Breve excursus storico-politico del conflitto israelo-palestinese: la guerra infinita

Articolo di Armando Giardinetto

Innanzitutto va compreso che gli ebrei concepiscono la Palestina come “Terra d’Israele”, una regione di loro appartenenza perché così detto in Genesi 32:28, Dio la promette al patriarca Abramo e ai suoi discendenti: “E quello disse: Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini ed hai vinto”. Allo stesso modo anche i musulmani ritengono la Palestina una terra di loro proprietà perché ci vivono da almeno sei secoli.

Quello che in queste ore sta accadendo in Israele e in Palestina ha radici che affondano in un passato che principalmente risale alla fine della Seconda guerra mondiale – quindi in piena Guerra fredda – con richiami storici anche antecedenti ad essa. Per capire i motivi di questa guerra che sembra infinita, bisogna venire a conoscenza di eventi di elevata importanza storica, politica e culturale.

Posizioniamo l’inizio di questo racconto a un momento antecedente alla fine della Prima guerra mondiale quando la zona geografica, che oggi è nel centro di questo conflitto assurdo, era parte dell’immenso Impero ottomano, abitata naturalmente solo da gente di fede islamica poiché, già da molti secoli, sin dagli inizi del Medioevo, in seno alla grande Diaspora (cominciata intorno all’VIII sec. a. C.), gli ebrei non vivevano più in quella regione, spostandosi da una parte all’altra in giro per l’Europa.

Con la fine della Grande Guerra, l’Impero ottomano, sempre più indebolito, crolla inesorabilmente dopo secoli di storia (dal 1299 al 1922) e nel suo immenso territorio nasceranno gli stati che conosciamo oggi: Turchia, Croazia, Albania, Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Romania, Moldavia, Ucraina, Russia, Grecia, Macedonia del Nord, Montenegro, Bulgaria, Ungheria, Armenia, Georgia, Libano, Palestina, Siria, Giordania, Egitto Arabia Saudita, Sudan, Yemen, Tunisia, Libia, Algeria, Cipro, Kuwait, Iraq, Iran, Slovacchia, Kosovo, Israele.

Le nazioni vincitrici del primo conflitto mondiale, riunendosi, pensarono di formare nel Medio Oriente, proprio nelle zone di interesse di questo articolo, delle nuove nazioni sotto protettorato di Francia e Inghilterra. La formazione di nuove nazioni avrebbe tenuto conto delle popolazioni, facenti parte di una stessa cultura, che abitavano in quelle zone, vale a dire che i confini di una nazione X sarebbero equivalsi ai confini di una popolazione Y che si riconosceva nelle stesse tradizioni. Nella fattispecie la Palestina, che in quest’epoca vanta di un territorio desertico e scarsamente popolato (circa 1,000.000 di abitanti), venne messa sotto il protettorato degli inglesi. Qui, tra il ‘20 e il ‘39, dal momento che in Europa l’antisemitismo iniziava a crescere sempre di più, cominciavano ad arrivare migranti ebrei che decisero, per l’appunto, di tornare nella loro Terra Promessa, mettendo in atto un processo migratorio senza che nessuno lo ostacolasse. Tuttavia, sin da subito, ebrei e musulmani non andavano d’accordo, nacquero infatti le primissime rivalità tra loro che riguardavano il controllo delle stesse terre, delle stesse città o addirittura delle stesse zone di una medesima città. Gli scontri tra le due comunità si intensificavano di giorno in giorno e, nel mezzo di questa situazione delicatissima, tra marzo e maggio del ‘45, nacque la Lega araba – composta da Arabia Saudita, Egitto, Transgiordania, Iraq, Libia, Siria e Yemen – che aveva l’obiettivo di difendere i musulmani che vivevano in Palestina e fare in modo che anche loro avessero voce in capitolo sul loro destino. Finita la Seconda guerra mondiale, gli ebrei sopravvissuti all’Olocausto ritornarono in Palestina con il benestare degli europei che, dinnanzi a quanto sofferto e sentendosi anche in qualche modo responsabili di sei milioni di morti, non potevano evitare loro di ritornare nella terra dei loro padri, ma questo porterà malcontento nella comunità musulmana. Così, in Palestina, gli ebrei iniziarono a reclamare un loro stato indipendente e gli inglesi, d’altra parte, già stanchi e scossi da una guerra devastante e non in forza per mantenere una sorta di tranquillità tra arabi ed israeliani, chiesero l’intervento dell’ONU che nacque proprio perché tra le nazioni si mantenesse la pace. L’Organizzazione, nel ‘47, propose un piano che prevedeva la nascita di due stati: uno palestinese, sotto il governo arabo, e l’altro israeliano, sotto il governo ebraico, mentre Gerusalemme, città cara per entrambe le religioni, rimaneva sotto il controllo internazionale. L’assetto propriamente geografico-politico di questo piano risultò sin dal principio molto particolare perché era basato sui raggruppamenti di popolazione musulmana ed ebraica che erano certamente disposti in maniera irregolare su tutto il territorio.

