Ufo robot – le origini di Goldrake: Alcor e Actarus

Articolo di Gordiano Lupi

Un disco volante sorvola il cielo, le coste giapponesi e pure l’immenso vulcano Fuji-Yama, però non c’è un alieno alla guida. Si tratta di Alcor, un pilota in missione presso la base spaziale della costa. Alcor guida un vero e proprio disco volante rudimentale ma all’improvviso la sua attenzione è catturata dalla vista di un vero UFO.

“Un disco volante!” Esclama meravigliato. “Devo seguirlo”.

E si getta all’inseguimento, ma quel disco è più veloce del suo e scompare subito dalla sua vista. Alcor sa che non ha avuto un’allucinazione e continua a sorvolare la zona del Fuji-Yama, vede altri vulcani, coste stupende, campagne coltivate e poco distante pure la base spaziale. Ma del disco nessuna traccia. 

“Allora gli UFO esistono. Avranno intenzioni pacifiche o vorranno distruggere la terra?” Pensa.

Anche all’Istituto di Scienze Spaziali, una base moderna e attrezzata per la vigilanza e la difesa nei confronti degli UFO, è stato avvistato il disco volante e la cosa non lascia tranquillo il dottor Procton che la comanda. Poco lontano dalla base c’è una fattoria dove vive Actarus, il figlio del dottor Procton, un ragazzo che ama la vita di campagna e che lavora alle dipendenze di Rigel, un vispo vecchietto con la fissazione dei dischi volanti. Rigel ha pure due figli: la bella e dolce Venusia e il piccolo Mizar. Rigel sta sulla torretta di avvistamento che ha costruito e scruta l’orizzonte. D’un tratto comincia a gridare.

“Ho visto un UFO! Ho visto un UFO!”.

E subito dopo: “Come presidente del Club Amici degli Spaziali vi do il benvenuto nella mia fattoria!”

Rigel però non ha avvistato un extraterrestre ma soltanto Alcor che atterra alla fattoria con il suo rudimentale disco volante.

“Non ha otto braccia e quindi non è un marziano” conclude deluso Rigel quando lo vede uscire dalla carlinga del mezzo spaziale.

“Certo che no. Sono un uomo come voi” dice Alcor.

Subito dopo Alcor si reca alla base in compagnia di Actarus ed è qui che conosce il dottor Procton. Alcor viene dall’Oceano Pacifico, è il nuovo pilota in missione che stavano aspettando e ha il compito di accertare la verità sugli alieni.

Il dottor Procton mostra ad Alcor un potente radiotelescopio per gli avvistamenti, uno strumento di cui sono molto fieri.

“Secondo me gli extraterrestri vogliono soltanto stringere rapporti con noi, non sono pericolosi” dice Alcor.

“Sei troppo ottimista, Alcor. La mia paura è che invece vogliano distruggere il genere umano” ribatte Procton.

Actarus non parla. Se ne sta da una parte in silenzio. Alcor lo giudica un ragazzo scostante e antipatico, un vero orso. Non ha neppure degnato di uno sguardo il suo disco volante. Il dottore invece pare saperne di più sull’argomento alieni ma non vuole dire altro.

Actarus torna alla fattoria. La campagna dove ha scelto di vivere è un posto stupendo: il cielo terso fa intravedere nuvole bianche, il mare è poco distante e il Fuji-Yama proietta nei campi la sua ombra massiccia. Actarus fa il vaquero e doma cavalli selvaggi, si sente tranquillo e in pace con il mondo, fa la vita che ha sempre sognato, pure se adesso ha paura che qualcosa di brutto possa distruggerla.

Il vecchio Rigel da giovane faceva il cow boy nel Texas e pure lui si dà da fare a domare puledri e a pascolare vacche, quando non perde tempo con gli avvistamenti di dischi volanti. Di solito però preferisce far lavorare Actarus perché è un po’ pelandrone.

Alla fattoria giunge pure Alcor e decide di domare un intrattabile puledro nero solo per dimostrare la sua abilità alla bella Venusia.

“Stai attento” ammonisce Venusia. Lei sa che il puledro è terribile e che ubbidisce soltanto ad Actarus. Infatti Alcor rimane in sella solo pochi minuti ed è subito disarcionato. Actarus invece salta in groppa alla bestia e la doma in poco tempo. L’antipatia tra i due ragazzi cresce ancora di più. Venusia non ha occhi che per il suo campione e Alcor sente la sconfitta bruciare in petto come una pugnalata.

Il giorno dopo Actarus e Alcor sono di nuovo alla base. Siamo sul far della sera e il dottor Procton osserva lo spazio dal potente radiotelescopio in compagnia dei suoi assistenti.

“Gli extraterrestri attaccheranno” dice Actarus.

“Come fai a saperlo?” chiede Procton.

“La luna è rossa. Il segnale è chiaro”.

“Non dire stupidaggini. Gli UFO sono nostri amici e la luna rossa non vuol dire niente, è solo un fenomeno atmosferico” ribatte Alcor.

“Sei un ingenuo” conclude Actarus.

E se ne va preoccupato lasciando gli altri a meditare sulle sue parole.

“Actarus è molto pieno di sé…” pensa Alcor.

In cuor suo lo odia. Sin dal primo momento Alcor ha manifestato al sua antipatia per Actarus. Adesso però vorrebbe solo capire le cose che pensa e perché ha detto che gli extraterrestri attaccheranno.

