Il gioco del Calcio introdotto a Roma dalla Lazio 124 anni fa

Articolo di Paolo Nebbia

Siamo negli ultimi giorni del 1899: non si sta concludendo soltanto un anno, ma anche un secolo intero. Il Regno d’Italia esiste da una quarantina d’anni e la città di Roma – destinataria e sfondo di questa storia – ne è la capitale da quasi ventinove anni. L’Italia è unita sì, ma soltanto politicamente: il nostro è un paese diviso, la povertà è diffusa, mancano risorse ed infrastrutture, l’analfabetismo è dilagante e la popolazione – dopo gli eventi bellici del Risorgimento e delle tre guerre d’Indipendenza – è fisicamente ed economicamente ormai allo stremo. Roma è lo specchio del paese di cui è capitale: anche qui, dopo la fine del governo papalino, la miseria e l’ignoranza culturale la fanno da padrone, il paesaggio è prevalentemente agricolo, la malaria serpeggia per le strade e la società è ancora molto arretrata.

I circoli sportivi ed intellettuali sorti in questi anni lungo le sponde del Tevere sono esclusivi e riservati solo ai ceti più alti, ma i romani più poveri non si rassegnano e si radunano comunque per le strade e nei capannoni, fanno sport insieme. Sono anni difficili e apparentemente privi di prospettive positive: lo sport si presenta come una sana valvola di sfogo, come un’occasione di aggregazione e diletto, specialmente per i più giovani, ma il problema è che questa attività non è sistematica, è anzi anarchica e priva di organizzazione.

Dall’idea di un giovane romano di nome Luigi Bigiarelli, sottoufficiale dei bersaglieri sopravvissuto in terra etiope alla disfatta dell’esercito italiano ad Adua nel 1896, nasce l’iniziativa della fondazione di una società sportiva che strutturasse e regolamentasse questo fermento agonistico. Siamo ormai nei primi giorni del nuovo anno e del nuovo secolo, è il 9 gennaio del 1900 e a Roma, in piazza della Libertà, nasce ufficialmente la Società Podistica Lazio. Il giorno seguente la notizia appare sulle pagine del giornale romano Il Messaggero: “Ieri, per opera di alcuni volenterosi giovani è stata fondata una società di sport pedestre denominata Lazio. Essa, a somiglianza delle consorelle Milano, Torino, Genova, si ripromette un’attività di propaganda in favore di questo sport tanto utile a tutti in specie poi alla gioventù (…) Il numero di soci è di garanzia che questo sport avrà lo sviluppo che merita. Intanto la sede provvisoria della società è in via degli Osti n.15, primo piano, dove si dovranno rivolgere tutti coloro che desiderano informazioni”.

I podisti della Lazio nella primavera del medesimo anno prendono parte alla loro prima gara, il giro di Castel Giubileo, una marcia di una ventina di chilometri da Porta Pia a Porta del Popolo. Piazza d’Armi, tra il Lungotevere e viale delle Milizie, diviene intanto il primo campo di allenamento della Lazio. Oltre al settore podistico, nei mesi seguenti si aggiungono il nuoto, la ginnastica e il canottaggio. La Lazio, prima polisportiva della città di Roma, nel 1901 è pronta ad accogliere ufficialmente anche il settore calcistico: Bruno Seghettini, membro della società calcistica del Racing Club Parigi, propone ai soci fondatori della Lazio di introdurre il gioco del football, che tanto successo stava riscuotendo in Europa.

Fino al 1902, la Lazio in città non ha avversari contro cui battersi, quindi il pubblico accorre in Piazza d’Armi a vedere la Lazio che gioca contro sé stessa. Nel 1902, da una costola della società calcistica Lazio nasce la Virtus: finalmente Roma ha il suo derby cittadino e il primo scontro fra le due squadre viene vinto dalla Lazio, allenata e capitanata da Sante Ancherani. La gente pian piano si appassiona a questo sport, comincia a seguirlo e a praticarlo: già nel 1908 la Lazio compare negli elenchi ufficiali delle società iscritte alla Federazione Italiana calcistica (oggi FIGC).

