Un semplice ricordo ad un mese dalla scomparsa del professore Serianni

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 21 luglio, un mese fa, alle ore 9.30 il maestro della grammatica, della lingua e linguistica italiana Luca Serianni traghettava l’anima nell’aldilà.

Un uomo innamorato della parola, della lingua. Un amore e una passione che, come pochi, riusciva a trasmettere, a infondere in chiunque lo ascoltasse o solamente leggesse i suoi studi, i suoi libri. Quest’amore, con la sua scomparsa, si è acceso, è divampato sui social, ha riempito e riempie le pagine dei giornali. Ma soprattutto riscalda i nostri cuori. Basta solo ri-vedere una sua lezione, ri-leggere uno dei suoi tanti e magistrali libri per poter essere presi e catturati per incantamento dalla sua semplicità, dalla sua raffinatezza. I suoi volumi sono un percorso prezioso, obbligato per capire la storia e l’evoluzione della nostra lingua ma anche del nostro Paese con i suoi usi e costumi.

È cifra caratteristica della scrittura del professore Serianni la trasparenza della sua sapienza e saggezza che semplicemente, ma con maestria, infonde in chi lo ascolta, in chi lo legge.

Nelle pagine e nelle pieghe delle parole dal professore Serianni scritte e insegnate riluce la virtù della sapienza che deve essere a fondamento della nostra etica di studenti, studiosi, insegnanti, impiegati, ecc.

In questo tempo dell’incertezza, della paura l’esempio di vita e studio del professore Serianni ci invita a riflettere e a orientare il nostro agire sulla via della «virtute e canoscenza».

La parola ci insegna il professore Serianni è un dono. Le «parole riflettono fedelmente il meglio e il peggio dell’essere umano» (L. Serianni, Parola, Il Mulino, p. 10). La sua saggezza è davvero un serbatoio linguistico, ma non solo, che ci aiuta copiosamente e consapevolmente ad avere cura delle parole e ad adempiere alla sua volontà e desiderio di vivere e lavorare con «disciplina e onore».

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