“Ritorno a Seoul”, un film molto teatrale

Articolo di Gordiano Lupi

Davy Chou (1983), regista franco-cambogiano, di professione documentarista, debutta nella fiction con Diamond Island e si ripete con il felicemente risolto Return to Seoul (2022), dopo aver fondato la società di produzione Vycky Films (2009), con Jean-Jacky Goldberg e Sylvain Decouvelaere. Ritorno a Seoul è un dramma sentimentale privo di retorica, basato su una storia vera e sull’esperienza personale di un regista nato in Francia da genitori cambogiani che da sempre vive un rapporto conflittuale con la sua terra. Il film è costruito sulla base di una solida sceneggiatura e mostra il solo difetto di un montaggio troppo compassato nei punti meno nevralgici della storia. Ottima la fotografia di una Seoul notturna e moderna, con spaccati marini delle periferie e una credibile ambientazione nei quartieri degradati della capitale coreana, oltre a diverse riprese diurne, solari e nitide. Il film è molto teatrale, interpretato benissimo nel ruolo principale dalla debuttante Ji-min Park, che si cala nei panni di una ragazza franco-coreana alla ricerca del proprio passato, dopo l’abbandono subito dai genitori naturali e l’adozione da parte di una famiglia francese. Il film si basa su tre viaggi a Seoul compiuti dalla ragazza nel corso di sette anni, dal primo contatto ingenuo con delle tradizioni e una cultura che non comprende, fino ai successivi più maturi e consapevoli. Seoul resta come una tappa inconfessabile e fondamentale della sua vita, al punto di cercare un lavoro dopo gli studi che la tenga legata alla patria di origine, della quale comincia a capire la lingua e le usanze. Il solo genitore che accetta fin dal primo viaggio un incontro con la figlia è un padre affranto dal dolore e dal rimorso, alcolizzato per non essere stato capace di fare il padre fino in fondo, mentre la moglie l’aveva abbandonato e lasciato solo con l’impegno di crescere una bambina. Il padre si è rifatto una famiglia, ha una nuova moglie e due figlie, ma vorrebbe ricostruire un rapporto con la figlia ritrovata. La madre, invece, rivede la figlia solo per un breve e fugace incontro, drammatico e intenso, dopo molte lettere di contatto, ma fa in modo di non essere più rintracciata. Ritorno a Seoul è un film sul trauma dell’abbandono, sulla ricerca delle radici, sul carattere di una donna che non riesce a provare affetto duraturo per nessuno perché è stata la prima a non averne avuto dai genitori effettivi. Presentato a Cannes nella sezione Un certain regard, che contiene piccoli gioielli minimalisti che trovano distribuzione solo in ricercate salette d’essai come quella dove l’abbiamo visto, il prezioso Cinema Stella di Grosseto. Se ve lo siete perso, recuperatelo!

Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Davy Chou. Fotografia: Thomas Favel. Montaggio: Dounia Sichov. Musiche: Jérémie Arcache,Christophe Musse. Paesi di Produzione: Francia, Cambogia, Belgio, Romania. Case di Produzione: Aurora Films, Vandertastik Films, Frakas Productions. Distribuzione (Italia): I Wonder Pictures, Mubi. Durata: 117’. Genere: Drammatico. Interpreti: Ji-min Park, Kwang-rok Oh, Guka Han, Kim Sun-Young, Yoann Zimmer, Louis-Do Lencquesaing, Hur Ouk-Sook, Ermeline Briffaud.

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