Nel ‘48, mentre si discuteva su una più appropriata spartizione, gli inglesi abbandonarono la zona e, sotto la spinta del movimento sionista, David Ben Guiron proclamò la nascita dello Stato di Israele, diventando primo ministro del Paese. Va detto che questa proclamazione non tenne conto del fatto che ancora non c’era stato un accordo tra le parti in causa sul piano proposto dall’ONU che, dal canto suo, non vide di buon occhio questa situazione. Così la Lega araba dichiarò guerra al neonato Stato d’Israele dalla quale, tuttavia, ne uscirà vinta. Con questa primissima vittoria, Israele dimostrò di essere forte e di voler far valere i propri diritti, combattendo fino all’ultimo sangue e fin quando ci sarebbe stato bisogno. In questa prima, vera e propria guerra tra le parti, i palestinesi subirono la sorte peggiore giacché l’esercito della Transgiordania riuscì ad impossessarsi del loro territorio, che oggi conosciamo come Cisgiordania (al di là del fiume Giordano), reclutando di colpo i palestinesi, già colpiti duramente dalla questione ebraica, in campi profughi in cui essi sperimentarono una sorte di tradimento messo in atto da chi li avrebbe dovuto proteggere.

Nel ‘56, in Egitto, venne eletto un nuovo presidente, Nasser, che fu a capo del Nazionalismo arabo, movimento di stampo laico che si differenziava da quello dei Fratelli musulmani di stampo prettamente teocratico. Costui darà il via a delle politiche fortemente aggressive verso alcuni paesi europei e verso Israele che vedeva come un grande nemico. Pertanto, nel ‘67, alleandosi con la Siria, l’Egitto dichiarerà guerra a Israele, ma pure stavolta, in soli sei giorni, quest’ultimo vincerà e occuperà altri territori che, secondo l’originale piano ONU, sarebbero stati destinati alla Palestina: Gerusalemme Est, la striscia di Gaza, le alture del Golan e la Cisgiordania su cui, nel 2002, Israele costruirà un muro lungo 730 km e alto 8 metri fatto di pietra e di reticolato elettrico, considerato un mezzo di difesa, mentre tuttora viene percepito dai palestinesi come una divisione raziale.

Dal canto loro, dai campi profughi, i palestinesi, sempre più speranzosi di poter prendere i propri territori e di poter annientare Israele, misero su un’organizzazione, inizialmente di stampo terroristico, chiamata OLP – Organizzazione per la Liberazione della Palestina – con a capo Yasser Arafat, ma poco dopo, nel ‘70, il re di Giordania Hussein, spinto dalle continue proteste di Israele che si sentiva perennemente minacciato dai profughi di quella regione, firmerà la cosiddetta “Operazione Settembre Nero” in base alla quale tutti i palestinesi venivano espulsi dal territorio giordano per riversarsi nel Libano. Nel ‘73 – sulle sponde del Canale di Suez, intorno al Sinai e sulle alture del Golan – si disputò la Guerra del Kippur tra una coalizione fatta da Egitto e Siria – supportati da vari paesi arabi tra cui Iraq e Palestina – contro Israele supportato, invece, dagli S.U. In questa guerra, data l’ottima preparazione degli eserciti arabi, cadde il mito di un Israele invincibile, tuttavia non ci fu un cambio effettivo di cose in termini di territorio. Da allora tra Egitto e Israele vigerà una cosiddetta pace fredda, ma qualche anno più tardi, nel ‘78, i due stringeranno un patto secondo il quale l’allora presidente egiziano, Sadat, avrebbe ottenuto il Sinai in cambio del riconoscimento dello Stato di Israele. Questo patto, però, gli costò la vita perché, nel 1981, Sadat fu ucciso da un uomo che lo riteneva traditore della Lega araba avendo contrattato con il nemico. L’anno dopo Israele invaderà il Libano, in cui già insisteva da anni una sanguinosa guerra civile e in cui c’erano importanti cellule dell’OLP che continuavano a minacciare la sua incolumità. La Palestina, in questo trambusto di guerriglie, non smette di sognare uno stato tutto suo, ma allo stesso tempo Arafat inizia ad avere una politica più disponibile alle trattative diplomatiche proponendo il riconoscimento dello Stato di Israele in cambio della nascita di uno stato palestinese nei territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ma Israele resta sordo a queste proposte e non vuole scendere a patti con la OLP. Circa dieci anni dopo, nel 1987, scoppia la Prima intifada da parte dei civili palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, ma a dispetto di ciò, nel ‘93, a nome della OLP, Arafat firmò un accordo con Israele a Oslo secondo cui quest’ultimo si ritirava da Gaza e dalla Cisgiordania per far nascere lì un autogoverno palestinese, cioè una sorta di governo ma non del tutto indipendente. Questo esisterà fino a quando, nel 2000, il nuovo presidente israeliano, Ehud Barak, offrirà ad Arafat la nascita di un vero e proprio governo palestinese proprio nei territori della Striscia di Gaza e in Cisgiordania con capitale Gerusalemme Est, sembrava una proposta irrinunciabile, eppure Arafat non accetterà perché non tutti della OLP volevano conformarsi passivamente a quanto venisse “offerto” secondo il gusto dello Stato nemico. È proprio in questo periodo che si sviluppa un partito palestinese di stampo teocratico e terroristico – nato nel 1987 – per fronteggiare le idee di Arafat. Il partito si chiama Hamas e odia profondamente Israele. D’altro canto in seno alla OLP nasce Fatah, un nuovo partito moderato che si porrà contro Hamas.

