È arrivata l’ora X per Julian Assange

Articolo di C. Alessandro Mauceri

È arrivata l’ora X per Julian Assange, il responsabile di Wikileaks, un giornalista la cui unica colpa, forse, è aver diffuso notizie ufficiali ma “scomode”. Notizie che alcuni avrebbero preferito rimanessero top secret. 

L’inizio del calvario per Assange è iniziato dopo la pubblicazione di alcuni documenti, soprattutto cablogrammi e carteggi diplomatici che, secondo l’Espionage Act del 1917, non avrebbero potuto essere pubblicati.

Da lì per Assange inizia il calvario. Nel 2010, la magistratura svedese emette un mandato di cattura europeo nei suoi confronti accusandolo di stupro su due donne svedesi. Appare subito chiaro che è una scusa per mettere le mani su di lui. Assange si difende affermando che i rapporti erano consensuali e si consegna alla polizia britannica. Pochi giorni dopo gli vengono concessi i domiciliari e poi la libertà vigilata. L’anno dopo viene avviata una procedura di estradizione dal Regno Unito. Temendo di essere estradato negli Stati Uniti d’America, nel 2012, Assange si rifugia nell’ambasciata ecuadoriana dove chiede asilo politico.

Intanto, nel 2016, sul suo sito, Wikileaks, emergono altri documenti scottanti sugli USA riguardanti la corsa alle primarie americane e i comportamenti di alcuni dirigenti del Partito Democratico USA per non permettere la candidatura di Bernie Sanders.

Nel 2019, si tengono nuove elezioni presidenziali in Ecuador. Il nuovo presidente accusa Assange di aver violato le condizioni per l’asilo politico (una scusa?) e lo consegna nelle mani della polizia britannica. Il giorno dopo, ad Assange viene anche revocata la cittadinanza ecuadoriana. E viene riaperta l’indagine per stupro che intanto era stata archiviata. Poco dopo, a maggio 2019, negli Stati Uniti d’America, all’accusa di pirateria informatica vengono aggiunti altri 17 capi d’accusa! Ora Assange rischia 175 anni di prigione: praticamente una condanna a vita.

Lo stesso giorno (il 31 maggio 2019), dopo una visita ad Assange nelle prigioni britanniche, Nils Melzer, relatore speciale sulla tortura delle Nazioni Unite, afferma che le sue condizioni, presentano “tutti i sintomi della tortura psicologica” e che la sua vita è in pericolo.

Alla fine del 2019 la magistratura svedese chiude definitivamente l’indagine per violenza sessuale per mancanza di prove. Subito dopo, a febbraio 2020, le autorità britanniche iniziano ad esaminare la richiesta di estradizione degli Stati Uniti. Inutili le proteste di decine di ONG che chiedono la liberazione di Assange affermando che la richiesta di estradizione ha radici politiche. A settembre 2020, la Corte penale londinese di Old Bailey decide di concedere alla difesa un po’ più di tempo per preparare la documentazione. Intanto, però, impone ad Assange di rimanere in carcere perché secondo loro sarebbe a rischio suicidio. Secondo molti un escamotage per evitare che possa scappare.

Nel 2021, il Dipartimento di Giustizia USA presenta appello contro la decisione di rimandare l’estradizione. Ma l’Alta Corte di Londra afferma che le garanzie che Washington fornisce sulle cure che Assange potrebbe ricevere sono insufficienti.

Assange è rinchiuso in un carcere nel cuore di Londra da quattro anni.

La prossima settimana, per lui sarà l’ora X: presso l’Alta Corte di Londra si terrà l’udienza finale per accogliere o meno la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti d’America.

Una decisione sulla quale potrebbero – o almeno si spera – pesare due fatti. Il primo è l’ennesimo invito da parte delle Nazioni Unite a rilasciare Assange. Nei giorni scorsi, la relatrice speciale ONU sulla tortura, Alice Jill Edwards, ha chiesto al Regno Unito di non estradare Assange negli USA, per via dei “considerevoli timori” che questi si troverebbe “a rischio di trattamenti assimilabili alla tortura o altre forme di maltrattamenti o punizioni” nelle carceri americane. https://www.ohchr.org/en/press-releases/2024/02/un-special-rapporteur-torture-urges-uk-government-halt-imminent-extradition

Ma non basta: la questione potrebbe diventare un affare di Stato: per la prima volta, le autorità australiane, Paese d’origine di Assange, sono scese in campo in suo favore. Il Parlamento australiano ha approvato una mozione nella quale si chiede a Regno Unito e Stati Uniti d’America di lasciare che il giornalista Julian Assange possa fare ritorno in Australia. Una mozione che è stata definita “una dimostrazione di sostegno politico senza precedenti per il signor Assange da parte del Parlamento australiano”. La richiesta è stata presentata dal deputato indipendente Andrew Wilkie: “Abbiamo quasi esaurito il tempo a disposizione per salvare Julian Assange”, ha detto. A favore della mozione hanno votato anche il premier australiano, Anthony Albanese, e i membri del suo gabinetto. Una decisione che fa seguito alla lettera sottoscritta da un terzo dei deputati e indirizzata al governo degli Stati Uniti d’America nella quale si chiede di porre fine una volta per tutte a questa vicenda: “Ci sono persone che detestano quest’uomo, altre che lo venerano, ma quasi tutti concordano sul fatto che questa vicenda si sia protratta troppo a lungo. A prescindere da ciò che si pensa di Assange, in questo caso non è stata fatta giustizia” ha dichiarato Wilkie.

Se il tribunale britannico dovesse pronunciarsi a favore dell’estradizione, ad Assange non rimarrebbe che una possibilità: fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Un ultimo, disperato tentativo per evitare di passare il resto dei suoi giorni in uno delle tante carceri a stelle e strisce dei quali nessuno sa nulla. Dove i diritti umani non vengono lasciati entrare. E dove i “paladini dei diritti umani” a stelle e strisce sono i primi a non rispettarli. Basta che nessuno lo dica. Già, perché la vera colpa di cui sarebbe responsabile Assange è solo questa: aver pubblicato documenti che qualcuno non voleva fossero resi pubblici. Nemmeno da un giornalista. Cose delle quali nessuno avrebbe saputo niente, se non fosse stato per Wikileaks.

La prossima settimana la sentenza non riguarderà Assange. Ma il diritto dei cittadini di sapere quando un governo viola la legge. E poi lo nasconde dietro al segreto di Stato.

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