Rapporto Arabia Saudita

Articolo di C. Alessandro Mauceri

Dopo lo sfruttamento dei lavoratori per la costruzione delle infrastrutture per i mondiali di calcio in Qatar e le presunte pressioni per accaparrarsi l’evento, un altro paese arabo è finito sotto il mirino dei media. L’Arabia Sadita lodata da alcuni politici italiani che l’hanno presentata come il paese del nuovo rinascimento, secondo il rapporto “Bloodshed and Lies: Mohammed bin Salman’s Kingdom of Executions”, pubblicato da Reprieve ed ESOHR, sarebbe tutt’altro che nuovo dal punto di vista dei diritti umani. Sotto accusa in particolare il settore delle esecuzioni capitali: “Il tasso di esecuzioni in Arabia Saudita è quasi raddoppiato da quando il re Salman e suo figlio Mohammed bin Salman (MBS)sono saliti al potere nel 2015”. Tra il 2010 e il 2021 sarebbero state almeno 1.243 le esecuzioni capitali (ma si teme che il numero reale possa essere molto più alto) e numerose le violazioni dei diritti umani. Secondo gli autori del rapporto, “i 6 anni più sanguinosi delle esecuzioni nella storia recente dell’Arabia Saudita sono avvenuti tutti sotto la guida di Mohammed bin Salman e del re Salman (2015, 2016, 2017, 2018, 2019 e 2022)”. Dal 2015 al 2022 (ovvero da quando è salito al potere re Salman) ci sarebbero state una media di 129,5 esecuzioni all’anno, con un aumento dell’82%”. Sette i reati che hanno portato ad una condanna a morte tra  il  2010  e  il  2021: omicidio, traffico di stupefacenti (compreso il contrabbando), reati sessuali, formazione o  appartenenza a gruppi criminali organizzati, sequestro o sequestro fittizio accompagnato da  aggressione, furto con scasso  o rapina, sedizione, tradimento e reati contro la sicurezza dello Stato e, infine, “stregoneria”. Da sottolineare che, fatta eccezione per  l’omicidio, i restanti sei tipi di reati non rientrano tra i “reati  più  gravi” ai sensi del  diritto internazionale e, quindi, non dovrebbero portare alla pena di morte. Nel  giugno 2020, un membro del Consiglio della Shura, l’organo legislativo dell’Arabia Saudita, ha sottolineato la necessità di un nuovo codice  penale  che definisse chiaramente  i  crimini  e  la  loro punizione (altrimenti  lasciati alla discrezionalità dei giudici) e  ha proposto di limitare l’ambito di applicazione della pena di morte ai soli casi di omicidio intenzionale. Nel 2021, il  principe ereditario Mohammed  bin  Salman  ha  annunciato la propria volontà di scrivere un nuovo codice penale. Al  momento  della  stesura  del rapporto, però, questo codice penale non è stato ancora promulgato.

Altro tema delicato è l’età delle vittime delle esecuzioni. Nelle scorsee settimane se ne è apralto a proposito dell’Iran, ma anche in Arabia Saudita ci sarebbero stati casi analoghi. L’Arabia Saudita ha ripetutamente affermato di non applicare la pena di morte ai minori o a seguito di reati commessi da  minori. L’Arabia Saudita ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo  (“CRC”). Ad aprile 2020 un nuovo regio decreto avrebbe “abolito… le condanne a morte  discrezionali sui minorenni, comprese quelle riguardanti persone che non avevano compiuto 18  anni al momento della commissione del reato, compresi i condannati a morte per terrorismo”. Nel settembre 2016, una delegazione dell’Arabia Saudita ha dichiarato al Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia che “non vi è alcuna applicazione della pena di  morte sui  minori”.

I dati riportati nel rapporto appena pubblicato dimostrerebbero il contrario.