La Lazio trapianta a Roma il gioco del calcio, uno sport completamente sconosciuto nella Capitale prima di questo evento. I fondatori, all’alba del nuovo secolo, ci tengono particolarmente a legare la neonata società sportiva alla storia antica di Roma e per tale ragione decidono di attribuirle il nome “Lazio” e di identificarla attraverso lo stemma sociale dell’aquila. L’appellativo scelto non soltanto consente di riecheggiare la stirpe dei Latini, padri della civiltà romana, ma anche di richiamare il territorio compreso tra il fiume Tevere e le paludi pontine, denominato Latium vetus, all’interno del quale – come tramandato dalla tradizione – il 21 aprile del 753 a.C. fu fondata la città di Roma. Per quanto riguarda invece il simbolo adottato, si sceglie di rievocare l’icona dell’antico Impero romano, l’aquila, condotta come insegna da Troia in terra laziale dall’eroe virgiliano Enea. I vessilli dell’esercito romano hanno sempre riportato l’immagine di questo rapace, emblema di potenza e prosperità, nonché in epoca romana medievale di giustizia. Proprio l’immagine dell’aquila come simbolo dell’insegna imperiale viene utilizzata da Dante nel canto VI del Paradiso: in tale circostanza il poeta, che per bocca dell’imperatore Giustiniano ripercorre le tappe fondamentali della storia romana, si riferisce a questo rapace (esplicitamente nominato nel primo verso) attraverso la perifrasi “uccel di Dio” (v. 4), che a sua volta riprende l’espressione virgiliana ales Iovis (‘uccello di Giove’ in Aen. I, 394).

La Lazio, in quei difficili anni del Primo Novecento, con le sue attività agonistiche diventa per i romani non soltanto un’occasione ricreativa, ma soprattutto una realtà in cui essi ritrovano l’entusiasmo perduto, una realtà in cui riscoprono un senso di appartenenza sociale, un’identità storica, un’indole campanilistica. L’ideale olimpico della Grecia (che solo pochi anni prima, nel 1896, aveva ospitato le ultime Olimpiadi), rievocato dai colori bianco e celeste, diviene un richiamo per le nuove generazioni, che finalmente sentono di poter tornare a lottare in modo sano e genuino per qualcosa di nuovo e di bello. La Lazio, con il suo motto “concordia parvae res crescunt” (“nell’armonia crescono le piccole cose”), tratto dal Bellum Iugurthinum di Sallustio (10, 6), riesce a strappare i giovani dalla monotonia e dal grigiore di quel tempo, gli offre una valida opportunità agonistica, di aggregazione, di svago, di divertimento: è un sereno e salutare stare insieme.

In epoca fascista, più precisamente nel 1927, nel contesto delle varie iniziative che portano probabilmente alla nascita della seconda squadra della Capitale (la Roma), il Federale del Partito Nazionale Fascista Italo Foschi decide di fondere in un’unica società calcistica (che avrebbe avuto il nome della città) tutte le squadre romane: in tale circostanza, grazie all’intervento del generale Giorgio Vaccaro, la Lazio non soltanto manifesta la sua inclinazione antifascista (sconfessando una serie di sciocchi luoghi comuni legati oggi alla sua tifoseria), ma riesce anche a restare estranea a tale accorpamento forzato, mantenendo così la propria autenticità e la propria identità originaria.

Nella settimana del suo centoventiquattresimo compleanno, all’indomani di un derby vinto che ha portato all’eliminazione della Roma dalla competizione della Coppa Italia, abbiamo voluto fare gli auguri alla Lazio raccontando gli albori della sua storia, affinché si conosca e cresca nel sentimento comune la consapevolezza che chi sceglie di tifare Lazio (al di là del discorso calcistico in senso stretto) compie una scelta di biografica specificità e genuina unicità. Non a caso, la lazialità è una romanità svincolata dalle apparenze (il nome e i colori), è una romanità di tradizione, che infatti si tramanda di padre in figlio.

Related Articles