Intervista al sociologo Prof. Francesco Pira: “Andiamo oltre la paura e l’indignazione, non c’è più tempo”

Articolo di Merelinda Staita

“L’odio non può scacciare l’odio: solo l’amore può farlo. L’odio moltiplica l’odio, la violenza moltiplica la violenza, la durezza moltiplica la durezza, in una spirale discendente di distruzione” con queste parole Martin Luther King ha mostrato al mondo quanto può essere pericoloso vivere lontani dall’amore. Un crescendo di crimini vergognosi che ledono la dignità dell’altro e oggi, ancora una volta, dobbiamo interrogarci su quanto è accaduto.

In questi ultimi giorni, la cronaca regionale, e nazionale, riporta un terribile caso di violenza. Sette ragazzi, tutti tra i 19 e i 22 anni e un minorenne, che nel frattempo ha compiuto 18 anni, sono accusati di violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne. I fatti sono avvenuti lo scorso 7 luglio a Palermo, nella zona del Foro Italico.

Dopo aver fatto ubriacare la giovane, gli aggressori l’hanno portata in un luogo appartato per abusare di lei. Sui social e sui giornali è apparsa l’immagine, ripresa da una telecamera di videosorveglianza, che vede il gruppo condurre la vittima sul posto dello stupro. Una ferocia inaudita, confermata dal medico che ha soccorso la giovane dopo la violenza. “Mai vista una cosa simile” ha detto alle forze dell’ordine.

La giovane riportava i segni degli schiaffi, dei pugni e numerose lesioni. La brutale e spietata aggressione è stata ripresa da un “operatore d’eccezione” e inviato sulle chat degli altri stupratori.

I messaggi, le intercettazioni e i video confermano la violenza sessuale e secondo il giudice “dalle loro parole si comprende come, benché moralmente del tutto indifferenti rispetto a quanto accaduto, fossero consci delle possibili conseguenze dei gravi fatti denunciati, vaneggiando su propositi di fuga all’estero”.

L’impietoso contenuto delle loro chat è finito su tutti i giornali, un orrore nell’orrore.Una storia come questa ha bisogno di essere capita e analizzata da fonti autorevoli che sappiano fornire la giusta interpretazione.

Proprio per questo motivo, ho intervistato il Professore Francesco Pira, sociologo di fama nazionale e internazionale, esperto di comunicazione e attento studioso, per comprendere quello che è successo e capire come mai nel racconto dell’episodio la ragazza sembra non essere più presente.

Il Professore Francesco Pira, siciliano 58 anni, sociologo, è Professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi. Insegna giornalismo web e comunicazione strategica, teorie e tecniche del linguaggio giornalistico e comunicazione istituzionale presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, dove è Direttore del Master in “Esperto in Comunicazione Digitale per PA e Impresa”.

Il Rettore professor Salvatore Cuzzocrea lo ha nominato nel 2020 Delegato alla Comunicazione dell’Ateneo peloritano.

Intensa la sua attività di ricerca e didattica anche all’estero. Dopo una docenza Erasmus in Armenia all’Università di Yerevan è stato Visiting Professor “Marie Curie” presso il Center for Social Science, Tiblisi (Georgia), nell’ambito del Progetto SHADOW (MSCA-RISE call H2020-MSCA-RISE-2017).

Ha intrapreso una battaglia personale contro il bullismo, il cyberbullismo, il sexting, le fake news e la violenza sulle donne. Su questi temi ha svolto ricerche e tenuto seminari in Italia e all’Estero per studenti, docenti e genitori. Nel giugno 2020 è stato nominato Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Fake News di Confassociazioni.

È componente del Comitato Promotore e componente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale di PA Social e Istituto Piepoli. Saggista è autore di numerosi articoli e pubblicazioni scientifiche.

Ha partecipato a tantissimi webinar e a moltissime conferenze nazionali e internazionali, dove ha presentato i dati della sua ultima ricerca contenuta all’interno del suo saggio “Figli delle App”, edito dalla Franco Angeli Editore – Collana di Sociologia.È coautore del libro “La violenza in un click”, edito dalla FrancoAngeli scritto con la professoressa Carmela Mento, associato di Psicologia clinica UniMe.