L’applicazione del regio decreto rimane incerta, dato che secondo gli autori del rapporto non  sarebbe stato ancora pubblicato o emanato come legge. L’imposizione della pena di  morte a un  soggetto minorenne al momento del presunto reato sarebbe vietata dal diritto internazionale consuetudinario. Il Comitato per i  diritti  umani delle Nazioni Unite ha affermato che chiunque  avesse meno di 18 anni al momento del presunto reato non potrà mai  affrontare la pena di morte  per quel  reato,  indipendentemente dalla loro età al momento della  condanna o al  tempo previsto  per l’esecuzione della pena”. Nell’agosto 2018, l’Arabia Saudita ha promulgato la  legge sui  minori,  che disciplina il trattamento dei  minori nel sistema di giustizia penale. La Legge sui Minori  prevede che se un minore di età superiore ai  15 anni commette un reato punibile con la  morte,  la  pena è sostituita con la reclusione non superiore a 10  anni. La pena di morte resta per un’ampia gamma di reati in tre categorie della legge islamica: qisas (retributivo), had (obbligatorio) e ta’zir (discrezionale). Le disposizioni di legge su hudud e qisas sostengono che una persona condannata a  morte obbligatoria è esclusa dall’applicazione della legge e può, quindi, essere condannata a morte e giustiziata. I dati riportati dai ricercatori confermano che l’Arabia Saudita avrebbe continuato a  condannare a  morte e a giustiziare persone che erano minorenni quando hanno commesso il reato di ci erano accusati. dal 2010, sarebbero almeno 15 le persone giustiziate per reati commessi quando avevano meno di 18  anni. Undici di queste esecuzioni sarebbero state eseguite dopo il 2015, quando re Salman è salito al trono. Sette sono state eseguite dopo il 2017, ovvero dopo la nomina  del  principe  ereditario. Solo nel 2019 sarebbero state sei le esecuzioni di persone imputati per reati commessi quando erano minorenni. Molti minorenni sono attualmente a rischio di condanna a morte: il numero esatto non è  noto.

Esemplare il caso di Abdullah  al-Howaiti. Nato  il  18  luglio  2002, è stato condannato a morte  due volte, entrambe dopo l’annuncio del regio decreto del 2020, nonostante avesse solo 14 anni al  momento del presunto reato. Nel 2017, quando aveva 14  anni, Abdullah è stato arrestato insieme al fratello mentre era a casa. Portato nella  prigione di Tabouk, è stato tenuto in isolamento per  quattro mesi. Abdullah è stato torturato fino a quando ha confessato di  aver  partecipato ad una rapina in una gioielleria durante la quale era rimasto ucciso un agente di polizia. Nel diario di Abdullah, scritto a mano durante i suoi  quattro  mesi  di detenzione, sono descritte le sue proteste per dichiararsi innocente. La sua confessione è stata estorta con la tortura. Durante il  processo, iniziato  nel  2017, i difensori del ragazzo hanno fornito alla corte prove certe della sua età al momento  del reato, del fatto che il ragazzo era stato torturato per estorcergli una confessione e della sua  innocenza. I giudici del tribunale penale di  Tabouk, tuttavia, pur ammettendo che Abdullah aveva solo 14 anni al momento del  presunto reato (la  data  di  nascita  di  Abdullah  appare  sulla sentenza), a ottobre  2019, hanno emesso la condanna a morte “sotto hudud”. Abdullah ha presentato ricorso alla Corte d’Appello. Ma a gennaio 2021 la Corte d’Appello di Tabouk ha confermato la condanna a  morte. A novembre  2021,  la  Corte  Suprema  dell’Arabia  Saudita ha  annullato  la  condanna  di  Abdullah e rimesso  tutto al  tribunale  di  primo  grado  per  l’esame del caso. Il Pubblico Ministero ha nuovamente chiesto la pena di morte nel nuovo processo di  Abdullah e il 2  marzo  2022,  il  tribunale  penale  di  Tabouk  ha  condannato  a  morte  Abdullah  per  la  seconda  volta. Solo l’intervento del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul caso e sulla detenzione arbitraria dl giovane ha fermato l’esecuzione: è stato emesso un parere con il quale è stata dichiarata illegale la detenzione di Abdullah. Nel rapporto si parla di “allarme” per l’età di  Abdullah al momento dell’arresto e di “grave  preoccupazione” per  le torture subite dal minore. Il gruppo di lavoro delle NU si è dichiarato “profondamente  turbato” per l’imposizione  della  pena  di  morte in palese violazione dell’articolo 37 della CRC e ha concluso che  Abdullah dovrebbe  essere  immediatamente rilasciato (anzi, che dovrebbe essergli concesso un risarcimento).

Il caso di Abdullah è l’eccezione che conferma la regola: nell’ultimo periodo, sono stati 15 i minorenni  giustiziati in seguito a condanne a morte “discrezionali”. Due sono stati  giustiziati in seguito a condanne a  morte  “obbligatorie”. Nonostante le affermazioni e le lodi di essere esempio di un “nuovo rinascimento”, i dati del rapporto appena pubblicato confermano che l’Arabia Saudita continua a utilizzare sistemi medievali e a giustiziare imputati minorenni (almeno fino a giugno 2021). In palese violazione degli accordi e trattati internazionali che ha ratificato e sbandierato.

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