Nel 2000 ci sarà la Seconda intifada palestinese, scoppiata dopo la visita provocatoria dell’israeliano Ariel Sharon – appartenente al partito della Destra governativa – al Monte del Tempio (quindi Gerusalemme Est). Come fu per la prima, e fino al 2005, anche questa protesta si macchierà di moltissimo sangue dei civili palestinesi. Comunque, proprio in quel periodo, Sharon decise, con grande malcontento tra gli israeliani, di abbandonare la Striscia di Gaza e alcuni territori in Cisgiordania che vennero subito presi dai palestinesi i quali finalmente iniziavano a vedere la realizzazione della propria nazione. Questo, nel 2006, spingerà i partiti di Hamas e Fatah a contrariarsi sempre di più fino a quando il primo riuscì a primeggiare sul secondo nelle elezioni politiche del 2007 soprattutto nella Striscia di Gaza, mentre Fatah rimaneva molto forte in Cisgiordania. Da questo momento in poi Hamas sparerà missili contro Israele con l’obiettivo di annientarlo. Israele, dal canto suo, nel 2014, decise di reagire bombardando Gaza, riuscendo a guadagnare una tregua duratura. Nel 2021 altri cruenti scontri tra ebrei e musulmani si avranno nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme, zona abitata dalla maggioranza palestinese, mentre da Gaza Hamas ricomincia a indirizzare missili sulle città israeliane come Tel Aviv. Israele, grazie all’intelligente sistema Cupola di Ferro, spesso, ma non sempre, riesce ad intercettare i razzi provenienti da Gaza e da altri paesi nemici.

Arriviamo finalmente ai giorni nostri quando sabato 7 ottobre 2023, mentre il mondo ebraico festeggiava la Simchat Torah, cioè la festa della Gioia della Torah, a tradimento, arriva l’incursione di Hamas nei territori israeliani con il lancio di razzi che, dalla striscia di Gaza, si dirigono verso Tel Aviv. Contemporaneamente militari palestinesi hanno oltrepassato il confine tra Gaza e Israele distruggendo, razziando, dando fuoco alle case, conquistando alcune postazioni israeliane, imprigionando e uccidendo senza pietà molti civili tra cui bambini innocenti. La corsa agli armamenti – missili soprattutto – da parte di Gaza, per fronteggiare il più tecnologico arsenale di Israele, sarebbe avvenuta grazie ai tunnel sotterranei che collegano la Striscia alla penisola egiziana del Sinai. L’esercito israeliano, intervenendo immediatamente su Gaza, dopo essersi ripreso dalla terribile sorpresa, ha riottenuto il controllo delle zone occupate due giorni dopo l’attacco, il 9 ottobre, dichiarando lo stato di guerra, cosa che non accadeva dal ‘73.

Ad oggi gli scontri continuano e ogni giorno diventano sempre più cruenti: decapitazioni, migliaia di morti, centinaia e centinaia di feriti, dispersi, presa di ostaggi, violenze d’ogni tipo, macerie in ogni dove, madri che piangono i figli morti; i figli che piangono le madri; bambini spaventati ormai divenuti orfani di entrambi i genitori; padri in guerra; cadaveri da seppellire, bambini innocenti traditi, uccisi a sangue freddo senza nessuno scrupolo. Le sirene suonano per invitare i civili più fortunati ad andare nei rifugi antiaerei, ma intorno ormai c’è solo pianto, dolore, disperazione, morte e distruzione.

Si capisce bene, in ultima analisi, che è molto difficile che questa guerra tra Israele e Palestina possa finire in tempi brevi anche se in più di settant’anni timidi momenti di avvicinamento tra le parti ci sono stati. I palestinesi ritengono che gli israeliani siano i colonizzatori ed essi sono costretti a vivere da profughi in casa loro, mentre gli israeliani pensano che quella regione sia a loro dovuta, secondo la Bibbia, e che i palestinesi siano gli ospiti indesiderati.

La verità è che purtroppo quest’ultima non è un’intifada ma una guerra.

Una guerra veramente infinita!

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