Il Professore Pira è stato a Lublino (Polonia), dove ha lavorato, concretamente per definire il Progetto OIR che si è concluso a maggio del 2023. Un progetto europeo Erasmus, di cui è stata capofila l’Università Marie Curie di Lublino (Polonia) e di cui sono state partner l’Università di Messina e l’Università di Oviedo (Spagna). Il Professore Pira ha coordinato per l’Italia il progetto OIR con l’obiettivo di studiare le nuove forme di istruzione digitale inclusiva. Una sfida che ha accolto, insieme al gruppo di lavoro, consapevole della necessità emersa dopo l’emergenza pandemica.

Professore Pira, stiamo assistendo, non è il primo caso di cui parliamo, ad uno stravolgimento di quello che sono i principali valori di riferimento. Giorno dopo giorno, la cronaca ci presenta il risultato di atti efferati e crudeli. Una doppia violenza ovvero: una violenza fisica unita alla violenza psicologica, determinata dal terrore della diffusione di precise immagini con lo scopo di distruggere la vittima. Commentare questa storia non è facile, ma le chiedo il suo importante parere per riuscire a trovare le risposte che non abbiamo.

«Quanto è stato diffuso dai media, dopo lo stupro di Palermo, ci deve far riflettere su due fronti. Ancora una volta sulla ragazza stuprata è possibile individuare una doppia violenza e su questo non c’è dubbio. Sì, perché oltre alla violenza fisica, perpetrata da questi suoi aggressori, c’è anche la violenza psicologica. La violenza psicologica viene esercitata dalla presenza sulle chat dei video dello stupro. I video sono stati inviati sui canali di messaggistica istantanea e sono seguiti i commenti a questa violenza inaudita. Soprusi, commessi con un tale impeto, che ci sconvolgono e che mortificano il genere maschile. Il testo dei messaggi che alcuni componenti del branco si sono scambiati, dopo lo stupro, sono finiti nell’ordinanza di custodia cautelare. Il materiale è servito per procedere all’arresto degli indagati. La stampa ha pubblicato le chat cosi come ha reso note le intercettazioni, ma questo ha riaperto il dibattito sul confine tra diritto di cronaca e diritto di privacy. Qualche tempo fa, ci siamo chiesti se fosse giusto pubblicare i video dell’Isis che decapitava i suoi prigionieri, o i giornalisti, per dimostrare la sua violenza. Alcuni erano convinti che fosse necessario e altri no per evitare il rischio di emulazione. Certo, si tratta di due situazioni diverse, ma anche in questo caso bisogna ragionare. È giusto che i giornali pubblichino le chat? È corretto che quanto sia stato detto e registrato da questi violentatori diventi l’argomento su cui confrontarsi? Purtroppo, nella narrazione dell’episodio la ragazza scompare e non sembra nemmeno un essere umano ma trovano ampio spazio le gesta del branco. Chiediamoci, come mai la narrazione giornalistica ci riporta continui particolari e le nuove tecnologie vengono impiegate per veicolare tanti dettagli. Il rischio che corriamo è quello di offuscare l’episodio e di non trovare le soluzioni giuste».

Professore, la violenza psicologica è riconducibile al fenomeno del revenge porn. Come possiamo recintare questa devianza che assume contorni sempre più gravi e preoccupanti?

«Quello che deve farci riflettere e il continuo scambio di immagini e la trasformazione del concetto di intimità e di privacy. La tendenza è quella di spettacolarizzare tutto compresa la nostra intimità e questo è un dato allarmante. La diffusione di immagini pornografiche senza il consenso delle persone interessate, l’invio di foto e video privati che solitamente dopo una lite di coppia o dopo l’addio vengono postate in rete o inviate con la messaggeria veloce, Telegram o WhatsApp, è davvero è inaccettabile. Scoprire la pubblicazione in rete di uno dei propri momenti personali, può generare senso di colpa e vergogna con conseguenze estreme per la vittima. Riprendere uno stupro con la telecamera di un cellulare, caricarlo in rete, o guardarlo insieme ad altre persone, è un atto disumano. Tanti i casi di suicidio che si sono verificati dopo il revenge porn. Non basta una legge, ma è necessario ridefinire i nuovi modelli relazionali che stanno trasformando la nostra società. Le brutture stanno cancellando ogni forma di bellezza e il sorriso di tanti innocenti».

