“La mia vita da numero 10”, un libro di Evaristo Beccalossi con Eleonora Rossi

Articolo di Gordiano Lupi

I tempi di Evaristo Beccalossi li ricordo bene perché sono stati anche i miei tempi, certo con esiti diversi, ché io arbitravo in serie C e facevo il quarto uomo in serie B, lui giocava nella Grande Inter di Fraizzoli e Pellegrini, dopo aver debuttato nel Brescia. Meglio così, ché io ero interista (lo sono ancora) e il Becca – come lo chiamavano tutti – non l’avrei potuto arbitrare con quel nerazzurro che avrebbe offuscato l’imparzialità di giudizio. Ho rischiato di incontrarlo in serie D, quando giocava nel Pordenone (1989 – 90), ma non è capitato, ed è stato un bene, gli avrei chiesto l’autografo al momento di fare l’appello prima di scendere in campo. Beccalossi nasce nel Brescia dove si fa tutta la trafila delle giovanili, gioca nell’Inter – dove vince molto ma non troppo – dal 1978 al 1984, restando un genio inespresso, come dice Paolo Rossi nel famoso monologo Lode a Evaristo Beccalossi che sbaglia due rigori in coppa. Gianni Brera, invece, lo chiamava Dribblossi, perché era un giocatore molto tecnico che amava scartare i giocatori avversari, gli piaceva dribblare chi aveva davanti, persino i pali e i fotografi, anche il pubblico in curva, come ironizza Paolo Rossi. Giocatore geniale e senza regole, non rinunciava al buon cibo, al piacere di una sigaretta, alla scappatella in qualche locale, odiava i ritiri (quale calciatore li ama?) con quelle serate interminabili passate a giocare a carte. Il bel libro autobiografico – edito da Diarkos e (credo) scritto soprattutto dalla bravissima Eleonora Rossi, dotata di uno stile giornalistico sopraffino -, ricorda l’amicizia fuori dal campo con Hansi Muller e la rivalità sul terreno di gioco. Beccalossi pronunciò davvero la famosa frase: “Meglio giocare con una sedia che con Muller, almeno la sedia ti ritorna la palla”. Muller voleva fare sempre tutto da solo, costruire, tirare, segnare, concludere traiettorie offensive, senza coinvolgere altri, era tutto fuorché un altruista, il contrario di Beccalossi. I due potevano andare d’accordo solo quando uscivano per conquiste milanesi, perché Muller era così bello da sembrare un fotomodello, serviva anche a Beccalossi per conoscere ragazze. Beccalossi lascia l’Inter per passare alla Sampdoria, dove s’impegna molto, conosce Vialli e Mancini, trova un ambiente perfetto, ma non riesce a esprimere tutto il suo valore. Il fantasista dopo un anno passa al Monza, stagione da dimenticare con retrocessione in serie C; vorrebbe finire la carriera a Brescia, la città natale, il luogo dove tutto è cominciato, purtroppo le cose non vanno come lui vorrebbe. Passa un anno in Puglia bellissimo, a Barletta, casa sul mare a Trani, ma la fregatura è in agguato perché quando vorrebbe il cartellino per trovarsi un’altra squadra gli chiedono dei soldi. E il Becca di rimando: “Sapete dove dovete mettervi il cartellino?”. Forse i dirigenti del Barletta se lo immaginano. Lui va a giocare nei dilettanti, dove il cartellino non serve, prima a Pordenone, poi a Breno, quindi nel 1991, a 35 anni, appende le scarpette al chiodo e si mette a fare il venditore per un’azienda, proprio tutta un’altra vita. Beccalossi non è il tipo da fare l’allenatore, non fa per lui lavorare tutti i giorni in mezzo al campo senza giocare la domenica, quindi nel calcio rientra prima come consulente per il Lecco, poi come commentatore sportivo, infine come dirigente delle squadre nazionali. Ma ora basta, ché vi sto raccontando tutto il libro, un lavoro affascinante soprattutto per chi è stato interista negli anni Ottanta e il Becca non se l’è dimenticato, anche se ha sbagliato due rigori a San Siro contro lo Slovan Bratislava. Tanto vincemmo lo stesso …

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