono e si spengono con la stessa rapidità di uno schermo. Le identità diventano provvisorie, i legami fragili, la memoria collettiva frammentata. La velocità dell’informazione e la pervasività della tecnologia hanno accentuato l’insicurezza che Bauman aveva già individuato. Tutto è aggiornabile e sostituibile. Anche la verità sembra liquefarsi nel tempo dei social e dell’intelligenza artificiale, dove la realtà viene mediata da algoritmi invisibili. In questa condizione, la lezione di Bauman rimane preziosa: ci ricorda che l’instabilità non deve necessariamente tradursi in smarrimento. Serve uno sguardo critico, capace di dare senso alla complessità, ricostruire legami autentici e restituire alla comunicazione una dimensione profondamente umana. Non possiamo fermare il flusso, ma possiamo imparare a navigarlo con consapevolezza».
Bauman parlava di una crisi dei legami e della difficoltà di costruire relazioni sincere. Con i social network, i like e i follower, come si sarebbe evoluta, secondo lei, la riflessione di Bauman sulla vita sociale e sulla comunicazione?
«La tecnologia ha rivoluzionato il modo in cui tessiamo e percepiamo i legami. Oggi le relazioni transitano attraverso schermi, algoritmi e piattaforme che privilegiano la quantità rispetto alla qualità. Ne nasce una vicinanza illusoria: siamo costantemente collegati, ma spesso privi di intensità emotiva. La comunicazione si è accelerata fino a diventare quasi una performance, dove il valore di un messaggio si misura in like, condivisioni e reazioni immediate, più che nella sua capacità di creare comprensione ed empatia. Molti adolescenti cercano nei chatbot uno spazio di ascolto e di confidenza, spesso più facile da raggiungere rispetto agli adulti o ai coetanei. Alcuni arrivano persino a sviluppare legami affettivi con queste intelligenze artificiali, instaurando relazioni virtuali che, pur essendo digitali, influenzano profondamente il loro mondo emotivo e la loro percezione dei rapporti umani. In questo contesto, la riflessione di Bauman si orienterebbe verso un’attenzione maggiore all’autenticità e alla responsabilità digitale. Ci spingerebbe a interrogarci sul prezzo della connettività infinita e sull’impatto dei social sull’identità e sulla coesione sociale. In altre parole, il problema non è la tecnologia in sé, ma come essa plasma le nostre relazioni, spesso rendendole più vuote.

La sfida più urgente consiste nel creare legami in grado di resistere al ritmo incessante e alla provvisorietà della rete, ritrovando uno spazio di riflessione, ascolto e bellezza interiore nella comunicazione quotidiana».
Una delle lezioni più attuali di Bauman è il suo invito a non semplificare la complessità del mondo. In una società che corre e comunica sempre più in fretta, sociologia e media riescono ancora a mantenere quello sguardo critico che lui auspicava?
«La pressione della velocità e dell’immediatezza rischia di ridurre la pienezza dell’analisi sociale e culturale. Sociologia e media si confrontano con un’informazione disarticolata, spesso orientata alla reazione immediata piuttosto che alla comprensione dei processi complessi. Esistono esempi virtuosi di giornalismo costruttivo e ricerca sociologica che mantengono uno sguardo critico e approfondito, ma restano marginali rispetto al flusso dominante di notizie virali. Il vero obiettivo è coltivare uno sguardo attento e riflessivo: leggere oltre le apparenze, collegare fenomeni diversi e restituire al pubblico la ricchezza del mondo senza riduzioni. Questo richiede tempo, formazione e un impegno concreto verso l’educomunicazione, concepita come strumento per educare attraverso i media, mediare l’apprendimento e stimolare cittadini consapevoli, capaci di interpretare analiticamente la società che li circonda. In un momento storico che celebra la rapidità, resistere alla tentazione della superficialità diventa un atto di cura civile e intellettuale».
Se Zygmunt Bauman potesse osservare la nostra società — tra intelligenza artificiale, influencer e crisi globali — su cosa ci metterebbe in guardia e quale sarebbe il suo messaggio più urgente?
«Bauman ci ricorderebbe che, dietro l’illusoria frenesia del mondo, si cela un’eco di silenzio che merita attenzione. Ci spronerebbe a non cedere alle mode del momento o alle maschere ingannevoli dei social, ma a ritrovare la sostanza delle relazioni, il valore delle scelte e la forza delle piccole responsabilità quotidiane. Il suo messaggio più urgente sarebbe un invito a riscoprire il tempo lento, la contemplazione e la cura reciproca: solo così possiamo trasformare l’instabilità in opportunità, il rumore in significato, e ritrovare dentro di noi quella scintilla che rende la vita sorprendente, intensa e veramente nostra».
Il dialogo con il professor Francesco Pira ci offre spunti per rileggere il pensiero di Bauman alla luce dei nuovi traguardi del mondo digitale. Il suo approccio, basato su educomunicazione e comunicazione responsabile, aiuta a interpretare la complessità della società liquida e a promuovere relazioni più autentiche nell’universo online.
Francesco Pira, professore associato di sociologia presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina, è condirettore della rivista Addiction& Social Media Communication e fa parte dei comitati scientifici di riviste e convegni, in Italia e all’estero. Nel 2025 è stato chiamato a far parte di un importante gruppo di ricerca promosso dal Centro de Investigacion Social Aplicada CISA dell’Università di Malaga in Spagna sulla Famiglia Digitale. È stato coordinatore e responsabile scientifico per l’Italia del Progetto OIR sulla didattica inclusiva-Erasmus+ (Open Innovative Resources), finanziato dall’Unione Europea, che ha visto insieme le Università di Lublino (Polonia), Oviedo (Spagna) e Messina. È stato visiting professor e docente Erasmus e svolge progetti di ricerca preso atenei in Spagna, Polonia, Armenia e Georgia. È stato nominato nel 2025 componente del Comitato Scientifico dell’Intergruppo Parlamentare sul Digitale presieduto dall’on. Naike Gruppioni. A marzo 2024 è stato nominato Presidente della branch Comunicazione Media e Informazione di Confassociazioni, di cui era stato Vice Presidente e dal giugno 2020 è Presidente anche dell’Osservatorio Nazionale sulle Fake News. Nelle sue ricerche ha esplorato diversi aspetti della sociologia della comunicazione con particolare attenzione alle tecniche della comunicazione politica e pubblica, alla comunicazione sociale. Dal 1999 ha iniziato a studiare le interazioni tra ragazzi, adolescenti e le nuove tecnologie. Autore di oltre 80 pubblicazioni scientifiche, solo per i tipi della FracoAngeli ha pubblicato tra gli altri testi: La Buona Educomunicazione (2024) La violenza in un click (con C. Mento, 2023), Figli delle App (2020), La Net comunicazione politica (2012), Come dire qualcosa di sinistra (2009), La nuova comunicazione politica (con L. Gaudiano, 2007), Come comunicare il sociale (2005), Di fronte al cittadino (2000).