In diverse occasioni, lei ci ha ricordato che è necessario puntare su due direzioni: l’educazione ai sentimenti e l’educazione al rispetto del corpo. Il reato commesso dai sette giovani palermitani ci suggerisce che manca la consapevolezza del proprio comportamento e dei propri gesti. La vita della vittima è stata rovinata da questa assurda e crudele vicenda. Abbiamo compiuto molti passi avanti, ma il problema ha radici profonde antropologiche e culturali. Allora, come possiamo invertire la tendenza e sensibilizzare le nuove generazioni?

«È necessario stabilire subito un piano di emergenza per arginare questi fenomeni di violenza gratuita. Noi come società civile, e noi come educatori, possiamo dare una risposta concreta ed effettiva a situazioni sociali di estremo degrado, come quella che è stata vissuta a Palermo. Qual è la risposta che dobbiamo dare? Come si può fermare questa crudeltà? Ci siamo resi conto che non basta soltanto una legge, un provvedimento e un arresto, ma bisogna impegnarsi tantissimo per raggiungere un cambio di cultura. Una cultura del rispetto dell’altro, dell’identità, della non violenza e dell’amore nei confronti degli altri. Bisogna lavorare negli istituti di ogni ordine e grado e mettere insieme un équipe di formatori che facciano passare messaggi positivi anche sull’uso indiscriminato delle nuove tecnologie. Lavorare sui genitori, formarli e informarli. Questa doppia violenza fisica e psicologica è qualcosa di incredibile. La vittima diventa un trofeo da mostrare e da esibire con il proprio network. Cerchiamo anche di ragionare su cosa è giusto pubblicare e su come il giornalismo deve narrare questi episodi di violenza. Adesso, è giunto il momento di costruire un cammino che deve essere diverso rispetto al passato. Esaltare gli aggressori e far sparire la vittima non è qualcosa che ci può aiutare a cambiare questo ordine che vive di disordine. Non possiamo assistere impotenti a questa rivoluzione al contrario, dove non esiste più il rispetto e la giusta dimensione di quella che si definisce una società civile. Tutto quello che è accaduto non ha nulla a che vedere con la civiltà e nemmeno con l’umanità».

Di fronte alla violenza continua, non possiamo restare indifferenti e soprattutto non possiamo aspettare che i giornali ci restituiscano le percentuali delle vittime. Tanti gli episodi di violenza giovanile e i mezzi di informazione, quasi quotidianamente, riportano storie di soprusi, di prevaricazione, di bullismo, di cyberbullismo, di body shaming e di distruzione delle persone e delle cose. Cosa possono fare gli attori della società?

«Andiamo oltre la paura e l’indignazione, è tempo di agire, contro questa emergenza educativa. Occorre incontrare i genitori e realizzare delle scuole per formarli e allo stesso tempo serve supportare i ragazzi nelle loro fragilità e nelle loro paure. La scuola deve continuare a contrastare la dispersione scolastica, attraverso progetti di inclusione e progetti per il tempo libero. Dobbiamo evitare che i nostri figli, i nostri giovani, rovinino la loro vita o addirittura la perdano per una challenge. Il continuo desiderio di apparire e di essere apprezzati li porta a fare scelte sbagliate. Non basta pensare che la società sia immersa nel “cattivismo”, perché questo non può consolarci e indirizzarci alla rassegnazione. Il nostro compito quello di lottare contro chi viola la libertà, chi offende il corpo, il cuore e l’anima di una persona. La società deve attrezzarsi per fornire ai preadolescenti e agli adolescenti figure di riferimento, ambienti favorevoli e la positività del vissuto. Gli adulti non possono continuare ad essere “adultescenti”, ma è necessario che diano l’esempio ai giovani e recuperino la loro autorevolezza».

Ringrazio il Professore Pira per questa intervista, perché le sue parole scuotono con forza le coscienze e vogliono essere un monito per puntare al vero cambiamento.

Mi piace ricordare uno dei pensieri più belli diThomas A. Edison, inventore e imprenditore statunitense, “La non violenza conduce all’etica più alta, che è l’obiettivo di tutta l’evoluzione”. E noi da che parte stiamo? Cosa abbiamo fatto, e cosa stiamo facendo, per dare un segnale a quei giovani che non conoscono la differenza tra Bene e Male? Questo mondo ha bisogno di riscoprire il senso e il significato della parola “Responsabilità” per compiere atti rivoluzionari prima che sia troppo tardi.

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