Actarus torna alla sua campagna. È molto preoccupato. Prende la chitarra, siede sull’erba bagnata e appoggia la schiena a un albero. Comincia a pizzicare le corde con movimenti nervosi per scacciare pensieri e malinconia. Suona una triste canzone che forse gli ricorda qualcosa. La luna è sempre più rossa. Lui la osserva e continua a suonare. All’improvviso si alza da terra con decisione e getta via lo strumento. La chitarra va in mille pezzi. Gli occhi di Actarus sono rigati di pianto. Tanti ricordi affollano la sua mente.

“Io amo questa terra e questa campagna” dice.

Il vento della sera scompiglia i suoi folti capelli neri.

“Non voglio tornare in quel mondo”.

E ricorda. All’improvviso ricorda.

Il dottor Procton non è suo padre. Lo ha soltanto raccolto e allevato come un figlio quando Actarus si è rifugiato sulla Terra.

“Tu ora sei mio figlio. Sei semplicemente Actarus” gli disse.

Mentre Actarus pensa al passato, nello spazio una nave spaziale sta macchinando oscuri piani. È la nave della forza d’invasione di Vega. Tutto è pronto per l’attacco alla Terra. Il capo è Idargos, un alieno alto, magro, di pelle verde e con la testa allungata. Studia il piano.

“Attaccheremo entro domani” dice.

Il giorno dopo alla fattoria è una giornata stupenda. Gli uccelli cantano, cavalli e vacche pascolano nei prati. Il sole è alto in cielo. Tutti lavorano tranquilli e nessuno, a parte Actarus, sospetta il pericolo. D’un tratto si vede un disco volante apparire nel cielo.

“Sta arrivando un UFO!” grida entusiasta il vecchio Rigel.

“E io scoprirò la verità” fa Alcor.

“Non puoi farlo” intima Actarus.

Ma il ragazzo vuole salire a bordo del disco e andare a parlare con gli extraterrestri. Lui è convinto che gli alieni vengano in pace e che sia possibile trattare con loro. Evita l’intervento di Actarus e aziona il motore. Purtroppo per lui gli spaziali non sono amici e cominciano a far fuoco sul disco inerme che lancia solo messaggi di pace.

Actarus sa che deve intervenire. Solo lui può salvare Alcor dalla morte e la Terra da un’invasione certa. Inforca la moto e corre via per i campi, salta una collina e vola nel cielo azzurro.

Actarus non è umano. Actarus può farlo. Actarus è Goldrake!

In volo i suoi abiti da contadino si modificano nella tuta da pilota spaziale e il ragazzo si getta dentro una cascata che è il rifugio di una gigantesca nave robot. Actarus sperava di non doverla mai usare. Non sulla Terra, almeno. Lui pensava di aver raggiunto un’oasi di pace dopo tanto peregrinare. E invece adesso deve difendere la sua tranquillità e quella degli abitanti del pianeta che lo ospita.

La nave esce dalla montagna e si getta nello spazio in  difesa di Alcor. È una nave imponente, rossa e nera, con il muso di un robot guerriero, è dotata di lame rotanti e di missili alle estremità. Comincia  a sparare e a lanciare raggi a protoni dalla navicella. Protegge il disco del terrestre. Para i colpi dei dischi volanti di Vega.

“Sembra Goldrake, un superstite della stella Flydd” dice Idargos.

“Mandiamogli contro il robot” conclude. Ma si vede che non è tranquillo e che la vista di Goldrake gli ha scombussolato i piani.

Una delle navi spaziali si trasforma in un mostro metallico dall’aspetto di una gigantesca testuggine verde. Il mostro lancia raggi sul disco di Alcor e lo colpisce. Il disco precipita ma non viene distrutto. Alcor riesce a farlo atterrare e alla fine sviene per il colpo subito.

A questo punto anche Actarus ricorre al robot e grida: “Goldrake, in azione!”. Il disco spaziale si modifica in un gigantesco essere di ferro e di acciaio che impugna un’alabarda spaziale e ha due corna in testa che sparano raggi protonici. Inizia un corpo a corpo tra i due robot. Raggi spaziali vengono scagliati dai due congegni meccanici. Goldrake ricorre al maglio spaziale che si stacca dal corpo del robot e colpisce il mostro, ma l’arma decisiva è l’alabarda che con un preciso fendente divide in due l’emissario di Vega. Il maglio completa l’opera e demolisce la testa staccata dal collo del robot. Gli altri dischi dopo la sconfitta del mostro meccanico si ritirano. L’ostacolo Goldrake non era previsto. Idargos ordina il rientro alla base.

Alcor torna malconcio alla fattoria dove c’è il vecchio Rigel che non ha capito niente e ancora controlla il cielo alla ricerca degli spaziali.

Alcor è ferito. Venusia lo cura e lo consola.

“Dovevi dare retta ad Actarus” gli dice.

C’è anche Actarus accanto a loro.

“Actarus, ma tu non sei…”

Resta un dubbio ad Alcor. I suoi occhi. Per un attimo lo sguardo di Actarus si confonde con quello di Goldrake. Lo ha visto molto vicino.

“Cosa dovrei essere?” fa lui. E sorride.

Ma quegli occhi ad Alcor ricordano troppe cose.

Actarus lo lascia nel dubbio e se ne va sul far della sera con la sua auto che romba via veloce e che lascia alle spalle tanti pensieri.

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